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Il momento giusto, all’improvviso

 

Ora ho la conferma che delle mie sensazioni devo fidarmi sempre… ogni cosa a suo tempo: risposte, soddisfazioni, cadute e rinascite, insomma proprio una miriade di palingenesi. Sono un fottuto genio, anzi una “genia”, visto che sono una donna bella, autoironica e persino intelligente. Stamattina mi sono svegliata con la strana sensazione che stesse per accadere qualcosa di forte, qualcosa di stravolgente e d’improvviso, un evento inusitato. Mi affaccio alla finestra e vedo la neve, che cade per strada e in lontananza, si scioglie nel mare della mia Napoli.

Adoro il freddo, mi tonifica il cervello. Peccato per la circolazione periferica, perché ho le mani e i piedi in cancrena. Oggi mi è andato di traverso il caffè e, in quei pochi, mistici istanti in cui ho visto l’aldilà, ho chiesto scusa per tutti i miei peccati. Che poi non sono così tanti, anche se magari qualcosa potrebbe essere imperdonabile. Ma chi se ne frega. Adoro il caffè, lo berrei sempre, ma mi stava per soffocare, e magari me lo sarei meritata. Bisognerebbe strozzarsi tutti un po’ più spesso, credere di poter morire in quell’istante, e pensare alla salvezza della propria anima. La redenzione, in fondo, ma proprio in fondo, è un buon esercizio per lo spirito. Ma ecco che mentre sto per rimettere qualche peccato e socializzare con Dio – sì, lo so, sono una cretina –, sento suonare il citofono di casa. È il portiere che mi salva dalla redenzione, ma alla fine io non voglio essere perdonata. Ma di che?! Mica sono una stronza?! O forse sì, magari questo pensano gli amici di me, perché sono bella, sensuale, intelligente con un viso da fotomodella… ebbene sì, lo credo anche io, sono una stronza.

Poi è il turno della mamma che suona alla porta perché è troppo faticoso cercare le chiavi nella borsa; dopo qualche minuto ci si mettono al telefono pure quelli delle promozioni che mi perseguitano. Tutto questo solo perché ho appena messo lo smalto, e voglio godermi la mia apatica tranquillità. Insomma, non potrei neanche contemplare il mondo crollare mentre mi rilasso a curare la mia effigie stupefacente e di rara bellezza. Loro lo sanno e tramano contro di me. Spesso sono infastidita da un marasma di persone tutte uguali, dozzinali, fieramente disordinate, che si premurano affinché nessuno alteri il loro caos, perché in quella baraonda vige un ordine occulto, tant’è che sanno sempre dove cercare ogni cosa. Beate loro. Io, nella mia babilonia, non trovo mai niente… ma niente niente. A parte quella cosa lì, che avevo cercato mesi prima e non era saltata fuori, nonostante il rastrellamento da SS e una lunga serie di poco ortodosse “iastemme”. Ecco, la commozione nel rivederla, quando ormai non ci speravo neanche più, è talmente grande che quasi mi indurrebbe a pensare “stavolta ce la farò, adotterò un criterio logico e darò un senso al mio vergognoso bordello, e pure alla mia vita”. Sì… magari domani, perché sono un po’ indolente, anzi proprio pigra. Anzi non ci penso proprio. Mi alzo dalla sedia e corro allo specchio, mi guardo: “cazzo, sono proprio bella…”. Guardo le mie mani, le giro e le rigiro, ammiro le mie unghie lunghe e curate alla perfezione: “siete stupende!”.

Domani è domenica, gioca il Napoli, per me è il giorno sacro della settimana. Ma come di consueto sarò disturbata dal mio gioire, perché arriverà “lei”, anzi “costei”, mia madre, armata di aspirapolvere, quella del 1915-18, con motore a scoppio da aeroplano, perché quelle due briciole non possono restare lì, indisturbate e arroganti, fino alla fine della partita. Questa forma di violenza psicologica si può tranquillamente considerare istigazione al matricidio. Già ci penso, e so che m’infastidirà, ma intanto pensiamo all’oggi che trasvola. Devo correre al lavoro, è già tardi, sbrigarmi. Raggiungo la stazione e mi incontro con una collega. Pure lei è bella, ma non quanto me ovviamente. Ci mancherebbe! Raggiungiamo lentamente, mai di corsa, il binario. Sembriamo selvaggine nel mirino di qualche cacciatore, prede succulente, gustose, sopraffini, ricercate e prelibate. Ci ferma un ragazzo, un sorriso a “sessantaquattro” denti. Ci riempie di complimenti, in particolare a me, manco a dirlo: “che bei capelli, unghie perfette, sguardo da diva, occhi meravigliosi, ecc. ecc.”.

