FANS

di Massimo Miranda


MARINO disse: “Portami dai Nigeriani di Castel Volturno.”

Toni non parlò. Guidò e lo vide solo di sbieco, strano.

I Nigeriani perquisirono i due e li fecero entrare.

Appena furono dentro, MARINO azzannò i cinque neri. Ora ne stava divorando pienamente un altro.

“Faaame”, il suo autista non credeva a quello che stava vedendo.

“Tonì…faaame”

I quattro più vicini si alzarono, pieni di pustole violacee e sangue. Il quinto restò a terra, tremando.

“Iammuncenne, Toooni!.”

Ma Toni alzò la canna del revolver e gli sparò in faccia, senza dire nulla, e senza sapere né come né quando, di puro istinto, in un baleno si trovò a 30 chilometri da lì.

In realtà qualcosa disse, durante il tragitto, per circa 100 volte, a mezza bocca: “Cambio programma, cazzo. Devo andarmene via. Ancora più lontano, via.”

Il quinto africano a terra era arrivato in Italia il giorno prima. Veniva dal Congo, e si chiamava Assad. O perlomeno questo era il nome che aveva dato agli altri.

Gli americani avevano portato il virus in Africa. E gli “spaziali” avevano rapito MARINO, e chissà quanti altri, modificandoli.

I due, Assad e MARINO, si erano “combinati” per oscuri disegni divini, per il nuovo regno della Coca-Cola, o forse per un semplice capriccio di Baal, vallo a sapere.

Chissà.

Comunque. Il quinto a terra, che era Assad, quando si rialzò, si vide sprizzare sangue dagli occhi e dal culo. Sulle braccia aveva bolle enormi e nere che si aprivano lasciando trasparire filamenti vivi: guizzavano, folli e affamati. Anche da lì schizzava pertanto roba infetta.

Assad morse tutte le donne e i bambini che incontrò uscendo dalla stanza dei maschi, vomitò su una puttana ferma all’incrocio e poi sbranò un cane sulla Domiziana: quindi stramazzò al suolo.

Qualcuno lo caricò in macchina, “E’ comunque un fratello nero”, e lo scaricò all’alba del giorno dopo vicino all’ingresso del San Sebastiano, al Pronto Soccorso di Caserta.

Erano le 4 e 53 di un mattino qualunque.

“Perché non lo portiamo a Pineta Grande, nell’ospedale di Castel Volturno? È molto più vicino.”

“Perché qui ho dei parenti. A Caserta no. L’hai visto bene? C’è uno spirito maligno dentro questo fratello nero. Questa roba non fa per noi, amico.”

IRINA E LE SUE PUTTANE. POCO TEMPO PRIMA.

In quel cesso di paese sul mare sporco, a farsi del male.

Era là che s’annidavano i mostri.

E le ragazze che non ci stavano sparivano nell’acido. Spesso erano quelle che non volevano più stare al gioco, il gioco, era semplice: loro adescavano, gli animali rapivano e i carnefici macellavano. Mani, braccia, gambe, ossa, rene, cuore, pelle, cornee, culo, c’era anche l’angolo del sadismo, dove pazzi maniaci furiosi si divertivano a sventrare poveri cristi, odore di latte e di caglio, acido, siero. Odore di piena macelleria, una novella Tijuana.

Irina inoculava nel “Padiglione Morte” un “virus a tempo” e le cavie venivano fuori infette. Sembrava rabbia, ma non lo era. Le cavie contagiavano, come in una guerra santa.

“E’ la mia jihad”, disse, e poi sputò sul volto di CASTLE, che l’aveva beccata sbronza, da sola in un bar, aggiungendo: “Succederà in tutto il mondo, ormai è inevitabile, questo è il tempo dell’Anticristo, è giunto il momento della FINE”.

Tranne per chi avesse ricevuto, così disse, il perdono, la salvezza: l’antidoto.

Poi aveva parlato, in un delirio sempre più folle, di angeli, alieni, mostri, rettili, epidemie e di nuovo l’apocalisse.

Fece il nome del NANO. Era lui che aveva il siero giusto per non morire o peggio.  Alla fine crepò. O meglio; fu CASTLE a farla secca.

DA QUALCHE PARTE, SOTTO I PONTI DELL’ASSE MEDIANO

Le uova aliene si schiusero e attecchirono sul volto dei rumeni, intenti a bruciare le gomme. Seconda fase, invasione.

“Partoriremo alieni e vampiri, per volere di Baal.”

La voce colpì gli zingari, come un dono.

Irina parlò. Il PUNITORE aveva visto le torture che la donna riservava alle sue puttane. Il cucchiaio era il suo strumento di tortura preferito. E CASTLE le aveva riservato lo stesso trattamento.

Le tirò via l’occhio destro.

 Poi le fece sfondare una vetrata di faccia, per le cicatrici che di solito lasciava alle donne torturate. La slava supplicava e voleva pagare, pur di salvarsi. Fece tutti i nomi.

 E CASTLE, uno ad uno, li prese.

Irina volò giù dal palazzo vuoto e si spaccò in due.

Il PUNITORE respirò a lungo, aria pulita.

Frank CASTLE e DEVIL raggiunsero la zona industriale e le fabbriche vuote, e fu come entrare in una Sin City del sud.

Natasha, la donna di Matt, era stata rapita e la nascondevano lì, in una di quelle fabbriche abbandonate. Matt riusciva a sentire il battito impazzito del suo cuore.

“È lei. Ma c’è qualcosa…di strano. Non è più come prima. Nessuno, qui, è come noi.

“Muoviamoci”. Ed era già dentro.

C’era una scala e scesero giù. Videro le celle. E dentro, il caos. I corpi aggrovigliati si divoravano.

Natasha era in fondo, incatenata, lo sguardo folle, e schiumava.

FURY, il suo capo, l’aveva mandata all’inferno per capire come fosse, ma questo in fondo era un compito facile per lei, indagare e tornare, riferire e poi spazzare via, grazie all’Organizzazione, lo SHIELD.

E invece laggiù avrebbe trovato la Morte.

Nelle celle c’erano i bambini dal volto indurito. Per sempre. Perché avevano già visto e provato più di quanto avrebbero potuto sopportare in una decina di vite.

CASTLE sparò e spaccò sbarre alle entrate delle celle dei piccoli, che scapparono. Si chiese quanto tempo sarebbe passato, prima di rivederli, dall’altro lato, presi dal Male.

Poi fu messo sotto da tre guardiani, veloci e duri.

 Il rumeno si chiamava Landu. Era l’uomo di Irina.

Landu aprì a sua volta le celle e liberò i mostri, affamati, devastati. Tolse le catene e si fece scudo col corpo di Natasha.

Poi la uccise. Sparandole in bocca, mentre ringhiava.

Matt urlò, il suo grido sapeva di sangue.

CASTLE, liberatosi dei tre, gola, tempie e naso, tirò una granata verso quelli che prima si stavano divorando ed ora avanzavano, per ucciderlo.

Il fuoco fece il resto.

La MORTE, tempo prima, aveva chiesto al soldato se volesse vivere ancora. Frank rispose semplicemente: “SI’”. E divenne il suo strumento.

Quel ricordo gli tornò nitido in quel momento, lo aveva rimosso completamente.

ORE 3 DEL POMERIGGIO (di un giorno qualsiasi, estate)

Il PUNITORE e MURDOCK ripensarono a quello che avevano visto quando scoppiò il caos.

Massimo Miranda


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