FANS

di Massimo Miranda


E insomma, c’erano le mosche. Assillanti e piene di lappa. Le mosche ronzavano si posavano insistevano restavano bruciavano.

“Oanema, cap’e mo’…ma comm’ t’ chiamm?”

“My name is PUNISHER, and I have a Red Angel, also, with me.”

L’uomo vestito di rosso scalciò il cranio del Biondo come se fosse un derby.

“Il mio nome è PUNITORE. Lui è il mio angelo custode. È un diavolo rosso.  Ed è cieco, tu pensa. Ho bisogno di una moto.”

“Pigliatella, va’.”

CASTLE parlava un italiano perfetto, come per miracolo.

Matt, il cieco, si mise alla guida dell’auto e seguì la moto, due demoni.

Un mondo alla rovescia.

MARINO ricomparve nello stesso punto della Reggia tre giorni dopo, senza nessuna ferita, sano come un pesce.

Come niente, prese dalla tasca il telefonino e compose un numero.

“Pronto.”

“Tonì.”

“Chi cazz’è.”

“Secondo te?”

“O Boss?!”

“Vien’m a piglià. Sto miez’ a Villa, a Caserta. Port’ coccos’ a mangià pecché teng’ famm’ e sto senza soldi.”

Ecco. La fame. Era quella l’unica nota stonata in lui.

TRE GIORNI PRIMA

“Dunque, famm’ capì. Schiattamuorto e Tuttossa, e Chiattone, so’ muort’ cient’ metri primm’. Cioè: là ci sono morti della stessa banda, e qua sull’asse mediano questi tre.”

A SERPICO i conti non tornavano, e neanche le ferie, a questo punto. Era sudato e grondava, la camicia sotto la giacca era calda di sale e di aloni.

“Prima come posto, ma dopo come orari”, gli sussurrò l’agente scelto Della Volpe, un bella testa fina, per essere uno sbirro.

“E tu che ne sai?”

“…Tengo nu picciotto, ‘cca. Che a sua volta ha gli occhi bene aperti. A quanto pare oggi era carnevale, a Caivano.”

“Angiolè, ma che cazz stai a dì?”

Della Volpe si chiamava Angelo.

“Sto a dì che è arrivata ‘na bestia che pareva The Rock, hai presente? Solo più brutto, ma assai. Purtava ‘na maglia nera cu na cap’ e mort ‘mpiett e con lui ce n’era un altro, uno veloce, uno vestito di rosso, coi capelli rossi e le lenti nere. Sono stati loro. È per questo che ti dico che qua, a Caivano, Messico napoletano, era carnevale.”

“Cazzo. Prima Caserta, ora qui.”

(E poi ti senti fuori posto, e poi finiscono i soldi, e poi non ti riconosci, non esci, sudi, incespichi, impicci, ti rompi, sfilacci il culo, sanguini – per quando lo vuoi? Per come minimo: prima. E poi ti offendono, urlano, ti arriva la multa, ascolti un cazzo, traballa un dente, svuota polmoni, un rene, l’occhio il culo, pene, intestino: tenue, crasso; amore eterno amore esterno, amore/Dio, le stelle cadono).

Fuori la puzza nell’aria, acida e ovunque. Sopra, una cappa.

MARIO faceva il poeta, così diceva lui. Faceva i versi: ma non aveva mai pubblicato neanche una cazzo di strofa né tantomeno ne avrebbe scritta qualcuna, spesso però ripeteva, sono suoni! e anziché lo shining di Jack, tirava fuori un buongiorno, un sorso di vino e un buonasera all’Infinito.

MARIO stava pure inguaiato di debiti, come tutti, del resto, e fra poco lo avrebbero sfrattato di casa, condominio Tarantino, parcheggio Brin, numero 43.

“Magari c’ho tempo fino all’estate”, si diceva convinto, “qualcosa mi invento, me la gioco ai cani, ai cavalli, mi vendo un rene, mi vendo, insomma: poesie.”

Ora se ne stava a fumare affacciato al balcone quand’ecco che arriva il fuoristrada, rigorosamente nero Suv che si ferma a centro carreggiata, e basta un cenno d’intesa dell’autista con i Russo che abitano al piano di sotto, “Quelli stanno ‘inguacchiati con la camorra”, e il poeta rientra e tace.

27 LUGLIO, COMITATO SICUREZZA DI ZONA. LE PRIME ORE DEL MATTINO.

“Sono zombi, hai presente i film? Esistono davvero! Non è una puttanata americana, questi sono zombi fatti in casa nostra, comm’ e muzzarelle! Ora mi è tutto più chiaro: e mi fotto di paura.”