Lo osservo perplessa, mi sorge uno strano dubbio, che lui stesso scioglie… Congedandosi esclama: “nella prossima vita, spero che Dio mi dia le tue sembianze. A proposito, di che marca è il tuo rossetto?!”
Morale della favola: è palesemente gay. Comunque un complimento fa sempre piacere e me lo godo, perché sono bella davvero. Me lo merito. Io valgo, sono bellissima, io posso tutto. Dieci ripetizioni tre volte al dì. È un corso accelerato di autostima, e se non dovesse bastare, andrò a comprarmi un paio di scarpe e mi sentirò onnipotente. Io sono divina… ça va sans dire.

Poi saliamo sul treno e ci sediamo. Guardo fuori dal finestrino e penso, rapita dal rumore del convoglio che esce dalla stazione e attraversa campi sterminati. Mi sprofondo in un soliloquio, ossia il miglior dialogo che io possa fare: “fatti un favore, rimani come sei. Ci saranno momenti migliori, anche se i momenti peggiori, quelli che non significano niente, sono quelli che significano tutto”.

A volte credo che potrei essere pure un filosofo, esistenzialista… si capisce.

Io amo e vivo l’attimo, quel tempo che scorre inesorabilmente, un disgraziato di tempo, il “panta rei”, il momento e basta, hic et nunc. Adoro cogliere ciò che accade adesso, il fugace, immutato nella sua sensazione di evento che non ritorna più, che sparisce nell’attimo stesso in cui diventa mio, e poi scompare senza scopo. In fondo mica tutto deve avere un senso… Se il mio mondo, o quello degli altri, avesse avuto davvero un senso, lo avrebbe già raggiunto.

E invece io vedo lo scorrere della gioia in un vortice veloce che si allontana in un baleno. Forse sto solo fantasticando, sono in estasi, rapita in un sogno. In questo sogno… mi ci devo portare! Il sogno è sempre il brivido vero di una piccola leggerezza passeggera, dove tutto è possibile. Almeno in teoria. Ecco, vorrei andare a vivere in “Teoria”, perché in Teoria va sempre tutto bene. Farei ogni cosa con delicatezza. Sì, dovrei usare finezza nel sentirmi, vivendo nascosta da un velo, come se fossi eterea, anche quando la sensazione è profonda.  Vorrei che gli eventi accadessero come stupori impalpabili, li affronterei davvero con una sensibilità sublime e volatile… Tanto tutto è caduco, quasi inesistente, come un qualcosa che non si è mai avverato. Lo so che non sono coerente nelle mie elucubrazioni. Ma tanto sto solo sognando, ammazzando il tempo che su questo binario mi porta da qualche parte, dove io già so. Ma vorrei approdare in un luogo non prestabilito. Vivo. La routine mi soffoca, come la coerenza e la logicità asettica del già fatto, del susseguirsi noioso degli stessi giorni interminabili e amorfi. La stabilità è una gran cosa… ma può anche essere molto soporifera, estremamente deleteria. Ogni tanto occorre cambiare idea, altrimenti la testa saprà di chiuso e partorirà un essere intriso di muffa.

Scendo dal treno, raggiungo a piedi come sempre il posto di lavoro. Arrivo nel mio ufficio mi siedo alla scrivania, guardo a sinistra i soliti scaffali, di fronte a me dalla finestra compare il cielo. Vorrei essere lontana, “lassù” da qualche parte, per osservare dall’alto la noia passata… che mi ottenebra mentre sono qui a riflettere. Vorrei essere ad assaporare e godere diversamente questo tempo che lentamente mi corrode, tra scartoffie e altre carte. È una malinconia passeggera. L’oggi è già finito, senza che io possa fermarlo. È un fluire inarrestabile che non ho goduto. Avrei dovuto viverlo.

È domenica, sono ancora a letto con una specie di mal di schiena.

Quando ho il mal di schiena di solito devo sempre lavarmi i capelli. Va be’, mi alzo.
Così, dopo circa venticinque anni dall’ultima volta, mi faccio fare lo shampoo da mia madre. Mi ha bagnata tutta, lo shampoo mi è finito negli occhi, che sono diventati rossi come quelli di una tossica, mi ha portato via circa venticinquemila capelli nel tentativo di pettinarli, con grande sofferenza per il cuoio capelluto e per il mio animo sensibile alle perdite, alle perdite in generale.
Ora finalmente capisco, anzi, ricordo, perché per tutte le bimbe del mondo il momento dello shampoo è un evento traumatico. Quasi più della sciatica.

