FANSRacconti

La città era avvolta nel silenzio. Nessuno per le strade, nessuno alle finestre. Sulle abitazioni, da poco, si era allungata l’ombra della sera. Nel cielo, il sole rosso regalava riflessi ed emozioni. Teodor salì sul terrazzo, chitarra stretta nel pugno chiuso. Doveva sapere, capire se era rimasto solo lui, se il Mondo in qualche modo poteva rispondergli ancora. Era molto rischioso. Così rischioso da rimetterci la vita.

Teodor prese la chitarra elettrica e con cura religiosa la posò delicatamente a terra. Prese il filo del jack e lo allacciò al grande amplificatore. Posizionò l’apparecchio verso la città deserta e accese l’interruttore: on. L’apparecchio emise un intenso fischio. Il ragazzo si affrettò a regolare il suono. Poi, alzò il volume e riprese in mano lo strumento. Salì sul gradino,dalla parte più sporgente del grande terrazzo, chedava proprio verso la parte più vasta della città. Era solo, chitarra indossata a tracolla come un vestito da battaglia. Davanti a lui le case erano vuote. Tutto sembrava avvolto nell’abbandono. Che l’epidemia avesse ucciso ogni uomo? Che la morte avesse ormai lasciato posto alla rassegnazione e al silenzio? Doveva sapere se c’era qualcuno oltre a lui. Se le emozioni umane in qualche modo erano sopravvissute.

Regolò il volume sullo strumento e iniziò con una nota lunga e acuta. Il suono distorto attraverso la città deserta come un brivido. Alla prima nota, Teodor legò la seconda e iniziò lentamente a definirsi la canzone.

La sua più grande passione prese forma. Dallo strumento nacque l’armonia e l’assolo. Ne conosceva tanti di riff, di composizioni per strumento, ma, in quel momento, il maestro David Gilmourrapì la sua fantasia e le sue dita iniziarono a muoversi leggere e precise.

Ogni nota attraversava il deserto di cemento e si fondeva con il tutto. Aveva ragione suo padre, quando gli diceva che, il terrazzo su via dei Mercanti, era il più bel posto per far sentire a tutta la città il suono della chitarra elettrica.

Rapito Teodor da quella musica che magicamente usciva dal suo strumento, sotto il lavorio preciso della sua passione per la musica, chiuse gli occhi e si abbandonò al suo destino; suonare, dare una voce a tutto il suo dolore, reagire così a quell’epidemia che stava tenendo in scacco il mondo intero. Teodor, lui, un semplice ragazzo di provincia, di famiglia semplice, con tante incertezze e delusioni nella vita poteva, con la sua musica, provarci ancora una volta.

Le note, meravigliose, in breve riempirono l’atmosfera di grandi e immense emozioni. Una dopo l’altra rimbalzavano fra i palazzi e diventavano melodia fra il vento della sera.

«Potete sentirmi?», sembrava domandare quella musica meravigliosa. «Ho bisogno di voi, della vostra presenza, del vostro immenso amore.

«Non abbandonate la strada e la speranza, non lasciate che queste note cadano al suolo; raccoglietele. Amate i sogni e il mondo che verrà. Perché verrà un nuovo mondo e dovremo costruirlo insieme.»

Ma nessuno gli rispondeva.

Teodor suonava, occhi chiusi. Distorsione e purezza. Ogni suo gesto era rapito dall’estasi che, da sempre, gli generava nel cuore l’anima più profonda della sua ribellione. Ribellione a tutte le falsità, a tutte le ingiustizie che la vita gli aveva dato: la musica.

Pink Floyd, il desiderio di rompere ogni barriera, ogni distanza fra gli uomini per lui poteva tradursi in quei gesti, in quelle note, nei movimenti sicuri e veloci delle dita sulla tastiera della chitarra.

«Mi sentite! Mi Sentite?»

Fino alla fine… «Mi sentite?»

«Nonostante questa dannata e atroce apocalisse, mi sentite?»

«Mi sentite…»

Ma nessuno poteva rispondergli. Nessuno poteva. Era rimasto solo lui, Teodor, il ragazzo di provincia. Teodor, quello magrolino che a scuola sfottevano. Teodor, che aveva conquistato il suo primo e forse unico amore con la chitarra e che, non parlava mai e solo con la chitarra infondo sapeva esprimere emozioni e sentimenti. L’apocalisse era stata devastante ed era rimasto solo lui; Teodor. Il grande Teodor sul terrazzo di Via dei Mercanti, davanti alla città deserta che, fra le note, suonava una grande melodia: «Non mi arrenderò, non mi avrete mai, combatterò fino alla fine, non mi arrenderò, non mi arrenderò… Combatterò fino all’ultimo assolo.»

Edoardo Andrea Depaoli