Le parole sono quelle del comandante dei vigili di Caserta, al che il questore Ingroia gli rivolge parole simili a quelle usate per il condottiero della nave mandata sugli scogli: “Nervi saldi, comandante, mannaggia a maronna”, più o meno così, perlomeno fino a quando non si avvertono i rumori all’esterno della porta in legno massiccio.

Fuori, si stavano sbranando. E presto sarebbero entrati, a bocca aperta, anche lì.

“Qual è la situazione, capitano?”, chiese il prefetto al capitano dei carabinieri Adinolfi, che di lì a poco sarebbe morto.

“Sono dappertutto, signor prefetto. La strada principale, la Nazionale Appia, è invasa da questi…esseri. Che fino a poco tempo prima erano come noi, umani! Si dice che anche il papa sia diventato uno zombi… C’è caos fino a Capua. Gli uomini stanno perdendo la testa. Molti sono scappati dalle loro famiglie.”

“Ma questo è inaudito!”

Fuori le urla salgono fino al cielo, coprendo l’inaudito del prefetto, come un ringhio.

Poi gli spari. Poi il nulla. Poi di nuovo il ringhio.

“Ma cos’hanno, la rabbia?”

“Sono zombi, Signore…Ci mangiano.”

“È l’APOCALISSE di Giovanni, afferma il vescovo. La porta viene sfondata. All’interno si riversano orde di morti viventi e nessuno che dica “Sir, il Tamigi.” *, come in uno scherzo inglese.

Le massime autorità della provincia di Caserta, un posto in culo al mondo, ma primo d’infezione, ora sono morte.

Il vescovo è risorto. Il suo “garggllll..” non sembra indicare però la via del paradiso.

“Che cazzo succede?”, esclama l’ispettore Troiano, in sala radio.

“Li stiamo perdendo tutti, tutte le volanti, Mimì!”

“…Fai rientrare chi ancora può. E teniamo la linea.”

“Che significa?”

“Significa che sparate ad ogni testa di cazzo che morde, Cristo.”

Confidenza pre-morte del questore Ingroia al prefetto Antinori in riferimento ai verbali allarmati dei due ispettori capo Troiano e Palladino: “Sono due stronzi cacacazzi!”

“Qua si parla di cose assurde, di gente che si divora, di viscere e materia cerebrale, di sangue e merda…”

Troiano morirà in sala radio. Di SERPICO, nessuna traccia.

Ingroia, ora: perde metri d’intestino sfilacciato tra le mascelle zombi e il prefetto si tira giù dal palazzo della Questura.

ORE PRIMA:

Il NANO perdeva sangue copiosamente e Russo lo fece stendere sul letto dopo avergli fasciato le ferite.

“Qua siete al sicuro, riposate.”

“Voglio sapè chi è, chella cap’ ‘e mort’. “Furono le uniche parole del capo.

“Nunn’è ‘ra zona, chest’è sicuro”, rantolò Russo tra i denti. “C’ penz’io, Boss.”

CASTLE lo sgozzerà due ore dopo.

Il PUNITORE inserì il biglietto all’uscita del casello Caserta Nord, la corsia era quella riservata ai pagamenti automatici. Meglio che nessuno lo vedesse in faccia, perché la sua era una faccia che non si dimentica.

CASTLE aveva piazzato un segnalatore nella macchina del NANO, e sapeva dei Russo. Andò quindi a colpo sicuro, e parcheggiò nella strada che dava accesso al palazzo Tarantino.

Dietro di lui, come un’ombra nera, MURDOCK. Un tempo, Matt, così si chiamava il rosso, non avrebbe mai ammazzato nessuno, neanche quell’animale di Kingpin. E non avrebbe neanche ammazzato Bullseye, che gli aveva ucciso Karen ed Elektra.

Ora era diventato un altro, “Il” Diavolo. Forse la sua vita era deragliata già da tempo. O forse, più semplicemente, era il “doppio” di CASTLE da sempre.

La morte di Natasha Romanoff uccisa in quel buco chiamato Gomorra era stata l’ultima goccia: il suo equilibrio, più volte in bilico, era andato.

Matt era cieco. Ma gli altri suoi sensi erano assurdamente sviluppati. Il cuore s’era spento ed ora era soltanto una macchina da morte.

CASTLE salì per le scale, con un foglio di plastica aprì la porta dei Russo. Tutto divenne veloce.

Vedi sopra, come per i precedenti. Sgozzare, esplodere, buchi nel petto, eccetera.

Frank afferrò la testa del capo e la fracassò sulla parete dura. In fondo, gli bastava che Maradona riuscisse ancora ad emettere suoni e parole, poche, i nomi degli altri.

Matt completò il quadro. Ne colpì uno alla gola e l’altro al setto nasale, devastando entrambi.

Tempo d’azione: 6 secondi.

Massimo Miranda


 

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