FANS

di Alessandro UNDICI


Consapevolezza

Perfetto, la mia t-shirt preferita è completamente sporca di sangue, praticamente è da buttare. La giornata non poteva iniziare peggio, vaffanculo.

In compenso ho imparato una nuova lezione, se voglio liberarmi una volta per tutte di questi instancabili divoratori di carne umana, devo fargli saltare le cervella! Insomma pare proprio che l’unica parte sensibile sia la testa.

Poco fa ne ho investito uno, anche se a dire la verità è stato lui a gettarsi sotto al mio Pick-Up.

Che ci crediate o no ho fatto di tutto per evitare che finisse spappolato. Ho sterzato cercando di schivarlo ma era troppo tardi, l’auto è sobbalzata come se avessi preso un dosso e mi è parso di sentire il rumore delle ossa del malcapitato che si frantumavano sotto i pneumatici. Subito dopo l’impatto sono anche finito fuori strada terminando la mia corsa contro un albero. Ricordo di aver perso conoscenza per qualche attimo, al mio risveglio il clacson suonava ininterrottamente… colpa della mia testa appoggiata al volante. Era tutto sfuocato e mi girava la testa, che botta cazzo! Grondavo sangue dalla fronte e l’auto non era messa tanto meglio, dal cofano usciva del fumo, era andata, dannazione! Ero sicuro di aver ammazzato quel povero Cristo. Sono subito sceso a controllare e con mio enorme stupore, l’ho trovato in piedi, al centro della carreggiata ma era evidente che non fosse un sopravvissuto; anche lui aveva già varcato i confini dell’oltretomba e non avevo bisogno di ulteriori conferme a riguardo, data la dinamica dell’incidente. Per colpa di quel dannato bastardo il mio mezzo si era appena trasformato in un colabrodo, ero così incazzato che non ci ho pensato due volte, ho estratto la pistola e bang!! Primo colpo a vuoto, non ci potevo credere, era a 30 metri e lo avevo clamorosamente mancato. Diedi la colpa al fatto che mi girava ancora la testa ma la realtà è che forse ero semplicemente fuori allenamento, poco importava. Avevo mancato il bersaglio, sapevo di non poter sbagliare di nuovo ed ero ancora più incazzato così mi avvicinai, mirai, premetti il grilletto e lo colpii, in pieno petto, cadde all’indietro come un sasso. Non feci neanche due passi nella sua direzione che lui si rialzò, di scatto. Una goccia di sudore venne giù dalla fronte, un brivido freddo percorse la mia schiena. Cazzo! Lo avevo dapprima investito e successivamente colpito in pieno e lui si era, ancora una volta, rialzato come se niente fosse. Roba da film horror a cinque stelle, credetemi. A giudicare dalla sua espressione facciale il tizio sembrava parecchio nervoso e si stava avvicinando con fare minaccioso, ma fidatevi, io ero ancora più incazzato e nervoso di lui. Avevo già sprecato troppo tempo e proiettili, ero più infastidito che intimorito; così gli ho puntato nuovamente la pistola contro, questa volta ho mirato alla testa e bang! Un altro colpo è partito e spam, la fronte è stata centrata! Che ve lo dico a fare, una frazione di secondo dopo il cervello del malcapitato era sparso lungo tutto il chilometro quattro della statale. “Non è così che si fa l’autostop cazzone!” affermai compiaciuto. Finalmente quel poveretto (o meglio ciò che ne rimaneva) avrebbe potuto trovare un po’ di pace. “Un pericolo in meno per la comunità” pensai. Ancora una volta non provai nessun senso di colpa, non avevo alternative… D’altronde mors tua, vita mea. Il bello di tutta questa faccenda è che ci stavo prendendo gusto, questi dannati figli di puttana facevano di tutto pur di rovinarmi le giornate, una bella lezione era proprio ciò che gli serviva.

Per la prima volta nella mia vita sentivo di non essere io a caccia di guai, ma erano proprio i guai che cercavano me. Tornato al mio Pick-Up ho così raccolto in fretta tutto ciò che poteva servirmi, scaricato la moto dal cassone e proseguito il viaggio. Non potevo sapere se ci fossero altri rompipalle nei paraggi e non avevo nemmeno voglia di scoprirlo, dovevo muovermi.

Ma facciamo un passo indietro e torniamo a ieri. Mosso quasi inspiegabilmente, da un ritrovato senso civico, pensai che forse sarei stato d’aiuto nella vicina cittadina. Che la mia non fosse una grande idea lo pensai sin da subito, ma varcati i confini cittadini ne ebbi la conferma. Decisi di scendere dall’auto e proseguire a piedi, ovviamente non senza aver prima imbracciato il mio M4, che aveva il prezioso dono di farmi sentire al sicuro. Le vie d’accesso erano impraticabili, il fumo provocato dalle fiamme che si propagavano incontrastate, rendeva l’aria acre e irrespirabile. Le strade erano disseminate di automobili abbandonate, la maggior parte delle quali ancora incolonnate; i marciapiedi erano disseminati di vetri rotti e rifiuti di ogni tipo; sui muri notai anche delle chiazze di sangue. Gli allarmi dei negozi, ormai depredati continuavano a suonare all’impazzata e si mescolavano ai rumori delle sirene dei mezzi di soccorso. Tutti quei suoni, quei rumori mi disorientarono. Udii delle urla, ma non capivo da dove provenissero poiché nonostante fossimo in pieno giorno, la visibilità era pessima. Tutto questo era solo il preludio all’inferno che stava per presentarsi innanzi ai miei occhi. Non percorsi nemmeno venti passi che fui testimone di una scena raccapricciante. C’era una donna a pochi passi da me, era in ginocchio e accanto a lei ciò che restava del corpo di una piccola bimba. Capii subito ciò che stava succedendo, quell’essere continuava ad accanirsi sul piccolo corpicino ormai esanime, la stava letteralmente smembrando; purtroppo non c’era nulla che potessi fare per salvarla. Potevo solo renderle giustizia e porre fine alle scorribande di quella puttana maledetta e così feci. La trivellai di colpi e le urlai contro, come un ossesso. Volevo sfogare tutta la mia rabbia, avrei voluto riportarla in vita per ammazzarla di nuovo, lo giuro. Ma devo essere sincero, una lacrima solcò il mio viso, impossibile restare insensibile davanti a tutto ciò. Come impossibile sarà anche dimenticare… se solo fossi arrivato un po’ prima.

