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La recensione della tredicesima puntata della settima stagione, a cura di Antonella Cella “jackson1966”.


 

Quando vedo queste puntate ricordo per certo perché Gimple è lo showrunner di “The Walking Dead”. Perché conosce i suoi personaggi come nessun’altro degli autori li conosce, compreso Kirkman. Perché sa come “muoverli”, specialmente psicologicamente, ed insieme a loro come muovere noi spettatori e portarci dove vuole e come vuole lui. Perché le puntate migliori in assoluto della serie sono sue (“Clear”, “Here’s not here”, “Last Day on Earth”, “The Day Will Come When You Won’t Be” e “The Grove”, per citarne solo alcune), le più pregnanti della serie, quelle che hanno rivoluzionato sempre tutto il mondo dei nostri protagonisti.
E questa puntata non è da meno. Gimple sa usare l’apocalisse e ciò che ha lasciato in eredità come nessuno. Presi come siamo dagli eventi che si succedono in continuazione e che mettono a dura prova i nostri “eroi”, a volte dimentichiamo che l’apocalisse Zombie è quella che ha portato tutti loro a quel punto, nel bene e nel male. E li ha portati lì con un carico emotivo e sensi di colpa pesanti che li hanno cambiati per sempre; che li influenza ancora pesantemente nelle loro azioni e decisioni attuali.
Gimple ce lo ricorda sempre e comunque. Carol ha perso una figlia. Morgan un figlio. Richard una figlia. Benjamin un padre. E così via. E se anche sembra che tutto continui e sia stato superato da parte loro, questo non è vero. L’apocalisse e ciò che hanno fatto ai suoi inizi li ha segnati per sempre ed inevitabilmente nei momenti di crisi estrema, tutto ciò esce e li fa scattare, come se li riportasse indietro nel tempo e come se niente fosse cambiato nelle loro vite.
Ed in più, sa usare i comprimari della serie con una tale abilità che quando li “muove” e fa loro succedere qualcosa di brutto, ci sembra di averli sempre conosciuti e anche noi scattiamo usando le nostre esperienze di vita per reagire.
In questa puntata la sua maestria si spiega in tutta la sua potenza e mette finalmente in campo le due pedine più importanti per Rick ed il suo gruppo, se vuole vincere contro Negan: Morgan e Carol. Lo sapevamo fin dall’inizio che servivano loro e che sarebbero dovuti entrare in gioco per fare vincere Rick, e finalmente eccoli qui, pronti a combattere per lui e contro Negan.
E, incredibilmente, nello stesso tempo, ci dispiace che questo sia accaduto. Perché sappiamo cosa questo costerà in termini umani ai due personaggi, che amiamo anche e soprattutto per la loro umanità ritrovata, contro la barbarie che questo nuovo mondo pretende. Sappiamo che “dentro” ne saranno distrutti. Ma, e Gimple ce lo dice chiaramente, non erano più in tempo per “scappare” da coloro che hanno imparato ad amare nonostante tutto e tutti, per “scappare” dalle conseguenze che i Saviors hanno portato nelle vite di chi amano. Si sono illusi per un po’, ma la dura realtà ha ripreso il controllo crudelmente e senza pietà li ha messi di fronte al fatto che hanno bisogno di loro come guerrieri, volenti o nolenti. E loro accettano, perché sono……Carol e Morgan.
L’arrivo di Carol al Regno è una delle cose più belle mai viste nella serie: decisa, calma e senza insicurezze si libera degli Zombie che incontra e che le “danno fastidio” con l’intelligenza e l’abilità che ben conosciamo in lei. Lasciando letteralmente a bocca aperta Benjamin e tutto il Regno, che non l’avevano mai vista sotto quella luce.
Carol ha capito che l’arrivo di Daryl celava segreti che non le sono stati detti perché le vuole bene. E proprio per questo bene che anche lei prova per lui, sa che la sta proteggendo. Ma Morgan la mette di fronte ad una scelta precisa. Chiedere a Daryl stesso cosa sia successo, tornare in campo ad Alexandria o tornare nella sua casetta e far finta di niente. Non sta a lui toglierle i sensi di colpa, deve affrontarli apertamente.
Così come Richard decide di agire sacrificandosi ma creando invece un enorme tragedia. Istiga i Saviors a reagire contro Re Ezekiel e, pesando di essere lui la vittima sacrificale, fa invece uccidere Benjamin. E qui l’abilità di Gimple nel creare in noi empatia con la vittima è micidiale. Quando muore si piange e si rimane a guardare con odio i Saviors, anche se lo conosciamo poco. Ma quel poco che ci ha mostrato Gimple basta e avanza per farci capire che è un ragazzino in crescita, che si prende cura del fratellino come un padre e che sta cercando di vivere, pur crescendo in un mondo orribile, come un bravo ragazzo. E fa scattare in noi il senso di protezione istintivo di ogni essere umano verso qualcuno che si comporta come lui, specie se così giovane.
A questo punto Morgan si ritrova a “Clear”, cioè al punto in cui era nella puntata dove Rick lo ha salvato dalla sua pazzia dopo la morte di Duane, suo figlio, che la morte di Benjamin gli ha ributtato in faccia prepotentemente. E decide che è ora di ricominciare ad uccidere, partendo proprio da Richard e mettendo in tal modo in atto il piano che lo stesso Richard voleva usare, approfittando della morte di Benjamin. E “attiva” anche Carol raccontandole di Glenn, Abraham e le varie morti causate da Negan. Oltre allo “schiavismo” a cui ormai sottopone Rick and company e il Regno.
Ora è lei a lasciargli la casetta per riprendere le forze psicologiche in attesa della battaglia contro Negan. E’ lei ad andare al Regno e, senza tanti preamboli, dire a Re Ezekiel che si deve combattere, senza “se” e senza “ma”. E quest’ultimo accetta, cercando ancora un piccolo momento di pace ripiantando le nuove piante nel suo giardino, distrutto da una malattia ma che, come dice Nabila, come tutto nella vita, si può far rifiorire e nascere di nuovo, dopo la distruzione inziale. E Nabila, senza saperlo, gli spiega esattamente cosa succederà, anche se andrà in guerra. Vorrei far notare che Nabila è il primo personaggio femminile di religione islamica della serie; un altro segnale “forte” di Gimple, vista l’attuale situazione americana.
Ed ora Negan è veramente nei guai. Anche perché l’uccisione di Benjamin ci ha anche indicato chiaramente come alcuni dei suoi uomini sono completamente fuori controllo, fanno quello che passa loro per la testa, anche contro il parere dei loro stessi capi. E questo, si sa bene, è un grosso punto debole in una guerra tra fazioni diverse.
Ancora una volta la serie ci fa notare l’unità e lo spirito di sacrifico estremo che ci sono nel gruppo di Rick e nei suoi alleati, contro la completa anarchia che invece regna nel suo gruppo, basato sulla paura e sull’utilizzo di psicopatici.
Lasciatemi ancora una volta fare i complimenti a Gimple. Crea puntate che ti rimangono nel cuore e nella mente anche per anni e muove i suoi personaggi con una coerenza, anche rispetto il loro passato, micidiale. Ti sembra sempre di “tornare a casa” quando scrive lui la puntata, la casa che “The Walking Dead” rappresenta per noi fans da sette anni, ormai.

 

Antonella Cella “jackson1966”

 



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