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La morte. Sotto di me c’erano morte e putrefazione. Mi veniva da vomitare. Corpi di cinghiali, un cervo, almeno un cane, dei gatti ed altri animali non meglio riconoscibili erano stati gettati giù per la scarpata, proprio lì, e ora giacevano abbandonati; qualcuno si era fermato contro le rocce, altri contro degli alberi, alcuni erano rotolati più in basso fino a sparire tra la vegetazione. Quanti corpi c’erano? Dieci, dodici almeno, per la gioia dei corvi che banchettavano con i resti. C’era anche Amina? Non riuscivo a vederla. Mi girai verso Giacomo e mi sorpresi a trovarlo in piedi proprio accanto a me. Era sul bordo del crepaccio e guardava giù, senza dimostrare di provare nessuna paura o vertigine.

– Chi può aver fatto una cosa del genere? – Gli chiesi.
– Non… non lo so. – Rispose con voce distante. I suoi occhi guardavano giù, ma la sua mente sembrava tutta da un’altra parte. Era completamente sconvolto.
– Un uomo? Ma perché? Un animale? Io non…
– Non lo so, va bene? Io… dovremmo andare, forse. Tornare in paese.
– Dai Giacomo! E se Amina fosse qui sotto?
– Io non la vedo.
– Neanche io, ma potrebbe essere sotto quei cespugli laggiù, oppure là in fondo! C’è qualcosa, ma non riesco a vedere bene. Potrebbe essere lei o…
– Patroclo, credo che dovremmo tornare a casa.

Mi rialzai e mi guardai intorno. Forse più in là c’era modo di scendere, la scarpata sembrava più dolce. Lì dove eravamo, senza una corda, sarebbe stato un suicidio. A destra o a sinistra? A sinistra mi sembrava più praticabile, decisi. Feci per incamminarmi, ma Giacomo mi prese per una manica della maglietta.

– Non puoi andare. – Mi disse.
– Ma che stai dicendo? Dobbiamo andare!
– Non puoi andare. Dobbiamo tornare a casa. IL BOSCO PRENDERÀ ANCHE NOI!

Era sconvolto, i suoi occhi erano rivolti verso di me ma sembrava che non mi guardasse veramente. Fissava il nulla. Dovevo riuscire a scuoterlo, o non saremmo riusciti a muovere un passo.

– Giacomo, è importante, dobbiamo controllare se Amina è lì sotto, e poi dobbiamo tornare ad avvertire la polizia. È il nostro dovere! È la nostra avventura!
– Io non…
– Siamo arrivati fino a qui, anzi mi hai portato tu fino a qui e ora non voglio certo tornare indietro, hai capito? Va bene? – Lo scossi per una spalla e il suo volto sembrò acquisire di nuovo una certa lucidità.
– È… pericoloso ma… sei sicuro? Vuoi davvero…
– Dobbiamo farlo? Lo capisci?
– Se vuoi forse… più avanti… più avanti dovrebbe esserci il modo di scendere. Ti farò scendere a controllare, così…

Non finì neppure la frase, lasciò la mia manica che ancora teneva stretta e abbassò gli occhi. Sospirò, poi rialzò la testa e il suo sguardo incontrò il mio. Era tornato normale. Anzi, era deciso, risoluto, il Giacomo adulto che a volte vedevo in lui. Mi fece cenno di sì, e passò davanti a me. Cominciò a camminare sicuro. Dovevo solo seguirlo, adesso.

– Cosa pensi che possa essere stato? – Gli chiesi tentando di tenere il suo passo.
– A fare cosa?
– Come a fare cosa? A uccidere gli animali, a buttarli giù dal burrone.
– Un cacciatore che ha sparato a troppe bestie, forse.
– Ma ci sono anche dei gatti, persino un cane. Non sono prede a cui si spara.
– Appunto, no? Un cacciatore che spara a un cane, magari di qualche compagno di battuta, e si vergogna di quello che ha fatto. O spara a un cinghiale quando è vietato e non può riportarlo in paese perché ha paura che gli facciano la multa…
– Quando mai si è vista la forestale da noi?
– È uguale, magari era uno di fuori venuto a cacciare qui.
– Non lo so Giacomo, sono veramente troppi animali perché possa essersi trattato di un errore. Eppoi sono tutti degli ultimi giorni! È vero che c’è puzza di marcio, si sente ancora, ma si vede che non sono morti da troppo tempo!
– Cosa sei diventato ora, un medico legale?
– Dai, è evidente!
– Allora forse sarà stato qualche animale. Magari ci sono i lupi, hanno spinto delle prede fino al burrone e loro piuttosto che farsi divorare hanno preferito provare a buttarsi di sotto, e qualcuna si è rotta le gambe ed è morta.
– Dai Giacomo, non è possibile! Deve essere…
– Se sai già chi è stato evita di chiederlo a me, va bene? – Si fermò e si girò con aria quasi minacciosa. Ercole, che non lasciava il mio fianco, cominciò a ringhiargli. – E fai stare zitto il tuo cane, che già stiamo facendo troppo rumore! Se è stato qualcuno di pericoloso a buttare giù queste povere bestie, di sicuro facendo così ci sentirà e verrà a prenderci! – Ignorò i ringhi e gli abbai che continuavano, si girò di nuovo e riprese a camminare.

