FANS

di Luca Pennati


Avendo saputo della mia passione per le questioni macabre un amico medico mi invitò a presenziare ad un’autopsia giusto per vedere se fossi stato in grado di resistere. Mi lanciò, diciamo, una sfida. L’accettai, sorridendo.

Quindi mi presentai di buon mattino al reparto di anatomia patologica dell’ospedale dove il mio amico lavorava.

La cosa che mi colpì subito è che l’aria vicino all’edificio era impregnata di profumo di brodino e mi chiesi chi stesse cucinando a quell’ora…

Lo chiamai al cellulare e mi venne a prendere. Era un po’ trafelato e agitato. Mi disse che non era un buon momento. Sperando di non essere d’impiccio insistei di poter vedere cosa stava bollendo in pentola.

Con malcelato stupore, appresi che il prelibato profumo di brodino che sentivo era carne che cuoceva, o meglio che veniva spolpata dalla ossa negli ambulatori di medicina legale. Se devi analizzare le ossa devi togliere la carne e non c’è metodo migliore di lessarla come faresti con un bel pezzo di manzo o pollo. Dal profumo immaginai tutti i gourmand della zona intenti a preparare salse verdi e mostarde…. Ma non ero lì per quello.

Il doc, così lo chiamavamo, mi disse che si era verificato un imprevisto e non sapeva quando e come si sarebbe risolto. Tuttavia la nostra amicizia riuscì a farmi introdurre nel laboratorio giusto.

Doc camminava spedito. Io dietro di lui tenevo il passo guardandomi in giro, veramente incuriosito. Facendo strada mi disse che stavano lavorando ad un caso particolare. Di norma un’autopsia, in base all’art. 8 del regolamento di polizia mortuaria, per poter esser svolta devono essere trascorse 24 h dal decesso a meno che non ci si trovi in presenza di un maciullamento o di una decapitazione.

Il caso in esame, mi disse, prevede entrambe le cose, più o meno. Ero sempre più incuriosito. Mi lasciò nello spogliatoio dove indossai camice, calzari, cuffia, guanti e mascherina dopo essermi cosparso di uno strato di Vicks sotto il naso. Il vasetto era a disposizione vicino al lavabo e consigliatissimo. L’odore sarebbe stato forte.

Aldilà della porta dello spogliatoio sentii Doc parlare con altra gente ma non capivo cosa stessero dicendo. Percepii solo alcune parole che assomigliavano a: legatomorde… Pensai si rivolgessero ad un cane… e mi feci qualche domanda: chi cacchio poteva aver portato un cane lì dentro? Io ero bardato dalla testa ai piedi e c’era un quadrupede libero di andare in giro? Senza indugio andai a vedere.

Per prima cosa Doc mi accompagnò nella stanza del briefing dove, mi spiegò, l’equipe medica si riuniva per esaminare i casi.  Gli chiesi: perché tutte queste formalità? Pensavo che il medico legale lavorasse sostanzialmente da solo. Mi disse che non era questo il caso… il loro compito era molto più approfondito e necessitava di pianificazione anche nei minimi dettagli, sicurezza inclusa. Sicurezza? Da chi? – gli chiesi. Da contaminazione, da agenti patogeni aggressivi, immaginai. Mi illustrò le fasi dell’autopsia a cui avrei assistito in modo da essere pronto.

Tanto per cominciare, l’esame esterno era già stato fatto. Il paziente (e mi chiesi perché non disse “cadavere”) presentava grosse lacerazioni addominali, indumenti sporchi, maleodoranti, imbrattati di terriccio. Cosa particolare, il paziente non poteva considerarsi fresco, la putrefazione avanzava velocemente. Presumibilmente il paziente era morto in seguito alle ferite riportate con conseguente dissanguamento. Avrei assistito direttamente all’esame interno.

Quindi mi introdusse nella sala. Davanti a me si presentarono due assistenti. Uno dei due imbracciava un mitragliatore. Mi guardai in giro spaesato, Doc fece cenno di spostarsi. Lasciarono la loro posizione e potei vedere il tavolo settorio sul quale giaceva nuda la salma.

