FANS

di Joe Vanni


 

Dopo una giornata di lavoro davanti a un computer del cazzo, finalmente potevo fare qualcosa per rilassarmi. Andai a spaccare legna per accendere la brace nel giardino sottostante. Fuori c’era un caldo soffocante, e io non lo sopportavo, a me piaceva il freddo, ma forse neanche quello. Grondavo di sudore anche stando seduto, immobile, anche leggendo un libro, ma quando spaccavo la legna quel sudore mi piaceva, e non sentivo più né caldo né freddo. Davanti a un animale che arrostiva lentamente pensavo alla situazione catastrofica in cui l’Europa si trovava in questo dato momento storico. Sbarchi di migliaia di clandestini, possibilità di guerre nel nord del nostro continente, attentati terroristici di matrice religiosa in tutte le principali città europee. Una situazione instabile. La mia preoccupazione, o forse speranza, era che un nichilismo internazionale cominciasse a impadronirsi delle nostre menti, dando inizio a una guerra antropofaga di annientamento della razza umana. Decisi così di costruirmi un bunker. Il progetto era già nella mia mente, e dopo averlo messo su carta avrei iniziato a scavare la settimana successiva. L’indomani sarei dovuto partire con mia moglie all’alba per raggiungere una località remota in una zona dell’entroterra laziale. I due fidati cani li lasciai in affidamento a mia madre, che sebbene vecchia, sarebbe riuscita a “combattere” con loro. Oltrepassato in traghetto un breve tratto di mare che separa la mia isola dal resto del continente potemmo proseguire senza sosta fino a destinazione. Anzi mi fermai in un area di servizio alle 12.50 per pranzare alle 13.00 come per me d’obbligo, bere un caffè riposarmi quella mezz’ora di cui necessitavo da sempre, come un vecchio, riuscendo a dormire in qualsiasi posizione e luogo. Arrivammo alla fattoria verso le 18.00 di pomeriggio. L’uomo che ci ospitava era un tempo giovane, forte, testardo, abbozzato con l’ascia e non rifinito, una specie di incudine indistruttibile. Dall’ultimo invito erano passati anni, ma un male incurabile se lo stava portando via, per cui decidemmo di  fargli visita per vederlo in mezzo noi per l’ultima volta. Non portava più i baffi, era smagrito, sebbene un tempo fosse di corporatura tozza, non beveva più, non fumava. Stava morendo. Entrando per il cancello ci venne incontro, o meglio, ci venne incontro la carrozzella sulla quale stava seduto, spinto dalla moglie. A volte spararsi una fucilata, forse, in certe condizioni, sarebbe una scelta migliore. Un conoscente comune, che probabilmente faceva un tempo il commercialista in una città del nord, dopo essersi separato dalla moglie, ormai povero, quasi mendicante, era divenuto il suo attendente e adesso preparava la carne al barbecue. Vite cadute in disgrazia. Ma quella sera tutto cambiò. Tutto ritornò come un tempo. L’eterno ritorno dell’uguale.

 

La villa era stata circondata da innumerevoli masse di animali feroci, infetti, forse idrofobi, di sicuro pericolosi, e nel buio di quella sera non riuscimmo a distinguere quale fosse l’entità della gravità. Sapevamo che la rete del perimetro esterno ci avrebbe salvato per qualche ora, ma non ci avrebbe permesso di uscire da lì. Eravamo prigionieri. Quella notte, rinchiusi per sicurezza nella casa, dopo aver sprangato porte e finestre, il colonnello mi chiese un bicchiere di grappa e una sigaretta. Stava risorgendo.

 

 

Continua

 

Joe Vanni


 

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