Non poteva essere un animale, quantomeno non un animale normale. Quale animale si comporta così, lascia delle prede così diverse e le abbandona al bosco, agli insetti e alle beccate dei corvi? Per un attimo ebbi un’illuminazione: e se fossero i corvi? Uno stormo di uccelli che spinge le sue vittime verso la scarpata, beccandoli e sbattendo le ali. Un solo corvo non è una minaccia per nessuno o quasi, ma un intero stormo? Potrebbe essere in grado di scacciare anche il più temibile dei nemici, e per loro l’altezza del crepaccio sarebbe l’ultimo dei problemi. Era possibile? Forse… ma molto improbabile.

Mi ricordai di una frase che avevo letto da qualche parte, o forse sentito in un film: una volta eliminato l’impossibile, ciò che rimane, per quando improbabile, deve essere per forza la verità. Prima però si doveva eliminare l’impossibile. E per farlo c’era una prima cosa da fare assolutamente, per quanto schifosa mi apparisse l’idea: controllare i cadaveri. Se avessero avuto addosso i segni di pallini da caccia, per esempio, evidentemente il responsabile di quel massacro avrebbe dovuto essere un uomo. Se ci fossero stati segni di morsi, avremmo dovuto dare la colpa a un animale. Qualche lupo molto grosso, forse. Non si era mai sentito di bestie feroci più grandi nei boschi. Orsi, non se ne erano mai visti. E se fosse stato qualche animale sfuggito a un circo? Un giaguaro, o una tigre! Se io fossi stato proprietario di un circo e una bestia del genere mi fosse scappata, mi sarei certo vergognato come un ladro, e forse avrei tolto le tende e sarei scappato senza dire niente. Avremmo dovuto chiedere a qualcuno dei cacciatori se aveva visto orme strane…

– Giacomo, tu hai mai visto orme strane nel bosco? Impronte molto più grandi del normale?
– Tipo un orso? No, mai, ma non mi spingo mai troppo in là.
– Anche più grandi.
– Se ci fosse un elefante credo che ce ne saremmo accorti, bigfoot vive dall’altra parte dell’oceano e per lo yeti è decisamente troppo caldo.
– Dai, non intendevo…
– Lo so.

Se la colpa fosse stata davvero dei corvi, sarebbe forse risultato più difficile stabilirlo. Stavano beccando i cadaveri tutt’ora, sarebbe stato impossibile capire se avessero iniziato anche prima della morte. A meno di non avere davvero delle attrezzature da C.S.I. E una grande intuizione.

E se fossero tutti impazziti? L’ipotesi balenò nella mia mente, e non riuscii a non dirlo ad alta voce.

– E se fossero tutti impazziti?
– Tutti? Che vuol dire?
– Una malattia, un raptus, qualcosa che ha spinto tutti questi animali a buttarsi. Una forza superiore! Ci sono quegli animaletti che si buttano dalle scogliere in Norvegia e vanno a suicidarsi tutti insieme, come si chiamano…
– I lemmings?
– Bravo! I lemmings! Forse anche qui è successa la stessa cosa, e magari la stessa malattia è stata trasmessa ad Amina che ha sentito il desiderio insostenibile di venire qui e gettarsi nel vuoto come tutte quelle povere bestie…
– Io non ho visto Amina. Non sai se è morta davvero! – Rispose Giacomo brusco.
– No… lo so. Però potrebbe tornare con quello che ti ha detto quando l’hai vista. Che ha qualcosa di più importante da fare! Magari aveva una voce nel cervello che le diceva che l’unica cosa importante da fare era venire qui e…
– Hai troppa fantasia.
– Cosa?
– Troppa fantasia. La risposta deve essere più semplice.
– E perché?
– Perché la risposta più semplice è quasi sempre quella giusta.
– Hai detto bene, quasi! E normalmente sarei d’accordo con te, ma questa situazione? Ti sembra normale?
– Non lo so…
– Hai visto?
– Tu senti il desiderio di buttarti di sotto? – Si fermò per un attimo e si voltò verso il crepaccio.
– No, proprio no.
– Neanche io. Ma dobbiamo scendere.

Guardai in basso. Era ripido. Troppo. E non avevamo neppure una corda per aiutarci.

– Non possiamo scendere da qui.
– È il posto più adatto.
– Ma no! È ancora più ripido di dove eravamo prima. Guarda lì, se cadiamo ci sfracelliamo su quei sassi!
– No guarda, basta passare da lì, lo vedi? – Si abbassò e mi indicò qualcosa alla mia sinistra.
– Non vedo niente. Cosa c’è?
– Guarda bene.
– Io non… – Mi abbassai per capire meglio cosa mi stava indicando, sporgendomi più che potevo. – Non vedo nulla.
– Guarda meglio. Laggiù.
– Dove? Non capisco!
– Laggiù!

Sentii le mani di Giacomo appoggiarsi sulle mie spalle e spingere. Non ebbi neppure il tempo di rendermi conto di cosa stava succedendo, neppure quello di urlare. Volai giù, e si spensero le luci.

 

CONTINUA…

 

Michele Borgogni


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