FANSRacconti

Lo scorrere del giorno è sempre un fluire di ripetitività e monotonia, eppure la mente dell’uomo esita innanzi al potere del cambiamento, persino nel rione maledetto di una città estatica.

Agiamo per schemi e questi sono un riparo fittizio, un cerchio che protegge come se fosse circondato da alte mura, al di là delle quali respirano imprevisti e mostri, sovente in carne e ossa.

 È bello il nuovo, ma lo è di più la tranquillità, che è sempre il vecchio… già recepito e assimilato.

I suoi occhi potevano schiarire o accecare, giacché dal loro rilucere scaturiva un bagliore ultraterreno. Erano iridi di fiamma che emanavano estasi solo al guardarli, raggi che bloccano e smarriscono, un baratro che non ha termine, una luminescenza immateriale.

La sua espressione davvero trafiggeva e allietava, uno sguardo che incantava e ammaliava, e in certi casi annientava.

Le sue movenze erano leggiadre e sinuose, naturali e fluide. Attraeva e non distaccava, sebbene sembrasse irraggiungibile e sconosciuta. Erano apparenze letali, per nulla sofisticate ed elaborate. Una spontaneità che rasentava la genuinità, e probabilmente così era nella sua natura più remota e arcana.

Estasiava il solo pensarla, si restava attoniti nella sua contemplazione che dissestava, come se avesse la potenza di un terremoto o di un’eruzione che avvolge, soffoca e impietrisce. Una divinità.

Vi si percepiva una volontà che emetteva potenza, che brillava di luce, frantumando in stelle l’anima di chiunque la guardasse. La gente se ne accorgeva dalla prestanza del suo corpo, che era un’orchestra in ogni suo altalenare sensibile e celestiale, in simbiosi col fulgore che si respirava al primo impatto. Spandeva un’aurea fumigante, l’intrico più soave in cui visionare la beatitudine.

Nonostante le sembianze estetiche, energiche e inarrestabili, sovrumane e angeliche, che evocavano vertigini e smarrimenti, vi si percepiva la dolcezza di un animo delicato, il cui intelletto era la sensibilità o l’amore che incarna lo spirito dell’eternità.

Ammirandola, ci si tuffava nell’infinito, nell’istante illimitato e senza tempo, che è sempre quello che ci trapassa obnubilando dolori e tribolazioni, allentando la morsa della mente che tormenta e angoscia, consolando o straziando. Una palingenesi che proviene dall’azzurro di una volta cosmica.

Napoli, 25 maggio 1966.

«Ma che cazzo stai dicenno? Pure Giggino o stuorto? Sasà o curnuto e Bombolone? Pure lloro?».

«Nun se fidano e se movere. Stanno dinto lietto. È n’epidemia!».

Gennaro Gargiulo, in arte o sciancato, aveva perso, nel giro di una settimana, tutti i suoi uomini fidati. Gli era rimasto solo Peppe o nano, così chiamato perché, malgrado i tacchi che si faceva mettere alle scarpe dal calzolaio del quartiere, non raggiungeva il metro e mezzo d’altezza.

O sciancato era l’indiscusso boss della malavita del Rione Sanità. Era un uomo d’onore, rispettava le donne e in vent’anni di carriera aveva fatto uccidere solo chi se lo meritava veramente: i traditori!

La moglie Angelina gli aveva dato sette figli maschi, uno più bello dell’altro. E per questo motivo, la rispettava e la venerava come una santa. Se qualche donna gli offriva le sue grazie, lui se le prendeva senza farsi pubblicità, con discrezione e rispetto per le apparenze.

«Ma che significa, ‘epidemia’? Tu hai capito che di questo passo, qua avimmo chiudere tutte cose?».

«Girano strane voci. Terribili, e nessuno tiene il coraggio di parlare. È stat’essa, a vecchia c‘‘a panza annanze!».

Gennaro Gargiulo sapeva sin da bambino, perché glielo aveva insegnato la madre Titina, che mantenere la calma e ragionare sui fatti della vita era la migliore ricetta per avere successo. Grazie all’autocontrollo, era diventato quello che era. Ma se qualcuno gli nascondeva qualcosa, diventava come una bestia feroce affamata di carne.

Esplose in un urlo sguaiato, si avvicinò a Peppe o nano e gli diede un pugno sul naso.

«Chi cazzo è sta vecchia c‘‘a panza annanze?».

Peppe non resse alla forza disumana del colpo inferto. Cadde a terra, il naso rotto, il sangue che già ricopriva di rosso fiammante la camicia bianca di cotone.

