FANS

di Jo Vanni


Era notte e stavo dormendo già da un pezzo.

I cani accovacciati in salotto, la femmina sul divano e il maschio su di una stuoia, mi svegliarono abbaiando istericamente. A loro modo mi segnalavano la presenza di qualcuno all’interno del giardino e, dato che non era mai avvenuto prima, ciò mi scosse. Cercai di accendere le luci ma non si attivarono. Era saltato il salvavita? Avevano tolto la corrente? Qualcuno aveva tranciato i cavi della luce?

Presi la torcia sul comodino e illuminai la stanza riprendendomi dalla paura. Passai in cucina e afferrai il primo coltello che trovai, presi quello azzurro interamente in acciaio, il più resistente, e perlustrai le stanze e le finestre della casa.

Ero comunque al sicuro, avevo le sbarre in ferro murate alla finestra. Nessuno poteva entrare ma nemmeno uscire. Abitando in zona sismica custodivo in casa una mazza da sette chili utile per sfondare la porta o le finestre in caso di terremoto…o altro.

Mia moglie era all’estero dai genitori. Meglio così, non c’era nessuno a crearmi panico. Ero solo e con l’adrenalina contenibile.

Spensi la torcia e aprii una serranda in ferro appiattendomi sul muro per non essere bersaglio di qualche arma da fuoco. Lentamente riaccesi la torcia e perlustrai con attenzione quell’angolo buio del giardino. I cani continuavano ad abbaiare. Doveva esserci nascosto qualcuno.

All’improvviso un’ombra si gettò contro l’inferriata. Istintivamente gli piantai il coltello nell’occhio penetrandolo con potenza. Cadde, forse morto. Richiusi la finestra e la serranda con ansia e disperazione. Corsi al cellulare e chiamai la polizia. Non mi rispondeva nessuno. Riprovai più volte, chiamai anche altri numeri di soccorso ma nessuna risposta.

Dove cazzo erano finiti?

La rete telefonica fissa era saltata. Accesi il computer tramite il gruppo di continuità per connettermi a internet. Avrei chiesto aiuto on line.

Ritenni che ci fosse qualcun altro in giardino perché i cani continuavano ostinatamente ad abbaiare.

Internet non funzionava, e neanche la televisione. Ero isolato completamente dalla realtà. L’orologio segnava le cinque di mattina, fra un po’ sarebbe stata l’alba. Dovevo assicurarmi che nessun altro cercasse di penetrare all’interno, magari con un flessibile da taglio o un piede di porco. Con la torcia spenta mi mossi felpato nell’oscurità della casa. Io la conoscevo a menadito, gli aggressori no. Nessun rumore all’interno, ma fuori sentivo frusciare qualcosa, sembravano passi trascinati.

L’alba arrivò.

Bevvi un caffè e fumai una sigaretta, anzi due. Con la luce del sole gli aggressori si sarebbero dovuti allontanare, ma continuavo a sentire il rumore di passi nel ballatoio tra la casa e il giardino.

Mi feci coraggio e, con circospezione, aprii un’altra serranda. Finalmente li vidi!

Erano individui strani, barcollanti, forse ubriachi. Quando si accorsero di me, nascosto dietro alla finestra, si precipitarono tutti alle sbarre. Ne contai una decina, ma forse erano di più. Avevano sfondato o scavalcato il cancello, non c’era altro modo per penetrare in giardino.

Col binocolo scrutai la strada che portava sul monte e la diramazione che conduce a casa mia. La carreggiata era piena di camion e macchine ferme, distrutte dal fuoco. Vidi “uomini” mangiarsi tra di loro, altri scappare, altri a terra, altri ancora che assaltavano le villette circostanti.

La tanta agognata epidemia zombie era cominciata!

I miei unici vicini di casa che gestivano una pizzeria non erano tornati. Moglie, marito e figlia si erano probabilmente già sbranati nel locale. Mi dispiacque perché erano simpatici, non disturbavano e, tornando sempre di notte dal lavoro, non li vedevo mai. I migliori vicini.

Calcolai che potevo sopravvivere una settimana. Avevo pasta a sufficienza, tonno e acqua, ma, senza corrente, i prodotti si sarebbero presto deteriorati. Tutte le scorte stipate del freezer le avrei dovute buttare. La necessità di uscire fra qualche giorno si sarebbe resa necessaria, anche perché avevo solo un pacchetto di sigarette e non mi andava di razionarlo. Col tabacco della pipa potevo rimanere chiuso anche un mese.

Il problema ora era eliminare gli esseri che stavano fuori e raggiungere il garage per prendere qualche arnese da taglio. A casa avevo solo la mazza da muratore, sì potevo utilizzarla per spaccare qualche testa ma anche usando i coltelli da cucina non sarei arrivato nemmeno a un metro oltre la porta. Avevo anche delle spade spagnole ornamentali appese al muro, ma senza taglio e senza punta. Avrei potuto affilarle, ma tutti gli attrezzi erano in garage. Fortunatamente mi venne in mente che avrei potuto affilare la lama staccando una pietra refrattaria dal camino, e così feci.

Dopo una mattinata di lavoro riuscii ad ottenere qualcosa di simile ad una spada.

