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L’ultimo di quattro racconti HORROR – FANTASY di Pergiorgio Melidori: LA BESTIA DI GATSTAF.
(nomi e luoghi del racconto sono stati ispirati al gioco Magic the Gathering).


La collina di Krallenhorde era imponente a tal punto che definirla collina e non montagna era più che un errore cartografico secondo l’inquisitore. Il lasciare quell’accenno di sentiero equivaleva al perdersi inevitabilmente in quei luoghi dimenticati dalla luce.

 Dopo una lunga e faticosa marcia in salita arrivarono a quella che doveva essere la fatiscente capanna di Geoff VanBergen.

 Al limitare della piccola radura Herbert si assicurò al fianco il lungo pugnale e iniziò ad avanzare con cautela.

 ”Aspettate qui, vecchio, potrebbe essere pericoloso per voi…”

Arrivò fino alla soglia, dove pareva non esserci traccia dell’eremita; nemmeno quando la porta cedette sotto la potente spallata dell’inquisitore si vide alcuno.

”Van Bergen! Sono Herbert Kolman, Inquisitore di Thraben…VanBergen! Seguitemi senza opporre resistenza e non sarò costretto a farvi del male…VanBerg…”

Ci volle più di un attimo per riprendere fiato. L’impatto col terreno era stato di una violenza inaudita. Herbert era stato sbalzato per svariati metri indietro e quando alzò la testa dolorante il reietto era là, in piedi a braccia conserte di fronte alla porta della baracca. Geoff VanBergen era senza dubbio alcuno un figlio del Kessig: alto come un orso e forte come un toro, incuteva timore al solo guardarlo, con la sua imponente barba rossiccia e il suo sguardo torvo.

Il giovane inquisitore non era certo uno come tanti e, riprese le forze, si alzò

”Pagherai questa follia, reietto! Non mi colpirai a tradimento una seconda volta!”

In tutti quegli anni di duro addestramento il fisico e la mente di Herbert erano stati temprati al combattimento: avrebbe piegato facilmente al suo volere quel boscaiolo anche a mani nude.

Una volta rientrato a Thraben avrebbe senza dubbio fatto presente ai suoi superiori che il lungo mantello bianco non si prestava molto alla lotta e, oltretutto, sarebbe stato anche il caso di rivedere alcune tecniche provate in palestra…

Certo era che l’eremita fosse dannatamente fortunato: riusciva a parare e a schivare la maggior parte degli assalti dell’inquisitore mentre lui , per colpa di quelle maledette radici che spuntavano dappertutto, perse più di una volta l’equilibrio. Lo scontro arrivò presto al suo epilogo: Herbert Kolman tentava disperatamente di divincolarsi dalla morsa d’acciaio che gli stringeva la gola mentre il reietto lo teneva sollevato da terra con un braccio solo, per più di una spanna, mentre lo guardava annaspare.

”Ma che ti salta per la testa, damerino! Non sai con chi hai a che fare?”

Un tonfo sordo e il giovane inquisitore si ritrovò nuovamente a terra: stavolta, però, era il pesante corpo inerme di Geoff VanBergen accasciato su di lui a impedirgli di respirare. Lo rovesciò sul fianco, riuscendo a liberarsi di quel peso con fatica e proprio lì di fronte a sé vide l’esile sagoma del diacono Oratius, tutto affannato e con una pala in mano.

”Vostra Eccellenza, state bene? Oh, per tutti gli angeli, è stato un miracolo che sia arrivato in tempo… un vero miracolo… grazie al cielo lo avete trattenuto, se avesse visto anche me ora sarei a terra con la schiena spezzata e le budella in bella mostra, oh cielo, oh cielo… mi avete salvato…’’

Il diacono pian piano riprese fiato e, nel frattempo, anche Herbert riprese colore in viso:

 ‘’Senza dubbio questo bifolco era posseduto da una forza demoniaca per riuscire a tenervi testa… ora presto, su su alzatevi, venite a vedere… presto!”.

Per precauzione legarono il corpo esanime del reietto e lo issarono a fatica su di un carretto che usava per portare le pelli giù a Gatstaf.

Nella vecchia e malridotta capanna trovarono, seminascosto, un piccolo altare votivo dedicato a una qualche divinità silvestre dalle forme mostruose, a metà fra uomo e lupo; bacche, radici e altri intrugli facevano capolino dalle sudice mensole di quel nascondiglio, così come pergamene con incisi quelli che, a prima vista, parevano riti blasfemi. Agli occhi dell’inquisitore quelle erano prove più che sufficienti per chiudere il caso e tornarsene trionfante a Thraben, così lasciò il diacono a frugare fra quelle cianfrusaglie per radunare ciò che necessitava al processo.