«La chiamano ‘la Madonna nuova’. È una vecchia che aspetta un bambino. Non è del quartiere. Viene da Posillipo. Ha girato mezza Napoli in cerca di accoglienza. E solo qui ha trovato una casa, e le donne, tutte le donne, l’accudiscono e la venerano. Una visione mirabile, di grandiosa letizia, incommensurabile bellezza! Un mistero di grazia, sublime, sublime…».

Peppe o nano sorrise di beatitudine, incurante del dolore e del sangue che continuava a scorrere dal naso.

«Ma come parli? Ma che hai passato? Pare nu prufessore!»

Gennaro lo aiutò ad alzarsi da terra e lo fece sedere su una sedia.

«Addò sta? L’aggia vedé!».

«Ma è pericoloso! Quella se la vedete, vi cambia. Diventate un’altra persona. Vi succede quello che è successo agli altri. Guardate a me. Solo l’ombra, vi giuro, solo l’ombra ho visto un giorno, per caso, e non riesco più a parlare come prima. Se la rivedo anche solo nei pensieri, parlo così bene che non mi riconosco più. Lasciate stare, è troppo pericoloso!».

«So tutte strunzate! Mi dovrei mettere paura di una femmina vecchia che dice di essere incinta? Chi, io? Addò sta? Parla, o t’accido mo mmo!».

Peppe o nano gli disse che si nascondeva in chiesa. Padre Antonio l’ospitava in una stanza della sagrestia. Il momento del parto era vicino.

Gennaro rientrò a casa. Chiese alla moglie Angelina se sapesse qualcosa di questa ‘Madonna’. Lei scoppiò a piangere e andò a chiudersi a chiave nel bagno.

«Angelì, mo’ pure tu? Pure tu? Pure a te aggio perzo?», disse urlando.

Il figlio maggiore, Paolo, un brillante studente di giurisprudenza, si prese il padre sotto il braccio e gli disse, a bassa voce, che da un po’ di tempo la madre si comportava in modo strano. Parlò di depressione o forse di un passeggero disturbo dell’umore. Disse che ci voleva pazienza e che se non fosse guarita in tempi ragionevolmente brevi sarebbero dovuti ricorrere alle cure di uno psicologo.

«Ma si caduto ca ‘a capa nterra pure tu? Mia moglie dal medico dei pazzi?».

Se non fosse stato suo figlio, lo avrebbe steso con un pugno e forse gli avrebbe pure sparato in una gamba. Grugnì e con passo pesante andò nella stanza da letto per prendere un vestito adatto per la chiesa.

Era una bellissima giornata di sole. E faceva molto caldo. Il luogo sacro accoglieva i fedeli con la frescura delle antiche mura. E questo era un sollievo per tutte le anime, quelle buone e quelle dannate.

Anche Gennaro si sentì meglio, quando varcò la soglia della chiesa. Si fece il segno della croce e andò a sedersi in prima fila. La messa delle dodici stava per finire.

‘Rendiamo grazie a Dio’.

Padre Antonio si affrettò a scomparire dall’altare. Non voleva che Gennaro frequentasse la sua chiesa. Gliel’aveva detto mille volte. Ma lui faceva orecchie da mercante.

«Padre Antonio, aspettate per piacere. Vi devo parlare!».

«Quante volte vi devo dire che non dovete entrare in questo luogo sacro? Lasciatemi in pace che ho da fare!».

«Con chi? Con la vecchia incinta?».

L’uomo di fede sbiancò. Doveva pensare in fretta a qualcosa di convincente da dire. Ma il cervello si era paralizzato come il corpo.

«Vi faccio paura? Perché? Mi sono mai permesso di dire o fare qualcosa che vi ha danneggiato?».

«Voi, voi fate il male ogni giorno. Quello che fate alla povera gente del quartiere è come se lo faceste a me. Andatevene, che questo luogo non è un posto per voi!».

«La voglio vedere. La voglio solo vedere!».

«Mai! Mai e poi mai! Dovete passare sul mio cadavere!».

«Padre Antonio, voi lo sapete, io vi rispetto. Ma se non me la fate vedere io non rispondo più delle mie azioni».

Il povero prete scoppiò a piangere. Gennaro non l’aveva mai visto così. Ormai tutti piangevano. Un’epidemia, un manicomio, una follia collettiva.

«Chi siete voi che avete tanta voglia di vedermi?».

Una donna coperta da capo a piedi da un velo bianco comparve all’improvviso al fianco del prete. Gli mormorò alcune parole nell’orecchio e gli disse di andarsi a sedere.

Era la prima volta che qualcuno osava chiedere a Gennaro o sciancato chi fosse. Tutti sapevano che Gennaro Gargiulo era il boss, il capo dei capi, l’uomo più potente del rione.