Dopo aver fatto fuori quella bastarda però, non ebbi il coraggio di avvicinarmi. Avevo già sofferto abbastanza e non volevo che il viso di quella povera anima mi tormentasse per il resto dei miei giorni. Decisi così di rimettermi in cammino, percorsi non più di duecento metri in direzione del centro città e fu in quel momento che li vidi. Erano lì. Proprio difronte a me. Tanti, tantissimi, un’ intera orda di appestati, lerci e affamati che brancolavano per strada, tutti mossi dallo stesso impulso, da una instancabile voglia di divorare gli esseri umani. Erano troppi persino per il mio fucile, ed erano ovunque, Cristo quanto avrei voluto farli fuori, tutti! Di sopravvissuti invece non vidi neanche l’ombra, di sicuro se c’erano se ne stavano tutti rintanati in casa. Pochi istanti dopo udii un frastuono metallico, sempre più vicino. Dopo qualche istante capii, era provocato da un blindato militare in avvicinamento, stava sfrecciando a tutta velocità dalla direzione opposta alla mia. Travolgeva tutto ciò che incontrava, si faceva largo tra le carcasse di automobili, mentre l’artigliere continuava a riversare imperterrito chili di piombo nei corpi di quei disgraziati. Li abbatteva come se fossero sagome per le esercitazioni.

Per ogni dannato bastardo che veniva abbattuto, ne arrivavano altri dieci, probabilmente attratti dal rumore. Il blindato mi sfrecciò accanto, frenò poco dopo, qualcuno a bordo si accorse della mia presenza. Il mezzo ingranò la retromarcia e mi si accostarono, uno di loro urlò: “Scappa amico mio, la città è spacciata, noi ci stiamo ritirando, pensa a salvarti il culo”. Quelle parole pesavano come macigni nella mia testa, in quel momento facevo fatica a realizzare quello che stava realmente succedendo. Non riuscivo a capacitarmene e non ero neanche convinto che ciò che stavo vivendo fosse reale. D’altronde come poteva esserlo?! Scene simili le ricordo solo nei film di fantascienza. Rimasi paralizzato, immobile, sguardo perso nel vuoto. Era una sensazione stranissima, avrei voluto scappare via, con tutto me stesso, ma non ci riuscii. Un’intera città sopraffatta, distrutta, nel caos. Ripresi conoscenza dopo qualche secondo, appena in tempo fortunatamente. I militari erano andati via e l’orda si avvicinava minacciosa. Erano tantissimi, così tanti da non riuscire a contarli. Un centinaio di metri mi separavano dalla loro bocca, sentivo la puzza di morte nell’aria, sapevo che se fossi rimasto fermo qualche istante in più mi sarebbe toccata una fine orribile. Sarei diventato la portata principale del loro banchetto. Avrebbero di sicuro fatto a gara per accaparrarsi un pezzo del mio corpo e di me sarebbero rimaste solo le ossa. Non ero pronto a tutto questo, non era il finale che avevo immaginato. “Se devo morire, lo faccio a modo mio” gridai.

Scappai via a gambe levate, mi rimisi in macchina e partii sgommando.

Tornando ad oggi, ho passato la prima notte post-apocalisse nella mia auto, in una strada sterrata di campagna, sapevo che nessuno mi avrebbe cercato lì, anche se avevo riposato poco e male. Gli incubi mi hanno tormentato per tutto il tempo; l’alba è stata quasi un sollievo.

“L’uomo che non possiede nulla, non ha nulla da perdere” è la frase che ha accompagnato il mio risveglio. Questo da oggi sarà il motto della mia vita. Questi che vi ho descritto sono gli attimi che hanno preceduto l’incidente. Ora avendo distrutto il mio Pick-Up sono stato obbligato a proseguire il viaggio in sella alla moto. Ho percorso svariati chilometri e dopo parecchie ore di viaggio ho fatto un pit-stop in una stazione di servizio, abbastanza fuori mano. Qui ho trovato un gruppo di uomini, intenti a fare razzie all’interno del piccolo market. Ho parcheggiato di fretta e mi sono unito agli sciacalli, avevo bisogno di qualcosa per curare le ferite, un po’ di alcool per tirarmi su e un po’ di provviste per il viaggio. Ho scambiato qualche informazione con quella gente, anche loro stavano scappando dalla città, diretti a nord, sulle montagne. Convinti che lì la situazione sia migliore. Alla loro domanda: “E tu, hai un posto dove andare?” Ho risposto che preferisco spostarmi e restare sempre in viaggio, piuttosto che barricarmi in qualche rifugio angusto e inospitale. Così mi sono medicato la ferita con qualche garza e un po’ di disinfettante, caricato lo zaino con un po’ di cibo in scatola e qualche bottiglia d’acqua, fatto il pieno alla moto e sono ripartito. Ed ora eccomi qua, di nuovo in viaggio, davanti a me un’infinità di spazi aperti. Non ho più confini, sfreccio veloce incontro al mio destino con la consapevolezza di essere ancora un uomo, ancora libero.

Alessandro Undici


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