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Ma perché gli zombie fanno così paura? Giuseppe BUFFARDECI tenta di rispondere alla domanda con un interessante articolo.


 

FILMS CON ZOMBIES PER TUTTI I GUSTI, LIBRI, FUMETTI, SERIE TELEVISIVE, SPOT PUBBLICITARI, VIDEO MUSICALI DI ENORME SUCCESSO, SCENETTE COMICHE ED ANCORA MOLTO, MOLTO DI PIÙ E SOPRATTUTTO SEMPRE OLTRE.
Da anni il soggetto zombie o zombi, come ormai italianizzato, è entrato nella vita culturale anche di noi uomini del terzo millennio.

La superstizione e le immagini legate a riti vudù, prodotti da una cultura di uomini poveri e al limite della disperazione, si sono progressivamente impadroniti dell’immaginario comune dell’uomo moderno. E’ più probabile che un bambino od un nonno sappia spiegarvi con straordinaria precisione le caratteristiche di uno zombie piuttosto che i sintomi o le conseguenze fisiche causate da uno solo tra i peggiori virus più mortali che l’umanità ha affrontato ed ancora combatte.
L’influenza Aviaria, l’HIV, l’Ebola, la SARS, la febbre Gialla e la Malaria sono universalmente meno conosciute del virus del “morto vivente”.
Si potrebbe dire che chiunque conosce a fondo il mondo zombi: come si muovono, come si nutrono, come ci si infetta, come ci si diventa e come ci si difende. Ma perché questo sempre crescente interesse, perché i mezzi di comunicazione hanno capito trattarsi di filone redditizio e quindi da utilizzare e servire nelle più svariate salse?

Lo zombie affascina e terrorizza.
Stranamente questo “personaggio” ha valicato i confini dell’horror rompendo lo schema che lo relegherebbe ad argomento per gli appassionati di un genere specifico sino a divenire fenomeno sociale.
Questa notorietà ha surclassato illustri colleghi tra cui i notissimi vampiri e lupi mannari.
Non è quindi il solo piacere del brivido o dello splatter che ha determinato la fortuna del morto vivente.

Lo zombi è un cadavere tornato a muoversi, con tutti i limiti che un cadavere può avere, senza alcuna intelligenza, senza dinamismo e soprattutto senza cattiveria e volontà; è al sorprendentemente meno spaventoso, meno pericoloso e mortale ed ancor meno “splatter” di altri mostri, anche se proprio il termine “cinema splatter” fu coniato per la prima volta proprio dal regista statunitense George Romero per descrivere il suo film Zombi, diretto nel 1978.
Lo zombi è un corpo esanime ed è la rappresentazione fisica della morte.
La morte per l’uomo non è solo un evento biologico. L’umanità combatte l’idea della morte rendendola un fatto esterno, qualcosa di lontano da sé che arriva indesiderata ed inaspettata come un’entità straniera.

Un semplice sistema per esorcizzare la morte è sempre stato quello di rappresentarla: Anubi, Osiride e Nefti per gli Egizi, Thanatos per i greci, i Sei Angeli per gli ebrei, gli angeli Samaele e Michele nel Cristianesimo, Azrael per l’Islam od ancora il Tristo Mietitore, uno scheletro che brandisce una falce a volte vestito da un saio, una tunica o da un mantello di colore nero munito di cappuccio, nella visione popolare.
Quale soggetto indipendente, con esistenza propria ed aspetto antropomorfo, diviene un forte stimolo per la fantasia dell’umanità che nei secoli l’ha mitizzato e quindi raffigurato.
Eppure la morte è sempre un essere superiore con caratteristiche oltre l’umano, con una sua morale e perspicacia.

Lo zombie no, il “morto vivente” diviene una nuova personificazione dell’entità, un feticcio che finalmente si sgancia da miti ed esseri soprannaturali per giungere al nostro livello.
Tutti noi paventiamo ciò che non conosciamo e tra queste cose la morte è un elemento primario,
L’ignoto, l’inspiegabile, l’estraneo, il misterioso ci crea forte disagio: ne abbiamo paura. Il primordiale istinto di sopravvivenza ci spinge a negare ed eliminare l’incognito ma, nello stesso tempo, la paura di avere paura ci attrae.

Ed ecco il nostro feticcio: “la morte che cammina”. Tramite lui vediamo la morte in tutte le sue manifestazioni più terribili in un bambino, in una bellissima giovane, in una famiglia; ne cogliamo tutto ciò che comporta: l’anomia, la disfatta del corpo, la debolezza del fisico, la putrescenza. Tutto ciò che comporta ci appartiene, fa parte del nostro destino, è la nostra ineluttabile fine.
Finalmente il nemico ha un volto ed è lì di fronte. Possiamo affrontarlo, combatterlo ed a volte vincerlo. Vincere la morte.
La morte personificata si può vedere, affrontare, combattere e spesso vincere.

