Racconti brevi

di Anna Liguori


 

 

Fin dall’inizio, pensai che rifugiarsi nella scuola fosse una pessima idea e, di sicuro, non avrei mai pensato di trovarci ancora dei sopravvissuti, e così giovani.

Appena entrato, inseguito da quella maledetta orda, mi chiusi il portone alle spalle e mi guardai intorno. Verso di me, claudicante, si avvicinava quella che un giorno doveva essere una bidella mal pagata e repressa. A corto di munizioni, mi limitai a sferrarle un potente calcio nello stomaco. Fortuna volle che sbattesse il cranio contro l’estintore. La puzza che emanava il sangue fuoriuscito mi fece venire i conati di vomito. Mi ricordai di avere lo stomaco vuoto. Senza forze, mi incamminai verso la mensa scolastica. Camminavo nei corridoi bui, stringendo la semiautomatica ormai senza pallottole. Facevo attenzione a qualsiasi rumore, sebbene i lamenti all’esterno fossero davvero intensi. L’edificio era circondato, non c’era bisogno che guardassi fuori, sentivo il loro puzzo come se li avessi avuti addosso. Seguendo le indicazioni, mi ritrovai dinanzi la porta della mensa, ma prima che potessi entrare sentii un forte bruciore alla nuca. Tutto diventò buio.

Non so per quanto tempo rimasi svenuto. Quando aprii gli occhi pensavo davvero di sognare. Misi a fuoco, lentamente, e scorsi un fucile puntatomi addosso. Dopo un po’ una voce, piuttosto infantile, disse: “Chi sei?”

Cercai di alzarmi, ma la testa mi faceva molto male.

“Che cazzo succede?” dissi sommessamente. Mi ritrovai la canna del fucile premuta sul petto.

“Qui le domande le facciamo noi, sei nel nostro territorio.”

Cercai di aprire gli occhi ancora di più, quando finalmente vidi tre ragazzini sui dieci, dodici anni circa, armati fino ai denti; mazze e piedi di porco, oltre al fucile, dei Rambo in miniatura. Stavo per ridere, ma mi trattenni, come a rispondere ad un primordiale istinto di sopravvivenza.

“Posso mettermi seduto?”

I due più grandi si scambiarono un cenno.

“Ok, niente scherzi però”.

Lentamente cercai di alzarmi. La testa mi faceva davvero male.

“Mi chiamo Tony, sono un poliziotto, almeno, quel che ne rimane delle forze dell’ordine.”

“Come ci sei finito qui?”

“Stavamo perlustrando una zona a pochi chilometri da qui. Da una fabbrica ne sono spuntati a centinaia di quei cosi…”

“Zombie, si chiamano zombie!” urlò dal fondo una ragazzina. Non mi ero accorto della sua presenza fino a che non ebbe proferito parola. Mi fermai qualche secondo su di lei, un volto dolcissimo ma uno sguardo feroce.

“Come ti chiami?” chiesi, rapito dai suoi occhi azzurri.

“Lara, e questi sono i miei amici, Teo, Pier e Davide”. Teo, il più grande, quello che presumevo essere il capo, si girò di scatto verso la ragazza.

“Smettila,” disse, “avevamo deciso, Lara: niente legami con chi è condannato”.

Non capii subito di cosa stesse parlando, ma la testa mi faceva troppo male, chiesi di essere lasciato solo per poter riposare. I ragazzi si guardarono, annuirono e mi lasciarono da solo. Mi guardai intorno. Credo si trattasse dell’ufficio del preside. Mi avevano spostato su di un divano di fronte la scrivania, dove un’ampia finestra padroneggiava la stanza. Saranno state le dieci del mattino. Mi affacciai e vidi una folla di – come li aveva chiamati Lara? – zombie. Ripensai a quei ragazzini, a cosa avessero passato, a come si fossero adattati alla situazione, rimanendo in vita. Cominciai a sentire freddo, così chiusi gli occhi per un momento, ma tutto girava. Per una buona mezz’ora cercai di assopirmi, quantomeno di chiudere gli occhi. Probabilmente feci anche degli strani sogni nel dormiveglia.

“Bene ragazzi, cominciamo. Oggi vorrei che ripassassimo assieme le prime lezioni.”

Si levò un triste ohhhh dall’aula, la maestra sorrise e aprì il libro di testo passeggiando tra i banchi. “Allora, anatomia dello zombie, Pier?” “L’unico modo per ucciderli e sparargli in testa!” “Ok, ma se ci trovassimo nella condizione di poterli solo rallentare e fuggire?” “Miriamo agli arti inferiori, prof!” “Esatto.”

“Quando possiamo utilizzare il fuoco? Lara?” “Solo se sono morti, o se siamo sicuri che non possano muoversi” “Giusto, e questo perché… Teo?” “Perché non hanno più le terminazioni nervose, non sentono il dolore e, se prendono fuoco in movimento, possono saltarci addosso e avvolgerci tra le fiamme.”  “Molto bene, quasi non ho più niente da insegnarvi.”

 

Rinvenni all’improvviso, sudato fradicio, con in bocca un cattivo sapore. Guardai fuori: che ore erano? Quanto tempo era passato?

Mi alzai e andai verso la porta. I mocciosetti non erano stupidi, avevano chiuso a chiave per non rischiare.

“Hey!” urlai, “C’è nessuno? Ragazzi?”

Dopo qualche minuto, arrivò Lara dagli occhi brillanti.

“Shhhh…” disse col dito sulle labbra.

“Prima che apra la porta devi rimetterti seduto.”

Lo feci. Girò la chiave nella toppa ed entrò come se non volesse che gli altri sentissero. Tirò fuori dalle tasche una confezione di cracker e un succo di frutta. “Questo è tutto quello che possiamo darti, non dobbiamo sprecare il cibo.”

Fui stupito dall’accortezza e dalla serietà con cui quei ragazzi erano riusciti a tirare avanti fino a quel momento. Seppi da Lara che, in principio, si erano rifugiati assieme al custode, primo proprietario del fucile, successivamente contagiato da un morso e ucciso a sangue freddo da Pier. Rabbrividii quando Lara, con molta freddezza, mi descrisse il sangue che colava dal foro sulla fronte appena colpita. Non volli sapere nient’altro. Prima che Lara uscisse, le chiesi per quanto tempo sarei rimasto loro prigioniero. Mi guardò con i suoi occhi azzurri ed indicò il mio braccio con un dito.

“Mi dispiace” disse, e se ne andò.

Infettato da chissà quale figlio di puttana, aspetto che la morte sopraggiunga. Ho chiesto ai ragazzi di aspettare che mi sia addormentato, non per codardia. Non voglio che mi uccidano mentre sono ancora umano, ma non voglio neanche che aspettino troppo. Con la cintura mi sono legato una gamba al divano, spero che regga. Ascolto gli ultimi suoni che mi riserva questo mondo, canti di uccelli fanno da sottofondo ai grugniti. Annuso l’aria ancora per un po’, ma sento solo odore di sangue. L’ultimo cosa che vedrò saranno gli occhi azzurri di una fanciullezza imbrattata di sangue e di speranza. Buona fortuna, ragazzi…

Anna Liguori


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