Era un maschio, bianco. Bianco per modo di dire, in realtà la pelle era grigio/bluastra. Era incatenato mani e piedi e una fascia di cuoio ancorata al tavolo passava sulla fronte per tenere la testa ferma.

Nel mentre mi avvicinai al tavolo, mi dissero di non toccarlo (non ne avevo comunque la più fottuta intenzione). Non potei fare a meno di fissare le orbite acquose e giallastre che si torsero cercando la provenienza del rumore prodotto dei miei passi.

Fu uno shock. Uno sganassone in pieno volto! Doc mi prese per il gomito e mi spinse dall’altro lato del tavolo, dove c’era il tavolo d’analisi ingombro di cose. Le cose, da vicino, acquistarono il loro nome corretto; erano gli organi interni del malcapitato sottoposto ad autopsia da sveglio: polmoni, reni, fegato e cuore.

Diamine questo fu veramente troppo. E quella cosa continuava a fissarmi.

Doc mi guardò e mi chiese se avessi mai visto uno zombie prima d’ora. La domanda mi spiazzò. Che cazzo avrei potuto pensare? Ovviamente no. Ero fermo alla teoria, ai libri scritti, ai romanzi e ai film. Quello che mi trovai davanti era fottutamente reale e anche più impressionante rispetto a quanto avessi visto fino a quel momento.

Prima che arrivassi avevano infatti praticato il classico taglio a Y sul torace, segato lo sterno e divaricato le costole per mezzo di un costotomo e divaricatore (il primo taglio è fatto con una forma di Y. Le braccia della Y si estendono dalla parte anteriore di ogni spalla fino l’estremità inferiore dello sterno. La coda della Y si estende dallo sterno fino l’osso pubico e tipicamente devia per evitare l’ombelico. L’incisione è molto profonda.)

Il costostomo è un attrezzo interessante: simile alle cesoie da cucina, consente l’asportazione del piastrone sternale per l’esplorazione della cavità toracica, mediante vari tagli che vengono effettuati sulle costole lungo il margine cartilagineo, dove il taglio risulta essere più netto e preciso evitando di tagliare direttamente l’osso che potrebbe scheggiarsi e risultare pericoloso per chi inserisce le mani.

Quindi avevano asportato gli organi tramite il metodo Rokitansky (recidendo i collegamenti al corpo uno per uno). Vennero riposti sul tavolo in acciaio per pesarli e sezionarli. Nel frattempo e nel mentre che ero presente anch’io, le dita del malcapitato si muovevano, si contorcevano, cercavano invano di afferrare qualcosa o qualcuno. Quel qualcuno potevo esser io e la cosa mi inquietò non poco. Nonostante tutto quello che sapessi sull’argomento mi resi conto che la presenza di un inserviente armato sarebbe servito ben poco ad evitare un eventuale morso infetto e trasmettitore di virus Z.

Guardai il mio amico, il mio sorriso era ormai spento. Non vedevo l’ora di andarmene il più lontano possibile da quel corpo morto che si rifiutava di andarsene definitivamente. Doc mi diede una pacca sulla spalla. Rise. Era soddisfatto per avermi messo in difficoltà per una volta. Disse che non era il primo caso a cui assisteva, i militari lo avevano trovato che vagava fuori dal cimitero. Era un “ritornante”.

Il compito del reparto anatomia patologica era catalogare i corpi dei ritornanti e analizzarli. Doc spiegò che stavano cercando “disperatamente” un vaccino per evitare la diffusione di un eventuale contagio.

In ultimo donavano l’eterno riposo a questi rifiutati dalla morte.

Nella mia pietrificazione, riuscii solo a pensare che forse ora che sapevo queste cose probabilmente si aspettavano che non le avrei raccontate a nessuno e decisamente che ci fossero di mezzo i militari non migliorava la situazione. Avrei dovuto stare molto attento. Non mi fidavo neanche un po’.

