Racconti brevi

di Pietro “Soman” Giovani


Come porci veniamo condotti al mattatoio. Ed al loro pari, abbastanza stupidi da essere chiamati bestie ma non a sufficienza per non comprendere ciò che ci sta accadendo, urliamo, sbaviamo e scalciamo, tentando di fuggire dalle corde che ci legano e dalle mani che ci trascinano, inesorabili, verso il “modo più umano di morire”.

Perché il paradosso sta nella frase in sé.

Il modo più umano di morire. Nella nostra arroganza, non comprendiamo più il significato delle parole. L’umanità ha conquistato, ucciso, torturato, schiavizzato, bruciato, distrutto. Ciò significherebbe che il modo più umano sia, come logica conseguenza, il più brutale possibile. Ma noi, arroganti porci, che come razza superiore del pianeta ci consideriamo perfetti e padroni d’ogni cosa e d’ogni seppur esecrabile condotta, distorciamo il senso delle parole.

Missione di pace. Mercato libero. Democrazia. Il modo più umano.

Questi sono i pensieri che mi vengono in mente, mentre le mie mani corrono sicure tra i fili e gli elettrodi. Amorevolmente, curo l’arma su cui per tanti anni ho lavorato, carezzandola come un gatto.

Porci o pecore?

Posso quasi sentire i belati attraverso la finestra. Eccoli, in fila, richiamati dal pastore camuffato da fastfood. Eccoli, assiepati sugli autobus ed i vagoni di treni e metropolitane come bestie inviate al macello. Carri bestiame roventi d’estate e gelidi d’inverno. Eccoli, con il mento penzoloni e le dita che pensano per loro, mentre schiacciano tasti colorati e tirano leve di slot machine dai denti aguzzi, che insieme alla carta straccia che loro chiamano denaro divorano vite, affetti, futuri. Seduti sugli spalti della moderna arena dei gladiatori, dove non ci sono daghe ma scollature, non schiavi e leoni, bensì la cultura spazzatura e l’ignoranza.

E allora, mi chiedo io, sono come un naufrago? Sono l’ultimo, disperso, come un Robinson su di un’isola popolata di soli cinghiali e lupi? Circondato di fiere che sì convivono con me e sono anche un pericolo, ma che allo stesso tempo sono distanti da me da quanto idiote, cieche e ed ignoranti di ogni cosa al di fuori dei tradimenti e le scenate delle star?

Ma se di questo si trattasse, di un uomo tra le bestie, chi mai potrebbe lamentarsi se, per difendersi, egli fabbricasse una lancia e le uccidesse tutte, fino all’ultima?

Abbiamo piantato foreste di ripetitori e tralicci. Inquinato i mari tanto da pescare bottiglie e cannucce anziché pesci. Avvelenato l’aria tanto da ammalarci e lasciar passare gli strali mortali di un dio rovente ed impietoso, portatore di vita e di morte privo di discernimento. Ucciso ed estinto in nome di una presunta superiorità che è solamente tecnologica, data dalle mani, anziché etica e culturale come pretenderemmo. Abbiamo creato trappole per topi a misura d’uomo, uccidendoci anche tra di noi nel momento in cui, oramai, nemmeno la potenza della natura rappresentasse una vera sfida per il nostro animo distruttore.

Perché noi siamo la morte.

Ed allora eccomi, arrogante come i miei simili, preteso messia del nuovo mondo, con il mio armageddon tra le mani, così piccolo da poterlo abbracciare, così distruttivo da radere al suolo l’intero pianeta. La mia soluzione finale.

Rimangono altri quattro miliardi di anni prima della fine del sistema solare. C’è tempo per riprovare. Ricominciare.

Pietro Gionani


 

 

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