FANS

di Massimiliano Foschi


Verticale dell’obiettivo.

Laboratorio di ricerca e sviluppo iraniano

“Trenta secondi. Pronti alla discesa. In bocca al lupo ragazzi.  E ricordate: niente cazzate.  Vi voglio riportare indietro tutti interi!”.

Gli uomini si preparano al salto. Tra pochi secondi la luce all’interno della carlinga passerà da rossa a verde. Segnale di discesa.

Il Sikorsky è a un metro da terra.  Il portellone è aperto.

Tutto intorno nel buio della notte afgana, sotto un cielo di stelle limpidissime le pale del rotore principale ruggiscono e sollevano nubi di polvere. La visibilità è minima ma gli uomini hanno già indossato i visori notturni.

Uno alla volta tutti e otto saltano dall’elicottero. A pochi metri di distanza anche la seconda squadra prende terra.

In pochi istanti le formazioni, schemi ripetuti fino alla nausea sono in linea. Operativi. Rapido check negli interfoni.

E’ un roger per tutti.

Inizia l’operazione Joke of Allah.

La prima scansione della zona dà risultato negativo. Niente tracce di movimento o presenza di ostili.

Si procede.

L’ edificio principale è debolmente illuminato. E’ chiaro che non vogliono attirare troppo l’attenzione. Una robusta rete elettrificata tuttavia dimostra che le misure di sicurezza esistono e sono di buon livello.

E’ Jack Bones, ad occuparsene. Si avvicina alla rete e piazza un dispositivo che emette una specie di tempesta elettromagnetica di portata limitata ma molto potente che può accecare per pochi secondi ogni dispositivo elettronico. Giusto il tempo di tagliare le maglie della rete metallica senza fare scattare il segnale di allarme.

“Libero” la voce di Bones negli interfoni.

Quindici ombre si muovono veloci. Attraverso il varco. Diritte verso la prima porta apparentemente incustodita.

Questa volta è Buba ad occuparsene. Una piccola carica e i cardini saltano. Secondi di stasi.

Nessun segno di attività dall’interno. Apparentemente l’edificio sembra deserto. Almeno la parte in superficie.

La voce del capitano Daponte: “Va bene ragazzi fin qui è stato tutto facile. Fin troppo facile. Adesso viene la parte difficile però. Il portellone dell’ingresso vero e proprio al laboratorio è nascosto dietro quella porta. Buba pensaci tu. La fai saltare e poi entriamo. Prima la squadra alfa a seguire Gordon e i suoi. E’ tutto chiaro?”.

Un roger da parte di tutti.

Pochi secondi e un’esplosione più forte della precedente scalza via in una nube di detriti incandescenti la pesante porta d’acciaio. Il vero ingresso alla base.

E’ il sergente Robert Starling a entrare per primo nello stretto tunnel di cemento grezzo che conduce alla piattaforma di discesa del laboratorio.

Starling si muove rapido, l’M4 spianato davanti a se quando all’improvviso un lampo senza rumore si accende in fondo al corridoio buio.

Starling si blocca, come pietrificato. Poi, con una lentezza impossibile si accascia al suolo mentre uno zampillo di sangue nero, più nero dell’oscurità che li circonda, inizia a zampillare dalla sua fronte.

Un istante dopo, numerosi altri flash come il primo si accendono. E un attimo dopo una grandinata di colpi investe la squadra del capitano Daponte.

“Tutti giuuu’!!!”

Grida concitate nell’interfono. La voce del capitano si mescola a quelle degli altri che d’istinto si mettono al riparo.

Un attimo dopo la voce di Daponte diventa un gorgoglio indistinguibile. Come di colui che ha la trachea inondata di sangue.

“E’ una fottuta trappola! Ci stavano aspettando!”. Voce di donna, Martina Gomez, soldato.

Improvvisamente la pioggia di proiettili e traccianti cessa.
Un silenzio spettrale rotto soltanto dai lamenti di chi è stato colpito.
A terra sono rimasti Gonzalo e il capitano Daponte. Immobili. Andati.

Ma anche Gisele è stata colpita. Stringe la mano intorno alla gamba destra. Sangue venoso le sgorga fra le dita allargando una macchia scura sul pavimento.

Olaf Svensonn, invece, lo hanno preso a una spalla. Il proiettile si è infilato proprio sotto il giubbetto in kevlar. Dannata sfortuna. Sembra grave. Ansima, si lamenta.

“Merda merda merda…siamo nella merda. Dobbiamo evacuare i feriti!”. La voce di Osborne.

“Americani! Benvenuti. Vi stavamo aspettando ahahah!”. Un pesante accento slavo.

Volti che si cercano. Sguardi attoniti.

“Loro sapevano che saremmo arrivati. Qualcuno ce l’ha messa nel culo”.

Gordon deve decidere. Adesso. Non è possibile mettere i feriti in sicurezza. Bisogna andare avanti ad ogni costo a questo punto.

Sfondare.

“Norton! Granate! Apri le danze e fai saltargli il culo fino a Mosca a quei figli di puttana!”

Il boato di due forti esplosioni proveniente dai livelli superiori scuote la base laboratorio fin nelle fondamenta.

Ci siamo pensa Samir.

E’ di nuovo nell’ultimo livello. Livello inferno. Sala di controllo.