Giusto al calar della sera raggiunsero la piccola radura dove il ranger li attendeva spazientito: grande fu la sorpresa nei suoi occhi visto il nuovo ”ospite”, ma non proferì parola alcuna e guidò il gruppo nuovamente alla cittadina e alla civiltà, se così si può dire. I due portarono il prigioniero alla chiesa, raggiungendola ormai col favore dell’oscurità, lo calarono faticosamente dal carretto e, prima che potesse riprendere i sensi, lo incatenarono ai pesanti anelli di ferro che pendevano dal soffitto della vecchia stalla.

Geoff VanBergen aprì faticosamente gli occhi e quando ebbe ripreso i sensi iniziò a strattonare furiosamente la catena.

“Tu, maledetto bastardo… maledetto infame… sei un abominio, sei un insulto alla natura… ti strapperò il cuore con queste mie mani, giuro che te lo strapperò dal petto…’’

L’ inquisitore si alzò dalla sedia, spazientito da questi sproloqui, spostò di fianco il povero Oratius, che di fronte a quel gigante pareva ancora più vecchio e rachitico di quanto già fosse e gli ordinò di lasciarli soli; poi si piazzò a sua volta davanti al prigioniero, assestandogli un manrovescio.

‘’Taci, canaglia, taci! Domani ti processerò davanti a questo gregge di bifolchi tuoi pari! Confesserai implorando pietà e, prima del calare della sera, la mia corda d’argento avrà già accarezzato il tuo collo e io sarò già in viaggio verso Thraben…’’

 Geoff VanBergen lo fissò con i suoi occhi cupi e profondi per un istante, poi scoppiò a ridere in maniera sguaiata ed isterica.

“Povero idiota! Finirai come gli altri… stupido… stolto… liberami, liberami! ”

Herbert era tutto rosso in viso dalla collera.

Come osi, bastardo di un bifolco! Come osi insultarmi ancora?’’ disse agguantando il prigioniero per il bavero

‘’Sei tu che non sai chi sono io! ’’

Gli urlava con tutta la rabbia che aveva in corpo.

“Domani questa faccia sarà l’ultima cosa che vedrai in questo mondo, tu, schifoso…’’

Come un poderoso ariete la testa di Geoff  VanBergen schizzò in avanti: un rumore simile a dei rami spezzati riempì la stanza e un istante dopo il giovane inquisitore barcollò all’indietro, portandosi le mani al volto.

Inciampò nella sedia e rovesciò il tavolo: quando si rialzò, Herbert era ridotto ad una maschera di sangue. Farfugliando parole e maledizioni incomprensibili con una dissonante voce nasale iniziò ad avanzare verso il prigioniero, evidentemente fuori di sé dalla rabbia.

VanBergen tentò di farsi avanti per quanto la catena gli permettesse ‘’…Inquisitore! Morirai!…’’

Herbert probabilmente non si accorse di nulla, semplicemente estrasse il pugnale lungo e con un urlo terrificante lo conficcò con tutta la sua forza nel petto del prigioniero, affondando l’affilatissima lama romboidale fino all’elsa. Passarono così lunghissimi istanti, nella stanza solo il rumore del respiro affannoso del giovane, in piedi di fronte al corpo esanime dell’eremita di Krallenhorde.

“Vostra Eccellenza… Vostra Eccellenza!’’

Il diacono, che nel frattempo era accorso attirato da quel frastuono, scuoteva energicamente il braccio dell’inquisitore.

“Cosa avete fatto? Cosa avete fatto, stolto!’’

Herbert era visibilmente sconvolto.

“E adesso? E adesso che cosa racconto a Thraben, eh? Che diavolo racconto? Ci voleva un processo, una confessione e un rientro trionfale… che diavolo me ne faccio di un prigioniero morto…’’

Il diacono cercò di calmarlo e farlo tornare alla ragione, ma le sue parole non ebbero l’effetto desiderato, anzi, il giovane inquisitore, furibondo per il dolore e per il fallimento, lo colpì violentemente con un pugno, scagliandolo a terra fra i tavoli rovesciati.

“Che diavolo me ne importa delle tue chiacchiere, maledetto storpio? Io voglio il successo e il rispetto che merito… e adesso non ho più nulla… nulla!’’

Il diacono si rialzò, piuttosto malridotto; per un attimo parva aver perso la sua consueta flemma, ma proprio in quell’istante dalla porta principale della chiesa si udirono distintamente dei colpi di battacchio e della urla.

Inquisitore Kolman, aprite immediatamente! Inquisitore Kolman, sono il sindaco… aprite, o sfondo questa dannata porta!’’

Il giovane rimase lì impietrito, incapace di prendere alcuna iniziativa e toccò al vecchio e malconcio diacono arrancare nella sala principale e affrontare questo nuovo imprevisto. Aprì lo spioncino e chiese con fare stupito cosa potesse volere il sindaco a quell’ora tarda.