Ma che avversario formidabile è lo zombie.
La morte rappresenta il nostro più terribile nemico ma incarna molto altro che spesso ci fa ancora più paura … la sofferenza, il dolore, le ultime ore.
L’angoscia di morire è soventemente paragonabile a quella della morte. Non è un controsenso: la morte è ciò che c’è quando non c’è più la vita mentre il morire è la fase terminale della vita.
Quando si parla di morte o di paura di morire si può quindi parlare di cose differenti: l’angoscia della fine, del termine di tutto, del dopo-vita o dell’ultima fase della vita che potrebbe avvenire in modo violento o doloroso. Cosa ci aspetta dopo e come ci arriverò?
Nuovamente ecco una delle rappresentazioni più spaventose di questa temuta fase: lo zombie.
Non è vivo, non è morto, non trapassa, vaga in una fase che tutti vorremmo avvenisse nel modo più veloce ed asettico possibile. Morire per l’eternità in un purgatorio terreno senza salvezza. Il dolore nello scempio del proprio corpo e nella solitudine. Un incubo senza fine.
Che avversario formidabile è lo zombie.

Ma non basta: lo zombie meglio rappresentato è un essere ormai in putrescenza, sporco, orrendo alla vista e terribile all’olfatto. Non è come noi, ci assomiglia ma non è come noi. E’ il diverso, colui che non vorremmo mai diventare e neppure avere accanto, il deviante, lo straniero che ha invaso la nostra terra e che agisce per sopraffarci.
L’uomo, come qualsiasi altro animale, ha un comportamento originario che tende a salvaguardare il proprio gruppo omogeneo e quello che ha deciso essere il proprio territorio. Questa reazione deriva da un atteggiamento di rabbia verso chi entra nella sua sfera sociale con peculiarità diverse da quelle da lui culturalmente riconosciute ed accettate.
Dapprima l’insicurezza, la diffidenza ed i pregiudizi che portano all’intolleranza, alla paura ed infine all’odio… in un termine: alla xenofobia.
Per sentirci probi e socialmente corretti non possiamo esprimere il fastidio che sentiamo nell’avere accanto il vecchio clochard che vive all’angolo della stazione come non ci permettiamo di manifestare il disturbo che proviamo nel sederci accanto all’immigrato ancora non soggetto alle nostre regole sociali.

Ma che avversario formidabile è lo zombie: finalmente possiamo combattere l’alieno per eccellenza e sentirci giusti e giustificati anzi … quasi degli eroi!

Lo zombie è solo, vaga senza nome nel mondo, è un signor nessuno che passa la sua esistenza aspettando qualcosa o qualcuno, sopravvive al suo stato e perdura questa sua condizione senza poterla mutare. Nel 1897 Durkaim aveva coniato per questo stato dell’essere proprio il termine “anomia”, assenza di nome, per definirlo come la causa sociale principale del suicidio.
L’uomo, di fronte all’impossibilità di realizzare le proprie ambizioni, cadrebbe in uno stato di angoscia e frustrazione da farlo sentire privo di se, privo di vita sino a sentirsi solo tra la gente, incompreso, incapace di vivere sino al drammatico epilogo.
Quale destino orrendo da evitare, quale stato che si vorrebbe respingere, quale situazione che tutti aberriamo e che neghiamo per poter andare avanti e cancellarlo dal nostro destino.
Ma che avversario formidabile è lo zombie.
L’uomo è un lupo per l’uomo.
Quale perfetto complemento per questa figura: il morto vivente ci mangia … ci divora mentre siamo ancora vivi, con una crudeltà asettica e immorale.
La “paura del lupo” come tutte le zoofobie è ancestrale. Si risveglia l’atavica angoscia di essere divorati che ricorda quegli istinti primordiali che sembrano non appartenerci ma che tuttavia ci sono e trovano fondamento nella vita pulsionale dei primi anni di vita dell’uomo.
In psicoanalisi viene considerata la proiezione sul mondo esterno del desiderio del bambino di mangiare ed incorporare.
Il lupo è dentro di noi ma lo trasferiamo fuori e lo rappresentiamo come

estraneo quale sistema difensivo che tutela l’integrità psichica da pericolose pulsioni.
Lo zombie è il lupo che risveglia tutte quelle tendenze istintive che neghiamo ma che ci appartengono così profondamente da turbarci.

Per eliminarli possiamo usare tutti i sistemi possibili senza timore di entrare in contrasto con le norme e le regole sociali. Possiamo liberare la fantasia per sfogare la creatività nella sfera della violenza e dell’aggressività: nessun limite e nessun rimorso.
Lo psicoanalista Erich Fromm, nel suo saggio Anatomia della distruttività umana, precisa a tal proposito che la crudeltà e la distruttività, sono specifici della specie umana e praticamente assente nella maggior parte dei mammiferi; “l’aggressione maligna” non è programmata filogeneticamente e non è biologicamente adattiva; non ha alcuno scopo e, se soddisfatta, procura voluttà.
Omo Omini Lupus.

Ma che avversario formidabile è lo zombie e che piacere eliminarlo …

Lo zombie è tutto quello che temiamo sia a livello conscio che inconscio, è la madre di tutte le nostre angosce, è l’insieme di tutte le nostre paure così reali da apparire irreale.
Nello stesso tempo è l’incarnazione di queste paure, è l’occasione per affrontarle e combatterle dando libero sfogo a tutti gli istinti che ci appartengono ma che socialmente vengono controllati, limitati, e repressi.
Il “morto che cammina” è il terrore che ci affascina, la paura più profonda che si palesa, la realtà che vogliamo evitare ed infine l’insieme delle pulsioni reiette che ci danno piacere.
L’avversario formidabile.

 

 

Giuseppe BUFFARDECI


 

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