Samir osserva nei monitor lo stato dei pazienti. Stato di crescente agitazione. E’ come se sentissero qualcosa. E’ come se percepissero che di lì a breve succederà qualcosa di determinante per loro.

Di fianco a lui il corpo di Yasim giace sul pavimento in un lago di sangue. La testa fracassata.

“Dio mi perdoni per quello che ho fatto. E perdonami pure tu mio caro amico Yasim. Ma ho dovuto. Tu, nella tua infinita bontà non mi avresti mai permesso di fare quello che sto per fare”.

Samir guarda ancora per un istante i monitor.

Recita a bassa voce una breve preghiera e poi alza un piccolo vetro di protezione di un bottone rosso.

Quel bottone è quello che in caso di emergenza sblocca automaticamente tutte le porte delle celle.

Aprendole.

È il comando che aprirà le porte dell’inferno.

Samir lo sa. Sa cosa sta per fare.

E lo fa. Senza esitare.

Schiaccia il bottone rosso.

Subito una sirena di allarme inizia a ululare mentre cinquanta porte si spalancano di colpo.

Loro sono lì dietro. Lì dentro. Immobili. In attesa.

Poi, lentamente, molto lentamente iniziano a muoversi. Ad uscire dal loro apparente letargo. E sempre lentamente, ma inesorabilmente, ad uscire dalle loro prigioni di vetro antisfondamento.

L’armageddon è cominciato.

Dalla sala monitor Samir li osserva. In silenzio.

Poi alza il telefono della linea dedicata alle emergenze. Una voce roca con un pesante accento slavo risponde.

“Sono Samir. Dite a Roxana che abbiamo un problema al livello cinque.  Uno dei tecnici è andato fuori di testa e minaccia di liberare i pazienti.  Ho bisogno che lei intervenga immediatamente”.

“In questo momento siamo sotto attacco.  Le dirò di intervenire il prima possibile”.

Samir riaggancia il ricevitore e sorride.

“Ti aspetto maledetta troia. Voglio godermi lo spettacolo personalmente” pensa.

Poi si inginocchia e inizia a pregare.


Laboratorio di ricerca e sviluppo iraniano

Livello uno

 

La sala di controllo della base è stata trasformata in un campo di battaglia. Il fumo delle esplosioni e l’odore della cordite saturano l’aria.

Uomini in mimetica si muovono veloci come ombre.

Sparano in movimento.

Altri uomini si muovono.  Non vestono mimetiche ma camici e tute da lavoro.

E non sono veloci.  Cercano riparo dove e come possono ma vengono colpiti dalla grandine di piombo rovente scatenato in spazi ristretti.

Sono il personale civile della base. Operai, assistenti, freaks.

Cadono urlano sanguinano e muoiono.

Anche alcuni degli uomini in mimetica vengono colpiti.

Il tenente Gordon urla nell’interfono per farsi sentire dagli altri.

La squadra alfa è inchiodata dietro il secondo muro perimetrale della sala comandi. La sua squadra, la Beta, non può raggiungerli senza esporsi. I russi sono piazzati bene e conoscono l’ambiente. Li aspettavano e si sono distribuiti con intelligenza.

Una fottuta imboscata.  Qualcuno ha tradito.

Osvald Rustein e Jack Bones sono stati colpiti.

Bones è a terra in un lago di sangue.  Un 7.62 gli ha portato via metà della calotta cranica.  Parti del suo cervello sono sparsi sul pavimento in una pozza di sangue nero che è colata fin sotto una scrivania.

Anche i russi hanno subito perdite.

Galyush e Andrey sono andati.

Ileana ferita a una spalla si è ritirata al livello due. Vogliono organizzare lì la seconda linea di difesa.

L’idea del comandante Roxana è quella di infliggere il maggior numero di perdite tra gli attaccanti prima di trascinarli verso la trappola finale al secondo livello della base.

Ma anche in mezzo al rumore degli spari tutti sentono l’ululato della sirena di emergenza.

L’allarme rosso.

Poco dopo Yury si avvicina a Roxana tenendosi basso per non esporsi.  Lei è sdraiata sul pavimento.  La canna del Ak47 ancora rovente per il fuoco.

La donna lo guarda.

“Che cazzo succede Jury?”.

Jury deve gridare per farsi sentire.

“Samir ha chiamato dal livello cinque.  È stato lui a dare l’allarme. Dice che uno dei tecnici è andato fuori di testa e che ha bisogno di aiuto.  Subito! Ha detto di scendere”.

Il viso di Roxana cambia espressione.

“Merda il quinto livello! Va bene Jury. Io prendo con me Ivan e Ylenia e vado giù a vedere cosa cazzo sta succedendo.  Tu resta qui e vai avanti come pianificato. Avverti anche Kirill e Anatoly di prepararsi. Trascina gli stronzi americani al due ed eliminateli fino all’ultimo uomo”.

“Non c’è problema Roxana.  Mi raccomando tu stai attenta giù sotto. E non ti fidare di Samir”.

Roxana lo guarda cattiva prima di scivolare all’indietro e allontanarsi.

“Non temere.  Se quella testa di cazzo ha combinato qualche casino questa volta lo ammazzo lo giuro”.

Massimiliano Foschi


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