FANS

di Massimo Miranda


DAL DIARIO DI GUERRA DEL” PUNITORE”, FRANK CASTLE.

Un buco in testa.

Lo squarcio sulla nuca, un solo proiettile, calibro 9. Beretta d’ordinanza, in dotazione alle forze di polizia.

Voce fuori campo, Frank CASTLE: “Alla fine non l’ho squartato come un pollo. Non gli ho tirato fuori le budella, non le ho appese ad un albero.”

Esterno fabbrica abbandonata, dal vialone a Marcianise, provincia di Caserta, Campania: sette minuti.

“Non gli ho maciullato la faccia a calci, non gli ho spezzato le ossa contro i pannelli in cemento e non l’ho tirato giù dal tetto di uno di questi padiglioni abbandonati. Non l’ho cosparso di benzina, niente fuoco. Queste cose le facevo prima. Non le ho fatte, come facevo tempo fa.”

Giacca nera, spalle larghe. Il PUNITORE si allontana a passi lenti. La mole enorme non gli impedisce però rapidi movimenti, fluidi come l’acqua.

CASTLE sembra una grande macchia nera che si muove, è alto quasi due metri per 140 chili di muscoli, sciolti e possenti come quelli di un rugbista che corre verso la meta.

L’uomo rimette la sicura all’arma e la infila preciso nell’ampia tasca laterale. Sul petto, luce ed ombra, il teschio. Dal volto, non traspare nessuna emozione.

“Il terreno deserto nei pressi del capannone. L’animale l’ho tirato fuori dal locale, ed ora siamo qui, in uno scheletro di cemento abbandonato. L’animale s’è pisciato sotto, per la paura. E la paura ha fatto il resto. Mi ha parlato, piangendo, dei tizi che girano i porno con i bambini. Mi ha detto dov’è che li fanno. Ha parlato.

E poi gli ho sparato in testa. Le cose che avrei voluto fargli e che non ho fatto, le ho ancora dentro.”

Nero. Il pensiero devastante.

“Prima era più facile farle.”

Virata all’alba, cielo rosso sul mare.

LOCALITÀ: CASTEL VOLTURNO, IN UN APRILE QUALSIASI

LE SEI DEL MATTINO.

La macchina parcheggia accanto al marciapiede. Di fronte, la villa, una delle poche in quella zona tenuta ancora in buono stato. Tutta la zona sembra andare a perdersi, come in un bayou di cemento spaccato e rampicanti.

Qualcuno l’ha chiamata la Miami del Sud, Castel Volturno oggi somiglia tanto ad una fogna a cielo aperto, e così gli odori.

La donna in macchina muove la testa su e giù, sempre più veloce.

Anna si affaccia alla finestra.

“Eccola che arriva.”

“Lei o lui? Scommetto che sta sbocchinando chi l’ha accompagnata, così, per ‘gratitudine’”, chiede l’amico.

“Cristo santo, potrebbe permettersi mille taxi, solo per i soldi che porta normalmente in borsa.”

“Già. Ma le vecchie abitudini sono le vecchie abitudini.  Ti danno certezze. E sono dure a morire. Irina era la regina dei bocchini già da quando (non) andava a scuola. E da sempre, i maschi li ha ripagati in questo modo.”

“Be’, sembra che abbia finito. Ho sentito un urlo. Un altro cliente soddisfatto.”

Ora le donne parleranno d’affari, vendere e guadagnare, stuprare.

UN ANNO PRIMA: SCHIAVE

Pioggia battente.

Una prima fredda notte di fine settembre, tra Capodrise e l’autostrada per Capua, la rotonda, zona defilata, strada laterale. Andando dritto, ancora un locale/bar, le luci accese.

Le 3 di notte. Campo medio, figura piena.

Lo schermo è invaso dal movimento rapido, al limite del frenetico.

La ragazza con le lentiggini spara. Uno, due, tre colpi, Pom. P-Pom, Pom. Continuerà a sparare, senza mirare, sta piangendo ed i suoi occhi sono chiusi, o semichiusi, come un flap.

Voce narrante, Frank CASTLE, il PUNITORE.

Tra Napoli e Caserta. Terra bruciata.

Nuove urgenze, Campania, camorra, gente venduta come carne da macello e droga e fanghi termonucleari, da Napoli a New   York e viceversa.

“Iniziò così, come un temporale e noi sotto la pioggia. Notte buia, centro d’affari, Terra dei Fuochi. Quando finì, sentivo dentro che la pioggia sarebbe caduta per sempre. Come una premonizione. Chissà.”

Lentiggini sul volto della ragazza, una giacca, il jeans, canotta bianca, il seno giovane, respiro corto.

Sette persone di fronte, due auto, due Bmw, modello costoso (aggiungere marca e colore, blu scuro, nero notte).

Altri colpi. Il tizio grosso con gli anelli e la faccia gonfia si becca un proiettile alla spalla sinistra. Urla, e gli altri scappano.

“Sono in sette, c’è anche un figurino, il tipico professionista mezzo frocio in cerca d’emozioni, che spinge la sua prostituta lontano, e diciamo che non c’entra. Eppure mi ricorderò di lui. Degli altri cinque, uno è l’albanese Pavlo.”

