Racconti brevi

di Alessandro Undici


Che fantastica invenzione l’aeroplano. Il mezzo di trasporto più sicuro e veloce esistente al mondo, che ti consente di spostarti da un estremità all’altra del pianeta in poco tempo e con la massima comodità.

Viaggio molto per lavoro, mi sposto di città in città. Aggiorno di volta in volta il mio profilo su tripadvisor, che mi ricorda di aver esplorato circa il 60% dell’intero pianeta. Non male, considerando che ho solo 35 anni.

Peccato che io non viaggi per piacere bensì per affari: Meeting, convention, appuntamenti di lavoro, acquisizioni e vendite e tanto altro ancora. Molti mi invidiano, io invece vorrei fare tutt’altro, ma non posso lamentarmi.

Riflettevo… è curioso il fatto che quasi tutto il resto del mondo per staccare la spina prenda l’aereo e parta verso destinazioni lontane, chi per trovare un po’ di pace, chi per piacere o chi per chissà cos’altro. Non è lo stesso per me, io faccio l’esatto opposto, il mio unico modo per riuscire a staccare un po’ la spina è quello di tornare a casa. Posso dire in tutta onestà di aver viaggiato tanto, tantissimo, ma visto poco, pochissimo. Ironizziamo, in compenso sono un grande esperto di aeroporti e vi potrei dire magari qual è il più bello o qual e’ il più grande. Potrei anche suggerirvi l’albergo con le lenzuola più profumate e quale ristorante serve il più buon dessert che abbia mai assaggiato. Di tutte le città che ho visitato dunque, potrei dirvi tanto quanto niente perché non saprei, ad esempio, darvi le giuste indicazioni per raggiungere i posti più belli da visitare.

Aeroporto di Milano – Malpensa.

Eccomi qui, ad un’ora e trenta dalla partenza, seduto su di un seggiolino all’interno del gate. Siedo sempre allo stesso seggiolino quando sono in attesa. Questo posto è di fatto in una posizione privilegiata e una delle mie attività preferita per ingannare l’attesa è appunto poter osservare tutti quelli che saranno i miei compagni di viaggio. Mi diletto nel cercare di capire il motivo che spinge quella determinata persona ad affrontare il volo e se magari è per lui una partenza oppure un ritorno.

Ne ho visti tanti, tantissimi di viaggiatori e ho imparato a leggere le loro espressioni, quasi fino ad arrivare ad interpretare i loro pensieri.

Vi svelo un mio personalissimo segreto: Non mangio mai prima di volare, preferisco non appesantirmi poiché non amo usufruire del bagno a bordo.

Accanto a me è seduta una donna, sulla quarantina, visibilmente in ansia. Si muove troppo, lascia trasparire le sue emozioni. Si sfiora continuamente i capelli e per ingannare l’attesa sfoglia le notizie sui social network.

Una voce, diffusa dall’altoparlante, ci avvisa che stiamo per imbarcarci, tutti si affrettano per mettersi in fila, io invece non ho fretta, salirò per ultimo.

Eccomi qui, a bordo.

Ho preso posto in coda all’aereo, vicino al finestrino. Parte la trafila delle procedure informative, che conosco a memoria e a seguire il solito messaggio di benvenuto del comandante accompagnato in sottofondo dal rumore dei motori in rullaggio, potenza al massimo e in due minuti decolliamo.

I primi quindici minuti volano via, no, non è una battuta, anche perché sarebbe pessima. Improvvisamente la mia attenzione si focalizza su un uomo, sulla quarantina, capello brizzolato e abbigliamento curato, visibilmente agitato, irrequieto. E’ seduto due file avanti alla mia, viaggia da solo. Anche per lui deduco sia un viaggio di lavoro, lo capisco dal suo abbigliamento formale e dalla presenza dell’immancabile ventiquattrore. Suda e si agita, non riesce a stare fermo, con due dita cerca di allentare la morsa della sua cravatta rosso fuoco, che sembra volergli attanagliare la gola. Così come rosso è il suo volto, solcato da gocce di sudore che scendono impetuose sul suo viso. Cerco di attirare l’attenzione dell’hostess cercando di incrociare il suo sguardo, dopo qualche secondo ricevo risposta, ha recepito il messaggio. Perspicace! Qualche minuto più tardi termina la fase di decollo, raggiungiamo la quota di crociera, le spie delle cinture di sicurezza finalmente si spengono e l’hostess può raggiungere la fila in cui è seduto l’uomo, che appare sempre più turbato. Dopo qualche secondo di conversazione si alzano entrambi e prendono a camminare verso la coda dell’aereo e dunque nella mia direzione. L’uomo viene fatto sedere due posti accanto al mio, lontano dagli altri passeggeri, il tutto probabilmente per non creare panico all’interno dell’aeromobile.