Oggi c’è un bel sole in questo deserto. Ha smesso di piovere ed è uscito l’arcobaleno. Dopo un periodo con un tempo un po’ schifoso, iniziare il giorno con l’arcobaleno mi fa spuntare un sorriso.
La vita è bella. Corro alla specchio e mi metto in posa, assumo diverse posture smorfiose e mi dico guardandomi negli occhi: “sei proprio bella!”. Sì, lo so, a volte sembro ripetitiva. Entusiasta vado in balcone e vedo la gente che deambula come zombie. Uomini replicanti e senza essenza vitale, che annegano sull’asfalto il loro vivere senz’anima. Bruciano gli attimi come se fossero interminabili. Non capiscono, non riflettono, non vedono. Si trascinano senza afferrare l’istante, il fermoimmagine perfetto. Il momento giusto che avviene all’improvviso… quando meno te lo aspetti. Un pensiero dedicato a coloro che vivono i rapporti umani con il freno a mano tirato…

Vorrei osare e varcare limiti inarrivabili, cercando di soddisfare il brio che ho dentro, che mi soffoca e che mi farà scoppiare di gioia o di dolore; vorrei andare al di là di questo vivere piatto, a rischio di soffrirne, di cadere e sfracellarmi, sbattere le ali nel crepuscolo di un cielo che mi farà volare come un’aquila o precipitare come un’oca. Ma almeno saprò cosa sono. E lassù sarò sola, senza un uomo a proteggermi. Quaggiù basterebbero, per tenermi al sicuro, anche un cappotto di cachemire e un paio di occhiali scuri, perché ci sono casi in cui nessuno ci deve guardare nelle nostre profondità.

Mi basterebbe un brivido lungo la schiena a illudermi, e vorrei che fosse il desiderio di aver trovato un pozzo in questo deserto senza senso. Ecco adesso mi sento illusa. Sono “strana”, metà fata e metà demone. Occhi profondi e insondabili, quasi vitrei. Una strana sfinge che riflette sul tempo che scorre inesorabile, senza viverlo mai veramente. Qui e adesso, chiusa nel mio sogno, col sole in faccia da cui mi riparo con un ombrello. Ho l’aria di una malinconica incompresa, ma dentro l’animo sento che qualcosa di me arde e vuole traboccare, vuole venire, venire fuori. Questa sono io.

A volte il peggio è il meglio che possa capitarmi. E me lo prendo. Smetterò di cercare l’altra metà della mela. Non tutto deve essere completo, e l’amalgama perfetto è solo un’illusione. In fondo le fragole stanno bene con il cioccolato, le pere con il gorgonzola, il melone con il prosciutto. Coppie ardite, gusti sorprendenti. Dentro alla diversità, nell’estemporaneità del diverso, negli occhi infiniti che si guardano, cercandosi, vi sono mondi possibili, sebbene non eterni… Senza un temporale, di tanto in tanto, come faremmo ad apprezzare i giorni di sole, il valore delle parole, le sensazioni sconvolgenti che penetrano all’improvviso nel nostro sguardo e ci fanno palpitare e battere il cuore come una locomotiva sovietica. E in quell’attimo forse dovrei amare e scegliere quel lampo che compare e poi sparisce, mi scompiglia e poi si dissolve. La scelta… di non farmi condizionare da qualcosa che considero secondario e non duraturo, di non tenerne conto, di separare ciò che sento da ciò che penso. Scegliere è sempre coraggioso. Ed ecco sorgere la paura, il coraggio, la forza. Scoprire che si può cadere. Devo cadere per imparare a volare. Le persone che non vedrò più, alcune le dimenticherò in fretta, altre mai. Questa è una vita diversa, forse vera, quella che mi distrugge: prove difficili, nuovi inizi. Vincere, perdere, scommettere ancora. I sogni, il tempo che li trasforma. Le emozioni forti… Tutto il resto è un sepolcro.

Vorrei l’amore che mi rende fragile, l’amore che mi fa sentire onnipotente, una fantastica storia, impossibile, che mi faccia sbagliare ancora una volta, che mi faccia perdere nella riscoperta del fascino del buio. Nessuna certezza, solo belle sensazioni, di qualità estrema, extrafondente, come un cioccolato che si gusta ed è già finito. Credo sempre di avere idee supreme finché non scopro che lo sono solo per me. Certe sensazioni mi attraversano, mi scuotono, mi ispirano… mi fanno sorridere, nonostante tutto intorno a me suggerisca amarezza. Sono emozioni che non mi aspettavo e che forse nemmeno credevo possibili, eppure sono così profonde e vere che in qualche modo guideranno le mie scelte future… perché vorrò riviverle e le cercherò disperatamente. Me lo merito, perché quello specchio mi dice sempre che sono bella, me lo dicono tutti. Sono stravolgente. È il fascino dell’attimo.

Sento una voce che mi sveglia, mi butta a terra dai miei pensieri. È mia madre. “Ilariuccia, che fai? Smettila di sognare, sei peggio di una mosca, a mamma, sei attratta solo dagli stronzi…”.
 

Racconto scritto a tre mani più una

 

Ilaria Di Leva e Joe Oberhausen-Valdez

 


 


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