“Forse sarà semplice, forse no.”

Voce narrante, cupa, profonda.

“Da un po’ di tempo, niente lo è mai.”

 Fuoco.

Scena: i quattro cercano di trovare riparo dietro le due macchine, le maglie aderenti sotto le giacche in pelle.

Pavlo è il quinto, è quello col pizzo caprino, e le catene d’oro al collo,  è ferito alla spalla sinistra. Perde molto sangue, ancora poco e lo perderà del tutto.

Gli altri quattro sono i gorilla, capelli corti e facce da pugili, brutti come le pietre da sgrezzare. Ma qui non servirebbe.

Il PUNITORE è sul tetto e punta il fucile di precisione con l’ingranditore (modello fucile di precisione con appoggi laterali per il sostegno, indicarne il tipo, M4). Ha il volto pieno di rughe sottili e muscoli che gli esplodono sotto la maglia nera col teschio. Al fuoco, sposta lo sguardo dal mirino e sotto la pioggia blu, vede la ragazza che quasi non tiene l’arma a due mani. È stravolta, piange. Sa che le donne rapite vengono violentate e vendute.

“Ammazzate la troia!”, urla l’albanese, “Fatela fuori! Uccidete quella puttana! Perché cazzo vi pago, stronzi?”

Il sangue ha sempre lo stesso effetto sulle persone. Ci sono attimi in cui chi viene colpito si sorprende nel vederne il colore. Poi lo shock. E ci si ferma, stravolti, paralizzati.

Il gorilla che sostiene Pavlo resta immobile come un fermo/immagine, è stato colpito allo stomaco; un attimo dopo la sua testa esplode.

Tocca al magnaccia, riflesso di luce giallo/arancio sul volto, una macchina da lontano rallenta, poi accelera, a cazzo.

Si apre un buco sulla fronte di Pavlo. POM. Materia cerebrale che schizza dallo squarcio posteriore.

Ne restano tre.

“Dal tetto della casa bassa vedo la donna correre verso il vicolo cieco, inseguita dai tre pezzi di merda. Mi lascio cadere giù.”

Luci blu sul viale.

Gli agenti Caputo e Camila sono di pattuglia, turno in quinta, di notte, ore 0-7, dalla mezzanotte al mattino.

“Senti, ti chiedo scusa, finiamola qui, okay?”

Camila di nome è Lia, diminutivo di un nome impronunciabile, la sua pelle sa di luce e morbido.

Caputo nel tempo libero gioca a rugby. È il pilone della squadra, da tempo ha accettato il suo essere frocio. In queste zone, i gay sono i ricchioni. Così li chiamano.

“Certo”, risponde Caputo, a mezza bocca.

“Gesù Cristo, giuro su Dio. Non rido mai per le stronzate che dicono i colleghi, ma…Russo ha fatto quella battuta a cazzo e nella stanza si divertivano tutti. E poi sei entrato tu.”

“Era una battuta?”, domanda sarcastico il sovrintendente Caputo.

“Ma sì. Una battuta, sul cazzo dei negri e dei froci”, l’agente scelto Camila abbassa lo sguardo per un momento. Lei è alla guida, il capopattuglia è Caputo, anzianità di servizio. A parte le stronzate, sono due coi controcoglioni, sempre sul pezzo, ed occhi aperti.

Gli spari li sentono e non parlano più. Lampeggiante e sirena, sgommare, operativi.

“Sparano. Mandate rinforzi.  Siamo nei pressi del centro commerciale Campania.”

Vicolo cieco.

CASTLE sta spaccando il culo all’ultimo degli inseguitori della ragazza, che piange, pistola in pugno.

L’agente scelto Camila arriva a palla e vede la scena: un frantumare d’ossa niente male. Intima l’alt e le mani in alto, puntando la beretta d’ordinanza.

Caputo è goffo e lento, stavolta. Si mette come uno stronzo fra i due, chissà, forse inconsciamente vuole proteggere Lia, e CASTLE ne approfitta.

Scivola, scalcia, Camila è a terra, la pistola tirata via, uno schiaffo rovesciato, il PUNITORE si rialza e appioppa un gancio sinistro al fegato del malcapitato Caputo che sbuffa come un mantice e si accascia al suolo, definitivo, dopo una sventola di destro.

Tempo d’azione: 15 secondi.

“Non sono io quello che cercate. Chiedete a quello stronzo là a terra, è ancora vivo, dovrebbe ringraziarvi, chiedetegli dove tengono le altre ragazze. Le chiamano le schiave.”

“Figlio di puttana, quanti ne hai ammazzati?”, chiede Camila.

CASTLE la guarda, freddo. Nessuna parola per lei. La donna vede solo due enormi buchi neri al posto degli occhi.

Poi il PUNITORE tende la mano a Svetlana, la ragazza in lacrime, e le chiede: “Dov’è Irina? Se vuoi, puoi venire con me.”

Durante la notte, la polizia libererà 12 donne, drogate e violentate ripetutamente dai tre serbi di guardia, in una fabbrica dismessa nei pressi di Maddaloni. Nel conflitto a fuoco, non si arrenderanno, e moriranno tutti.

Questa è gente che preferisce crepare.

Massimo Miranda


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