Ora il problema era creare un primo varco oltre la porta. Realizzai che avrei potuto annientare qualche infetto col fuoco. Preparai una molotov di scarsa efficienza con l’alcool denaturato, ma serviva altro combustibile più potente. Presi una scala e ruppi i piccoli vetri sopra la porta blindata.  Da lì calai tutto il materiale infiammabile trovato in a casa: cuscini, cotone idrofilo, pezze, bombolette da fornello camping. Alla fine riuscii ad accatastare un bel po’ di roba. Gli zombie, appena notarono il varco che io stesso avevo creato, vi si arrampicarono per cercare di entrare, ma il vano era piccolo e ostruito dalle sbarre.

Mi riposai, mangiai una scatoletta di tonno e diedi i croccantini ai cani. Già sopravveniva la sera.

Rinchiusi in casa i cani avevano cacato sul pavimento, per cui raccolsi gli escrementi e li buttai nel cesso. Almeno questo funzionava. Abbassai tutte le serrande che avevo aperto e mi barricai in camera da letto per creare un’ulteriore sezione di contenimento, a scopo precauzionale. Forse lo feci solo per rasserenarmi mentalmente, tanto in questa specie di bunker non sarebbero entrati.

La notte passò, dapprima inquieta poi crollai per la stanchezza.

Di mattina ricontrollai la casa. Era integra. Le bestie fuori continuavano ad aspettarmi affamate.

Ricominciai ad ammassare sopra la pila davanti alla porta altri cuscini, lenzuola, cartoni, finché non raggiunsi un quantitativo che giudicai ottimo per spianarmi i primi tre metri.

Come vestirsi per non essere morso? Era meglio indossare indumenti pesanti e calzare il casco della moto per non essere azzannato, oppure era preferibile un abbigliamento leggero, agile e veloce? Scelsi la seconda. Dovevo raggiungere il garage con tutta la velocità possibile, muovendomi con la spada senza intralci di vestiti pesanti. Indossai tuta e scarpe da ginnastica e mi preparai ad uscire. Chiusi i cani in camera da letto e afferrai la molotov.

Utilizzando la scala mi affacciai dalle finestrelle rotte sulla porta sbattendo un catenaccio sui ferri per attirare la loro attenzione. Si avvicinarono, ne contai undici e lanciai la molotov sulla pila infiammabile. Due bruciarono velocemente, barcollarono e caddero a terra, gli altri si allontanarono prudentemente dalle fiamme. Aprii la porta e attesi che il fuoco scemasse per passarvi sopra. Oltrepassata la soglia, richiusi la porta dietro di me.

Con la spada cominciai a tagliare qualche testa. I vecchi allenamenti di katana non li avevo dimenticati e quel giorno per me la “via della spada” era l’unica possibilità di sopravvivenza. Il piano era di raggiungere il garage e prendere la motosega, ma non fu necessario perché la facilità con cui li annientavo mi piacque e ci presi gusto. Dopo averne eliminati più della metà, cominciai a cacciarli io. Per mia fortuna erano lenti e vecchi mentre io ero agile e veloce.

Ripulito il giardino davanti casa, perlustrai quello sottostante e il viale, percorrendolo fino al cancello, che fortunatamente non era stato sfondato. Gli zombie lo avevano scavalcato. Corsi in garage presi il filo spinato e lo arrotolai sul cancello. Adesso ero al sicuro.

Ripercossi i cento metri del viale e tornai nell’appartamento. Liberai i cani e ricontrollai con loro ogni angolo del giardino. Mi ci vollero due ore per disfarmi di quei cadaveri ammucchiati vicino casa. Li trascinai fino alla rete buttandoli fuori dal “mio territorio”.

Ora avrei dovuto recarmi in paese a cercare cibo: scatolette, sigarette, benzina, sopravvissuti.

Avevo una jeep diesel e una macchina a benzina abbastanza veloce. Optai per la jeep che era più alta, massiccia e resistente. Presi qualche bidone dell’acqua, lo svuotai e lo caricai in macchina. Nonostante la casa fosse senza corrente, il cancello elettrico poteva aprirsi grazie alla batteria di riserva, anche se, senza ricarica, sarebbe bastata solo per qualche giorno.

Fuori dal cancello la strada era libera e deserta e raggiunsi facilmente la provinciale dove tra i cadaveri erano accatastate le auto abbandonate. Lì vidi qualche infetto il quale, udito il rumore del fuoristrada, cominciò ad avanzare verso di me. Per non rovinare la carrozzeria dell’auto avanzai lentamente inserendo le quattro ruote motrici e schiacciando tutti gli zombie che mi venivano incontro. Dopo un centinaio di metri e qualche investimento la strada era vuota.

Il paese distava pochi chilometri e lo raggiunsi.

Non c’erano armerie in zona e l’unica possibilità di trovare un’arma era perquisire qualche casa. Ma non conoscevo cacciatori. In piazza vidi i cadaveri di tre vigili sbranati e presi le loro pistole, controllai i caricatori ma erano vuoti. Ferri inutili. Li buttai.

Il paese era deserto e la strada ingombra di cadaveri. Era inverno e la gente se ne stava rinchiusa in casa. Quindi erano morti in casa…o forse no.

Joe Vanni


Lascia un commento