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Riflessioni a salve

 

Avevamo passato mesi a programmare il colpo, calcolato ogni tipo di imprevisto e analizzato ogni minimo dettaglio.
Non so ben spiegare come nacque quest’idea. Io, Igor e Polæ stavamo chiacchierando davanti a un falò e tra una birra e l’altra entrammo in discorsi piuttosto profondi. Tirammo un po’ le somme della nostra giovane vita, avevamo tutti e tre ventiquattro anni, un lavoro discreto ed eravamo felici. Ma avevamo un senso di vuoto, ci mancava qualcosa.
Eravamo sempre stati abituati a fare dei sacrifici, del resto era giusto così, ma, al pensiero di passare la nostra vita dietro a problemi e a rotture di scatole emergeva in noi un leggero fastidio.
“Igor, Polæ, dobbiamo dare una svolta alla nostra vita”
“Che intendi”, risposero in coro.
“Dobbiamo fare qualcosa che ci sistemi per sempre”
Iniziarono a capire… e Polæ disse: ” Intendi una rapina o un colpo in banca?”
“Sì, o almeno qualcosa del genere”
Igor mi guardò e mi disse: “Ti ricordi ciò che ci disse una volta il mister? Se dovete rubare, rubate un milione di euro, perché se vi beccano son cazzi, ma se non vi beccano siete apposto per tutta la vita”.
Lasciammo partire sguardi d’intesa, e prendemmo questa scelta decisiva per il nostro futuro.
Le prime due cose che facemmo furono cercare un quarto elemento e scegliere chi e dove colpire.
Il quarto elemento fu un amico di vecchia data, Tommaso Innocenti, uno scaltro e furbo che la pensava esattamente come noi. Scegliemmo la banca popolare di Milano, luogo perfetto per raggiungere il nostro obbiettivo.
Iniziammo ad architettare il nostro folle piano. Ci serviva innanzitutto un infiltrato che lavorasse in banca, non fu molto difficile trovarlo perché il vice direttore della banca, Riccardo Casini, era un mio vecchio amico, e, anche se conosciuto per i suoi sani principi, non esitò ad aiutarci per un ingente somma di denaro.
Grazie a lui conoscemmo orari, entrate, uscite e anche quando era presente il direttore. Ci disse che avremmo avuto circa nove minuti per entrare-uscire-scappare.
Dopo aver pensato alla banca, dovevamo tener conto di altre due cose: nessuno di noi aveva mai impugnato un’arma e tantomeno eravamo esperti in rapine.
Così iniziammo a seguire alcuni corsi per migliorare le nostre doti balistiche e praticammo diverse lezioni di yoga per controllare tensione, ansia e adrenalina.
Non fu molto difficile e in poco tempo fummo pronti per il colpo.
Naturalmente ci spartimmo i ruoli; Tommaso si procurò i documenti falsi per scappare dopo aver rapinato la banca, Igor i passamontagna, Polæ l’auto con cui saremmo fuggiti e io le pistole, o meglio siccome nessuno tranne me era esperto in armi, presi quattro pistole ad aria compressa spacciandole per vere al resto della banda. Come si dice, fidarsi è bene non fidarsi é meglio.
La sera prima del colpo ci riunimmo nuovamente dinnanzi a un falò, abbrustolimmo un po’ di carne e bevemmo qualche birra. Guardai tutti negli occhi e vidi fame; fame di potere, fame di felicità, fame di sentirci finalmente appagati da una realtà sociale che ci aveva sempre ignorato e trattato come scarti. Avevamo scelto di provare a essere felici, anche se probabilmente non era il modo giusto, ma era l’unico.
Il fine giustifica i mezzi e noi aspiravamo alla felicità… cosa c’era di sbagliato? Alla fine è un diritto delle persone trovare la propria felicità.
Ho sempre pensato che la frase “i soldi non fanno la felicità” fosse una grande cazzata. I soldi ti danno tutto o almeno quello che non hai mai avuto. Viviamo in un mondo dove non è importante essere ricchi dentro ma esserlo fuori. Viviamo in un’era in cui tutto ha un prezzo, dalla politica alla religione passando per lo sport.
Ho sempre avuto rispetto, amicizia ed educazione come valori base, ma crescendo mi sono accorto quanto questi valori, anche se nobili, vengano brutalmente scartatati e sotterrati dalle persone, le quali pensano solo ai propri interessi. Per una volta avevo deciso di essere come loro, di abbassarmi al loro livello per un solo giorno; sbagliare per essere felici era un qualcosa che ero disposto ad accettare.