Oratius, voglio parlare subito con l’inquisitore’’ rispose Goran Edlund, visibilmente alterato.

“Ho saputo che siete rientrati con un prigioniero: bene, voglio vederlo, voglio parlargli… è un mio diritto! Apri subito questa dannata porta!’’

Il diacono cercò di prendere tempo.

“Ecco, al momento il prigioniero è sotto la giurisdizione della Chiesa e sta conferendo con Sua Eccellenza l’Inquisitore…’’

 Il sindaco divenne ancora più furioso.

“Apri Oratius, apri o giuro che…’’

“Giurate cosa?”

Dalla finestra di sopra si era sporto il giovane Herbert. Il cappuccio bianco distintivo degli inquisitori di Thraben gli copriva il viso per nascondere il grosso ematoma violaceo.

“Andatevene, sindaco, andatevene immediatamente o arresterò anche voi… il prigioniero è ora raccolto in preghiera e non può vedere nessuno. Ha confessato e ha liberato la propria anima da quell’insopportabile fardello, domani stesso lo processeremo pubblicamente e incontrerà il suo destino: ora andatevene e non costringetemi a scendere!’’

Il sindaco non proferì più parola, serrò le labbra in una smorfia rabbiosa e tornò sui suoi passi. Il diacono tornò nella stanza dove Herbert, nel frattempo, stava osservando allo specchio il danno subito.

“Il mio naso… il mio naso… me lo ha rotto, quel maledetto bastardo…

Al solo sfiorarlo gli procurava dolori lancinanti e subito si rimetteva a sanguinare copiosamente.

La porta si richiuse con un rumore sordo. La luce della luna, che stava iniziando il suo lungo viaggio attraverso i cieli del Kessig, filtrava fiocamente dalle finestre, dando al tutto un aspetto misterioso e surreale. Il diacono si avvicinò lentamente alle spalle dell’inquisitore, talmente intento a medicarsi che nemmeno lo degnò di uno sguardo.

Senza rumore alcuno lo afferrò per i capelli e spinse violentemente la sua faccia già martoriata contro il piccolo specchio appeso alla parete, mandandolo in frantumi.

Herbert si contorse a terra dal dolore, piangendo e ansimando a fatica.

Ma che diav…

Il diacono Oratius si ergeva su di lui, fissandolo con sguardo disgustato.

Maledetto idiota, fra poco il sindaco e il resto del branco saranno qui… li hai sfidati, li hai aizzati contro di noi. VanBergen mi serviva vivo, avevo bisogno dei suoi segreti! Certo, domani mattina vi avrebbero trovati morti tutti e due e io, povero vecchio, sarei stato l’unico testimone della vostra lotta. In lacrime avrei giurato di aver tentato di farvi desistere dalla vostra folle idea di catturare il grande sciamano della contea di Gatstaf ma Voi, accecato dal fanatismo, avreste agito in maniera insana e il risultato della collutazione sarebbero stati i vostri corpi esanimi. Ero così vicino, così vicino! Ora per colpa tua sono ancora… incompleto…

Herbert evidentemente non capiva il significato di quelle parole e di quel gesto, così Oratius non gli negò il piacere della verità.

Devi sapere, giovane stolto, che il Kessig è una regione misteriosa, ricca di potere. Io già trent’anni fa iniziai a fare ricerche, ovviamente all’oscuro di quel bonaccione di Jacobsen. Vedi, lui era una persona miope, non seppe riconoscere i poteri degli sciamani e il loro legame con la madre terra… ma io sì, io sì! Sfortunatamente, però, non ero un figlio della foresta, non ero stato baciato dalla luna così come lo erano stati invece VanBergen, il sindaco o molti altri insospettabili. No, quello è un dono che ti rende speciale, che ti rende veramente… libero. Libertà che a me, povero storpio, è stata negata fin dalla nascita, che crudeltà, che ingiustizia, non trovi?

Ma io non mi arresi… sai, ho studiato alla prestigiosa università di Innistrad prima di diventare diacono, conosco bene l’alchimia e la scienza dei Dottori. I figli della luna del Kessig sono servi della natura… io invece ho deciso di piegarla al mio servizio e dominarla. Come vedi sono quasi riuscito nel mio intento: il loro sangue, i loro potenti muscoli, i loro sensi acuti… certo, qualche piccolo sacrificio in nome della scienza si deve pur fare, no? Mi mancava solo l’ultima parte, un rito segreto che solo gli sciamani più potenti e i mistici più saggi conoscono. Van Bergen sospettava già qualcosa riguardo alle sparizioni, ai cadaveri sezionati… così, di comune accordo con Jacobsen, pensò di informare segretamente Thraben, chiedendo aiuto. Gli altri del branco certo non erano d’accordo, troppo orgogliosi, troppo ignoranti… bene, bene così. Fortunatamente, sai, intercettai la loro missiva e vi apposi alcune piccole modifiche. Se non fosse arrivato nessuno si sarebbero insospettiti ulteriormente, mentre invece avevo bisogno di aiuto per potermi avvicinare allo sciamano. Cosa meglio, quindi, di un ignaro Inquisitore da manovrare a mio piacimento? Comunque, sai, devo dire che la qualità è decisamente calata… mi aspettavo un giovane fervente… non un perfetto imbecille…

