Racconti brevi

di Filippo Villa


“Il male che più ci spaventa, la morte, non è nulla per noi. Giacché quando noi siamo, la morte non è venuta e quando essa è venuta, noi non siamo più.”

Andrea richiuse l’unico libro che era riuscito a salvare dal disastro: “Lettera sulla felicità a Meneceo” di Epicuro.

Alzò gli occhi e vide davanti a lui il solito fiume di morte che percorreva le strade della sua città, ormai distrutta e abbandonata.

“Dannazione quanto ci aveva visto male il filosofo. La morte e la vita sono diventati un orribile ibrido. E’ vero che il terrore della morte ci nasce dal desiderio dell’immortalità…ma qui, ora, in questo mondo apocalittico, temo la morte nella sua nuova forma e l’ultima cosa che desidero è diventare immortale.

Dopo aver dedicato i momenti dopo il risveglio alle sue riflessioni, si cominciò a preparare per uscire fuori nell’inferno: imbracciò il suo arco e prese il suo fidato piede di porco.

Si calò lentamente a livello della strada: la via era piena di vaganti, che erano stati attirati durante la notte da un antifurto di una macchina lì vicina: questo voleva dire solo grandi scocciature anche solo per fare qualche passo.

Andrea si accordò con un suo compagno fidato, lo chiamavano tutti Saul, perché di solito calmava con parole pacate e giuste gli animi delle persone nel loro gruppo.

Saul aveva il compito di distrarre i vaganti e Andrea sarebbe dovuto andare in avanscoperta in un edificio lì vicino che non avevano ancora esplorato, dopo essersi trasferiti nel loro nuovo rifugio.

Andrea sfruttò bene il diversivo e riuscì ad entrare in quello che sembrava un vecchio hotel: la porta di ingresso era stata divelta e questo faceva presagire che era già stato razziato, ma tanto valeva provare.  Cominciò a cercare nella  reception qualche oggetto utile: ma da sotto la scrivania su cui era appoggiato un computer, apparve il rancido braccio di un vagante che fece sobbalzare il sopravvissuto.

Per lo spavento fu portato a spostarsi indietro, dove andò a sbattere contro uno specchio rotto lì appeso, provocandosi una ferita, per fortuna superficiale a causa delle schegge di vetro che da lì sporgevano: subito dopo il piede di porco aveva fatto il suo dovere eliminando la minaccia zombie.

“Ok fa un male dannato, ma non posso fermarmi per una cosa del genere, dopotutto -Se il male è lieve, il dolore fisico è sopportabile, e non è mai tale da offuscare la gioia dell’animo; se è acuto, passa presto. Devo piuttosto stare più attento…questo edificio potrebbe riservarmi delle sorprese”.

Uccise altri zombi lungo la sua perlustrazione e riuscì a racimolare qualche utensile e anche un pacchetto di merendine, presumibilmente scaduto. Uscendo toccava a lui attirare i non morti, per permettere a Saul, che si era barricato da qualche parte lì vicino, di poter tornare al rifugio.

Controllò l’ubicazione di un’uscita secondaria e fatto questo si mosse dalla parte opposta per far cadere degli oggetti e fare rumore: di seguito cominciò a muoversi agilmente verso l’altra via e dopo aver messo fuori gioco un altro vagante fracassandogli il cranio, riuscì a riunirsi con Saul e insieme poterono tornare dal loro piccolo gruppo.

Andrea mentre si riposava, ricordò la frase di Epicuro che aveva letto la mattina e pensò di nuovo: “L’immortalità che vedo di questi tempi è putrida, fallace, senza senno: io voglio vivere da mortale e andarmene sapendo di aver lottato fino all’ultimo. Non l’ho capito subito, ma credo che Epicuro valga anche applicato in questi nostri tempi marci: Noi siamo noi stessi, siamo sopravvissuti e se noi esistiamo, la morte non ci tange, non ne abbiamo paura perché la uccidiamo ogni giorno.”

Filippo Villa


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