recensioni letterarie

La pazienza della lucertola (di Adriana Perez Capogrosso)

Jolie e Titina crescono nella Napoli degli anni Ottanta e appena adolescenti lottano per scappare dal degrado in cui sono nate e si ribellano ai destini di dolore che le attendono cercando conforto una nell’altra. Jolie affida all’amica del cuore il proprio corpo di donna nascente. L’eros si rivela gioia della scoperta del corpo, di pensieri improvvisi, di consapevolezze nuove e sentimenti potenti. In una sessualità vissuta come senso e appagamento, lontana da quella degradante della madre prostituta di Jolie o degli abusi domestici cui assiste fin da piccolissima Titina, le due ragazze imparano anche il potere della volontà e del controllo. Quando Titina confida a Jolie di essere stata stuprata da un compagno di classe e le chiede di vendicarla, Jolie non si tira indietro. Tra le due si stabilisce un patto di sangue che allo stesso tempo le unisce e le separa. In un gioco di specchi che le vede entrambe protagoniste e narratrici, una storia di formazione, segreti e bugie sulla quale nessuna delle due amiche potrà scrivere la parola fine, neanche quando si ritroveranno donne risolte anni dopo.

Recensione di Joe Oberhausen-Valdez Fer

Un romanzo sensuale? Anche. La storia d’amore tra due adolescenti si snoda selvaggiamente, comprendendo diversi decenni, fino ad arrivare a un’età in cui i ricordi, anche nefasti, sconvolgenti, ardenti, violenti, hanno il sapore della bella giovinezza perduta, nonostante alcuni temi trattati siano verosimili, hanno una veemenza che trascinano il lettore tra la concupiscenza ingenua, dolcissima delle protagoniste, e l’orrida prepotenza di altre comparse più o meno sordide.Si è catapultati in un mondo disgraziato il cui sostrato è l’angoscia, la miseria dei derelitti, la penuria, il dolore, a volte addolcito dalla speranza del cambiamento, dal desiderio di amare, di vivere anche quegli istanti, contornati di lordume, con la consapevolezza che ci sono medicine che curano i corpi martirizzati dagli eventi e dagli uomini, risanando nello stesso tempo l’anima, giacché ogni essenza è inscindibile dalla spiritualità e dalla creta che chiamiamo vita.La scrittrice narra con grande stile scorrevole, sciolto, sensualissimo e superlativo nella sua semplicità attraente. È una giostra che ci dà sensazioni fisiche, paura, tremori, trepidazioni, e anche sorrisi, scaraventandoci in quel film come se fossimo noi stessi gli attori o gli spettatori sensienti, gli astanti che interagiscono; un libro che ci imbarca in una roteazione nella quale si diviene un tutt’uno col macchinario. Si scende dalla ruota ancora barcollanti, ancora entusiasti per aver vissuto le scene di un cinema tridimensionale, dal quale siamo usciti vivi. Era proprio un film bellissimo.Complimenti come sempre alla scrittrice de Il palazzo del diavolo.