FANS

di Nicola Luceri


Non so chi sono. Non conosco il mio nome, né la mia età.
So solamente che la mia nuova vita è iniziata in un’afosa
giornata di Agosto, quando mi ritrovai prono, con la
nuca appoggiata sull’asfalto bollente, confuso e smarrito.
Con immenso sforzo mi sollevai, barcollando per
qualche istante. Sentii colare qualcosa di caldo sul mio
collo e, con fatica, controllai cosa fosse: sangue.
Lunghi brividi mi corsero lungo tutta la schiena. Gli
occhi mi bruciavano, le lacrime rendevano il mondo
indefinito e il sole non bastava a calmare la sensazione
di freddo che mi affliggeva.
Avevo paura, non capivo dove mi trovassi e cosa stessi
facendo lì, in quel momento. Mi alzai a sedere e davanti
a me scorsi solo devastazione e caos. Le strade erano
deserte e l’aria era irrespirabile. C’era odore di gomme
bruciate e benzina, misto a non so cosa. Non sapevo
dove andare e cosa fare. La mia mente era vuota e
scavare nei ricordi era difficile: il dolore mi attanagliava
la testa e avevo una sete pazzesca. Dovevo muovermi.
Non potevo restare lì impalato a lungo.
Mi stropicciai gli occhi, cercando di vedere meglio, e
riuscii a scorgere un distributore di benzina accanto a un piccolo locale:
molto probabilmente un bar. Con un po’
di fortuna avrei trovato dell’acqua.
Misi qualche passo incerto e, molto lentamente,
raggiunsi il piccolo prefabbricato in rovina, con le
vetrine rotte e la merce scaraventata ovunque. Girai per
il negozio in cerca d’acqua, ma ogni tentativo si rivelò
vano. Riuscii a rimediare soltanto una bottiglia di
liquore alla liquirizia che aumentò soltanto la mia sete.
Decisi, allora, di ritornare all’esterno e cercare aiuto.
Lungo la grande via, dove era situata la pompa di
benzina, c’erano alcune case. Un’ancora di salvezza,
pensai. Dovevo raggiungere immediatamente
un’abitazione perché non sapevo quanto ancora avrei
potuto resistere in quelle condizioni:
ero stanco, debole, ferito e assetato.
Il più vicino edificio si trovava a soli due isolati di
distanza, ma impiegai un tempo così lungo che mi parve
di aver camminato per chilometri. La porta era chiusa.
Le finestre sprangate. Bussai, poi caddi in ginocchio.
Ero troppo stanco. Pregai aiuto, ma dalla bocca
uscirono solo alcuni grugniti: avevo la gola arsa e
dolente. Continuai a bussare, finché vidi degli occhi
guardare attraverso le spranghe di legno della finestra accanto.
Aiuto, ti prego. Chiama un’ambulanza. Queste le parole che
si formavano nella mia mente, ma che non prendevano
forma. L’individuo dietro la finestra strizzò gli occhi, in attesa
che la vista si abituasse alla luce del sole, poi li sgranò, sorpreso.
Intanto restavo in ginocchio a soffrire. Pregavo che si
sbrigasse ad aprire quella dannata porta. Adesso avevo
anche fame. Molta fame. Ero davvero in pessime condizioni.
L’uomo dietro la finestra scomparve, lasciandomi nella
più totale disperazione, ma, fortunatamente, udii un
rumore metallico provenire dall’interno della casa. La
porta fu socchiusa. Mi trascinai fino alla soglia e provai
a spingere, ma la catenella ne impediva l’apertura.
Mmmm, mmmm. Dissi. Poi ogni suono si smorzò in gola
quando vidi apparire una pistola attraverso la fessura
della porta. Risuonò un colpo. L’eco si riversò per le
strade e, nel silenzio di quel momento, parve un boato
di cannone. Sentii una fitta lancinante al ginocchio.
Guardai il punto in cui il colpo mi aveva trafitto: un
piccolo foro da cui usciva un fiume di sangue. Volevo
gridare aiuto, mandare a fanculo quel bastardo che,
intanto, si era chiuso di nuovo in casa.
Dovevo chiedere soccorso. Subito.
Mi trascinai fino alla strada, passando per il giardino.
Qui avvertii delle vibrazioni sul terreno e subito mi
fermai per sentire meglio. Era il suono di un veicolo in
avvicinamento. Finalmente. Salvezza. Vidi giungere un
SUV blindato. Quando fu abbastanza vicino, iniziai a
urlare suoni inarticolati. Il veicolo passò oltre, poi si fermò dopo
una decina di metri, ingranò la retromarcia e mi raggiunse.
Scese un uomo alto e muscoloso, di carnagione scura,
assieme a una donna dai lunghi capelli
biondi…somigliava molto a lei…lei? Lei chi? Non
ricordavo più. Per un attimo un’immagine si era formata
nella mia mente, ma se n’era andata così com’era
apparsa. Sollevai la mano in segno di supplica. Volevo
che mi aiutassero a rialzarmi, invece la donna prese una
ricetrasmittente da una sacca e parlò:
“Centrale Operativa mi ricevete?”.
“Centrale Operativa in ascolto”, gracchiò una voce
maschile dalla ricetrasmittente.
La donna riprese a parlare. “Richiedo ricovero
immediato per A.B.L. Ripeto: richiedo ricovero
immediato per Arma Biologica Libera”.
“Inviate le coordinate, per favore”.
La donna prese un secondo dispositivo dalla cintura e
premette alcuni tasti. La voce nella ricetrasmittente
gracchiò ancora: “Coordinate GPS ricevute
correttamente. Ricovero per A.B.L. in arrivo entro
dieci minuti”.
La radio cessò ogni suono.
La donna ripose l’apparecchio.
Non riuscivo ancora ad alzarmi. Strisciai per qualche
metro, ma gli individui si tenevano lontani. Sembravano
spaventati. Ero solo un uomo in cerca d’aiuto,
dannazione! Di cosa avevano paura?
L’energumeno prese una valigetta argentata, la posò
sull’asfalto ed estrasse una siringa che passò, poi, alla donna.
Iniziai a tremare. Cosa stavano per farmi? Volevo
gridare aiuto, ma non ci riuscivo. L’uomo si avvicinò
con cautela e mi tenne immobile al suolo. La donna si
avvicinò e mi conficcò l’ago nel collo.
Dopo qualche attimo calò il buio più assoluto.

Nicola Luceri


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