Herbert portò istintivamente la mano al fianco, ma trovò solo il fodero vuoto; il suo meraviglioso pugnale era ancora là, conficcato nel petto dello sciamano.

Tentò con uno slancio di andare a riprenderlo, ma i suoi movimenti erano in realtà lenti e goffi rispetto a quelli straordinariamente rapidi di Oratius, il quale lo agguantò per il collo, lo sollevò da terra e con una mano lo colpì. Gli artigli lacerarono le vesti e le carni dell’inquisitore, che andò a sbattere contro il muro opposto della stanza: alla luce della luna piena il diacono stava mutando, stava mostruosamente cambiando forma in una creatura immonda a metà fra uomo e lupo. Herbert, inorridito, in qualche modo comprese le parole del diacono quando accennava al suo essere ”incompleto” . Ciuffi di pelo crescevano e si staccavano dal corpo in continuazione, così come grossi lembi di pelle e carne, in una sorta di mutazione orrenda. Improvvisamente un boato: la finestra andò in mille pezzi, mentre grosse schegge di legno schizzarono come dardi impazziti dalla porta. Herbert intravide tre figure, ma non seppe distinguere se uomini dalle forme vagamente animali o lupi dalle vaghe fattezze umane.

Ringhiavano ferocemente, i loro occhi erano tizzoni ardenti e i loro artigli come pugnali acuminati. La lotta si scatenò furibonda: i tre lupi si lanciarono sul diacono, o su qualunque cosa fosse diventato. Tentarono di staccargli la testa a morsi ma lui, più grosso di stazza e dai muscoli più poderosi, respinse più volte i loro attacchi. Dopo un turbinio di artigli e ululati due lupi giacevano al suolo, apparentemente privi di vita, mentre la bestia vistosamente ferita e sanguinante affondava i denti nel corpo dell’ultimo rimasto. Con un rumore sordo anche l’ultimo corpo orribilmente dilaniato cadde al suolo, ma il diacono non l’ebbe ancora vinta. Con un poderoso balzo, un quarto lupo era entrato dalla finestra, stavolta decisamente più grosso degli altri. I due si fronteggiarono. Oratius resistette a fatica, forse a causa delle numerose ferite e della furia del nuovo avversario, ed alla fine con un rapido scatto fu costretto a lanciarsi fuori dalla stanza e a sparire per sempre dalla vista dell’inquisitore.

Herbert si era trascinato il più lontano possibile, ma il dolore era troppo forte persino per compiere i movimenti più elementari: ora si trovava a terra, impotente di fronte al grosso essere che lo fissava con sguardo torvo. Le attenzioni della bestia si concentrarono sul corpo esanime di Geoff VanBergen. Bastò una zampata poderosa a tranciare le catene che lo reggevano, mentre con l’altro braccio lo sosteneva adagiandolo delicatamente al suolo. Un lungo e straziante ululato lacerò la notte.

 La luce della luna piena rifletteva bagliori d’argento sulla manicatura del lungo pugnale, orgoglio e simbolo distintivo dei valenti soldati di Avacyn. La belva lo estrasse dal corpo del suo fratello di sangue e lo gettò in un angolo della stanza, poi si voltò rabbiosamente verso il giovane digrignando i denti: quelli furono gli ultimi istanti di vita di Herbert Kolman l’Inquisitore…

Così nacque il mito della Belva di Gatstaf e da allora molte altre pagine furono scritte, pagine di sangue e orrore, di oscurità e pazzia.

Il mito si fonde sempre con la realtà in una continua lotta per superarsi in meraviglie ed efferatezze… ma questo è il misterioso Kessig.

Se vi sentite abbastanza coraggiosi, potete andare voi stessi a verificare la bontà delle mie parole. La strada è sempre la stessa e la locanda di Fossocavo ha sempre un letto disponibile per degli avventurosi esploratori.

Attenti però a ciò che cercate… ad Innistrad, nelle notti di luna piena, è facile che lo troviate.

Piergiorgio Melidori


PRIMA PARTE

(nomi e luoghi del racconto sono stati ispirati al gioco Magic the Gathering)