Arrivò l’attesa mattina, eravamo carichi di adrenalina ma anche molto concentrati; sapevamo che il minimo errore sarebbe potuto costarci caro. Ci parcheggiammo vicino la banca. Io, Igor e Polæ scendemmo mentre Tommaso rimase in macchina, aspettando il nostro ritorno.  Facemmo partire il timer, ci infilammo i passamontagna, prendemmo le “armi” e bypassammo l’entrata grazie ai consigli che ci aveva dato Riccardo, e, in quel silenzio che giaceva in banca, iniziò a risuonare la mia voce: “tutti a terra questa è una rapina”. Igor: “no ma dai”, quindi prese parola anche Polæ: “tutti a terra, lasciate collane, portafogli, braccialetti e tutta’ sta roba di merda che indossate come trofei”.
Igor si diresse con il direttore verso la cassaforte, quest’ultimo non fece molta resistenza avendo una pistola puntata alla testa, ma gli bisbigliò comunque qualcosa: “perché fate tutto ciò?”. Igor, stavolta veramente incazzato disse: “per due motivi: primo perché le persone come te mi fanno schifo e secondo per lo stesso motivo per cui mi scopo tua moglie, per divertimento. Ora apri ‘sta cassaforte se non vuoi ritrovarti faccia a faccia con il creatore.
Nel frattempo io e Polæ avevamo raccolto quasi tutto ciò che i presenti avevano lasciato per terra, ma quando mi avvicinai all’ultima donna, rimasi incredulo.
Aveva con sé una collana a forma di cuore con scritto: “G&S 24/03/18”, la stessa che avevo io, la stessa che ci eravamo regalati io e il mio primo amore alle scuole superiori. Cercai di rimanere lucido, ma stavo sudando freddo. Aprii il suo portafoglio cercando un suo documento: “Sara ****“.
Era lei, la persona che mi aveva fatto conoscere l’amore, il mio primo amore, colei che mi aveva fatto vedere il paradiso. La guardai negli occhi, gli stessi per i quali avevo perso la testa e che oggi come allora mi fanno arrivare il cuore in gola. “S… Sara”, le dissi mentre le mostravo la collana che portavo al collo e quando la vide capì subito chi fossi. “Giuseppe, sei tu? “Sì, sono io”
“Che ci fai qui? Perché stai facendo tutto questo”. “È una storia lunga”. Mentre parlavamo intravide il tatuaggio che avevo sul braccio: “Sara 25/04/18″, la data del nostro primo bacio.
In quel momento non parlammo, ci guardammo negli occhi, comunicammo con il cuore e con lo sguardo, ripercorremmo tutti i sorrisi, i baci, i ricordi che avevamo insieme, era come se in quel momento fossimo in un’altra dimensione, in un mondo tutto nostro.
Non esitai due volt, e la presi e la baciai.
Tornò Igor con i soldi e mi urlò: ” Ma che cazzo fai, ci restano solo quattro minuti”.
Lo ignorai e continuai a baciarla. Avevo trovato quella felicità che non avevo da tempo.
Arrivò Polæ tirandomi per un braccio e dicendomi: È tardi dobbiamo andare”
Guardai Sara e mi bisbigliò: “Non te ne andare di nuovo, rimani con me, ti prego”
“Quanto hai preso”, chiesi a Igor: “quattro milioni e mezzo”. “Va bene, andiamo, ma lei viene con noi”. “Ma sei impazzito”, disse Polæ.
“Ho detto che viene con noi quindi zitti e andiamo”. La presi per un braccio e mi diressi verso l’uscita, ma mi si frappose Igor: “Lo faccio per il tuo bene, scusami”
Tirô fuori la pistola e sparò verso Sara, eravamo vicini e per qualche assurdo motivo mi misi davanti a lei.
Quando il proiettile mi colpì, sentii come un bruciore lungo il petto e caddi a terra. Polæ e Igor mi guardarono e scapparono via. Quelli che fino a quel momento credevo fossero i miei migliori amici, avevano scelto i soldi; in quel momento capii quella strana frase “i soldi non fanno la felicità”.
Io avevo scelto lei, lei che con quel sorriso riesce a rendermi felice più dei soldi, più di qualsiasi “cosa”. La felicità non è niente di materiale.
Ero disteso a terra con Sara che mi teneva le mani, stava piangendo e mi sussurrava: “Non te ne andare, non di nuovo”
La guardai, in me nacque un senso di rabbia, divertimento e ironia.
Le sussurrai all’orecchio: Sara quelle non sono pistole vere, sparano proiettili di gomma…brucia no un po’, ma sto bene, e adesso portami fuori da qui”.
Si guardò attorno e disse: ” Lo porto in ospedale”.
Uscimmo dalla banca e girammo l’angolo dove avevo fatto appostare Riccardo nel caso qualcosa fosse andato storto.
Salito in macchina, volevo inseguirli per vendicarmi, ma Sara mi disse con quella
voce che tanto mi era mancata: “No Beppe, non te ne andare, incominciamo tu ed io, non servono i soldi per essere felici basta l’amore. Sentii il mio cuore battere come non faceva da tempo, ci guardammo e ci baciammo.
Avevo capito finalmente cosa era la felicità, nonostante i soldi non mi sarebbero dispiaciuti. Sara mi mostrò che l’amore aveva un valore di gran lunga maggiore

 

Giuseppe Musumeci

 


 


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