Si sentì offeso da quella domanda. E anche imbarazzato. Che brutta sensazione, l’imbarazzo!

«Come sarebbe a dire, chi sono? Lo sanno tutti chi sono».

«Io no! Allora? Chi siete?».

«Io sono… sono…».

«Capisco! Neanche voi sapete chi siete veramente! Almeno il nome, ve lo ricordate?».

«Gennaro, Gennaro Gargiulo!».

«Molto bene. E ditemi, Gennaro Gargiulo, cosa vi spinge a desiderare di vedermi? Voi sapete chi sono io?».

«Voi siete la vecchia di cui tutti parlano».

«Quindi, chi sono?».

Gennaro capì che la donna era astuta. La precisione e la semplicità di quelle domande lo misero in difficoltà. Che cosa sapeva veramente? Niente! Un bel niente. Per un attimo, pensò di scusarsi e di andare via. Ma poi ci pensò: Gennaro o sciancato non aveva mai chiesto scusa nemmeno a Dio!

«Voi siete una femmina che sta prendendo in giro tutto il rione. Che sta ingannando la gente. Voi volete far credere che siete una Madonna e che state per fare un miracolo! Ecco chi siete!».

«Lodevole, molto lodevole».

La donna sorrise e voltò le spalle al boss del rione Sanità.

«Aspettate! Dove andate? Lo sapete che per colpa vostra, nessuno vuole più lavorare per me? La gente sembra fuori di sé. Pure mia moglie piange e mio figlio pensa che sia impazzita. Avanti su, fatemi vedere se è vero quello che dicono. Toglietevi il velo».

La donna si voltò verso Gennaro. Padre Antonio si frappose fra i due, nell’inutile tentativo di proteggerla dalla visione di quel malvagio essere.

«Non preoccupatevi, padre. Quest’uomo, anche quest’uomo ha il diritto di vedere!».

In chiesa, una moltitudine di persone era accorsa. Le voci giravano in fretta. Fedeli, donne, bambini, vecchi, assassini e brave persone, fecero a gara per garantirsi un piccolo spazio all’interno del luogo sacro.

La donna sorrise e con un gesto deciso delle braccia sollevò dal corpo il velo che l’avvolgeva.

Padre Antonio si inginocchiò. E poi, una beatitudine di voci sommesse si levò in un coro spontaneo e dolce: miracolo!

Tutti congiunsero le mani e pregarono con serena commozione.

«Nel mio ventre, il figlio delle vostre speranze. La vostra fede vi ha salvati!».

Gennaro osservò la donna. Era una ragazza bellissima, con lunghi capelli castani, il volto radioso e illuminato dalla potenza della sua maternità.

«Ma che cosa fate? Non vedete che è tutto un imbroglio? Questa donna non avrà più di vent’anni! Non c’è nessun miracolo. Alzatevi, tutti. Mi sentite? Smettete di pregare. Questa donna non è una vecchia!».

In chiesa, le parole di Gennaro volteggiarono nell’aria come piume spinte da un vento incostante.  Nessuno riuscì a sentirle.

Il boss del rione Sanità non credeva ai suoi occhi. Si avvicinò alla ragazza e provò a colpirla con un pugno.

Lei si scostò e disse: «Non puoi fare una cosa tanto brutta, Gennaro. Guarda bene. È il loro desiderio, hanno tutti ceduto al loro sogno, alla libertà. Prima, quando ti ascoltavano, lo tradivano. Adesso non puoi fare più niente. Tu non sei niente! Niente! È tutto finito».

Gennaro sentì il cervello esplodere. Ogni parte del suo corpo sciancato cominciò a tremare e a staccarsi dall’insieme. Perse prima il braccio destro, un tempo reso difettoso da una coltellata, poi la gamba sinistra, resa claudicante per un proiettile sparato dal cecchino di una banda rivale, poi il naso, reso camuso dal pugno di un pugile in pensione, e poi gli occhi, ciechi di verità, i polmoni, asfittici di bellezza, il cuore, atrofizzato dai suoni sbadati delle pistole automatiche. Scomparve sotto lo sguardo di tutti. Ma nessuno se ne curò. Solo quando la donna salutò con un bacio d’amore i presenti, padre Antonio ebbe pena, si alzò, e andò a prendere un secchio per lavare i pavimenti. Con calma raccolse i resti del boss. E li buttò fuori la chiesa, in un cassonetto sporco e malandato, rifugio di zoccole e scarafaggi.

Adriana Perez Capogrosso
Joe Oberhausen-Valdez

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