Chiesi in che modo avrebbero posto fine a questa scarsa esistenza. Lo avrei visto da lì a breve. Doc armeggiò in un armadio e si ripresentò con in mano una specie di minipimer…  In realtà era una sega vibrante, altro strumento “vitale” per gli anatomo-patologi. La sega può essere utilizzata per la rimozione della calotta cranica, fare tagli lineari, o per la presa di piccoli pezzi d’osso. La lama si muove avanti e indietro molto velocemente, il che impedisce il taglio dei tessuti molli, inoltre molti modelli sono dotati di un apparato aspirante che riduce l’emissione di polveri, riducendo il rischio infettivo per gli operatori.

Mi chiesero di allontanarmi dal tavolo per potermi goder lo spettacolo. Non aspettavo altro… Doc attivò la sega e dopo aver sistemato la fascia di cuoio del tizio morto incominciò a tagliare.

Quello che successe non me lo scorderò mai più nella mia vita… incominciò tutto in un attimo. La salma iniziò ad urlare, serrò i pugni stese i piedi ed inarcò il busto. Sembrava che da un momento all’altro dovesse schizzare in aria dal tavolo. Recuperai dal piano d’acciaio un paio di bisturi che come nient’altro mi fecero sentire al sicuro.

La sega entrò nel cranio come burro. Il tizio urlava come un ossesso. I denti incominciarono a sbattere, digrignati. Credo che se avesse potuto mordere, avrebbe staccato di netto qualsiasi cosa. Gli inservienti guardavano con apprensione le cinghie ai polsi. Sembravano resistenti ma la logica era sparita dalla faccia della terra.

Intanto Doc girava e tagliava, sicuro e fermo. Lanciò un paio di imprecazioni perché il tizio tentava di divincolare la testa. Gli occhi si gonfiarono fuori dalle orbite, gialli e iniettati di quel poco sangue rimasto nel retro oculare. Il rumore gutturale che la creatura emise avrebbe fatto “risvegliare i morti”. Che cazzo di black humor, ma così fu.

Si avvicinò la fine del giro, spense la sega vibrante e la calotta cranica cadde all’indietro, pregna di materia collosa, giallastra. Il cervello risaltò sotto la lampada al neon. Sembrava pulsasse con chiazze verdi e blu. Doc prese un encefalotomo: pratico strumento da taglio con due parti taglienti della lunghezza di circa 30 cm a sezione piatta, usato per effettuare le varie sezioni sull’encefalo. La lunghezza della lama, la sezione piatta e sottile, ne fanno uno strumento affilatissimo e quindi precisissimo. Iniziò a praticare delle sezioni precise per arrivare all’esportazione dell’ipotalamo.

Nonostante avesse asportato già abbondanti sezioni di encefalo, il tizio non cessava di dimenarsi e rantolare. Come un pazzo accecato dalla furia omicida, riuscì a dimenarsi a tal punto da spezzare il bracciale destro.

Il braccio si dimenava alla ricerca di qualcuno, gli inservienti nonostante fossero in due non riuscivano a tenerlo fermo, Doc urlava di bloccarlo. Non aveva ancora finito. Doveva estrarre l’ipotalamo. La confusione che si generò mi fece diventare piccolo piccolo, se fosse successo l’irreparabile non avrei certo saputo come comportarmi. Che cazzo di situazione. Per una sfida idiota.

Ecco, dopo che fu in possesso dell’ipotalamo poté riportare la calma tutt’intorno. Nel mentre che sezionava l’interno profondo del cervello il tizio nudo e sventrato sul tavolo settorio si quietò definitivamente.

Non restò altro che un ammasso di pelle e ossa inerme. Doc prese gli organi e le sezioni del cervello e li conservò nei contenitori da analisi, chiamò i tecnici che portarono via i campioni.

Entrò quello che a parer mio aveva la faccia da becchino e prese istruzioni per incenerire immediatamente il corpo. Infatti era l’addetto all’inceneritore.

Doc, sudato ed affaticato, mi guardò finalmente sollevato dalle incombenze e mi propose una birra. Accettai, avrei pagato io. Avevo perso la scommessa. Mi ero cagato sotto davvero stavolta. Da quella sera non mangiai più brodo e carne lessata.

Luca Pennati


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