Panico che invece ha ormai preso il sopravvento su di lui. Noto sbigottito che sta pronunciando frasi senza senso, e non è tutto, una chiazza si sta piano piano allargando tra le sue gambe. L’hostess mi chiede gentilmente di aiutarla a tenerlo fermo. “Ti pareva, prendo posto in fondo all’aereo per non avere rotture di scatole e mi chiedono una mano” penso. Acconsento, diamine, siamo in due e non riusciamo a farlo rinsavire, tenerlo a bada è un’impresa titanica!

Si rifiuta di collaborare e inizia ad agitare la testa in modo spasmodico. Adesso è totalmente fuori controllo, in preda a spasmi muscolari, stento a crederci ma il suo volto sta cambiando colore, è diventato color verde fondo di bottiglia con lo sguardo perso nel vuoto. Sopraggiunge un’altra hostess con una bottiglietta d’acqua, ma serve a poco, non appena cerchiamo di avvicinare il bicchiere alla sua bocca e lui di tutta risposta prende a vomitare un intruglio giallastro, riversando tutto il getto direttamente sullo schienale del sedile davanti al suo. Orrore! Mi sono sempre rifiutato di assistere qualcuno nell’atto dell’emesi e penso che non ci sia nulla di più disgustoso al mondo.

“Per fortuna non ho ingerito nulla nell’arco delle ultime quattro ore, altrimenti so già come sarebbe andata a finire” penso, mentre tento di capire come poterlo aiutare. Terminata l’espulsione dei liquidi indefiniti aiutiamo l’uomo ad alzarsi e lo accompagniamo in bagno. Una macchiolina sul polsino della camicia attira la mia intenzione, è proprio quello che sembra. Trecentoquaranta euro di camicia sartoriale su misura, indossata due volte e ora da buttare, non la indosserò mai più!

A proposito di cesso, mentre l’uomo è all’interno della toilette da più di cinque minuti, prendo a conversare in inglese con la ragazza, anche lei alquanto agitata ma pur sempre splendida. “Chissà se riuscirò a strapparle un aperitivo” continuo a ripetermi tra me e me, mentre arrotolo le maniche della camicia fino ai gomiti. La ragazza mi racconta di un altro episodio simile successo a bordo qualche giorno prima, strano. Nel frattempo dal bagno calma piatta. Sono passati più di dieci minuti ed inizio seriamente a preoccuparmi, busso per accertarmi delle condizioni dell’uomo ma non ricevo risposta. A questo punto decidiamo di aprire la porta dall’esterno, mentre l’altra hostess è impegnata a chiudere diligentemente le tendine che portano al corridoio, premonitrice!

La porta finalmente si apre. L’uomo è riverso con la testa nello scarico del water. Sembra privo di conoscenza, Martina, (così si chiama la bellissima hostess) con un balzo entra a soccorrerlo, l’uomo non da segni di vita e io non posso entrare a dare una mano, manca lo spazio necessario all’interno del bagno per contenere tre persone. La ragazza appoggia una mano sulla spalla dell’uomo e inizia a scuoterlo.

Inizio del dramma.

Mai avrei potuto ipotizzare quel che di lì a poco sarebbe accaduto.

L’uomo si alza di scatto e afferra alla gola Martina, che sbatte la testa contro lo specchio posizionato sopra al piccolo lavandino. Lo specchio va in frantumi e la ragazza sviene. Una scarica di adrenalina pervade il mio corpo partendo dalla colonna vertebrale, istintivamente mi fiondo addosso all’uomo frapponendo il mio corpo tra lui e lei, iniziamo così una violenta colluttazione, lo scontro è inevitabile, lo spazio ristretto non agevola i movimenti. Cerco di non alzare la voce e ridurre al minimo i rumori per non allarmare gli altri passeggeri. Freddo e razionale!

Torniamo a noi, sono attimi concitati, uso tutta la forza a mia disposizione nel cercare di immobilizzarlo afferrandolo alle spalle, stringo il mio avambraccio sul suo collo, sento affannarsi il suo respiro attimo dopo attimo, la sua gabbia toracica si allarga e restringe sempre più velocemente. Il mio intento non è quello di ucciderlo non sono di certo un assassino, ma devo assolutamente riuscire a renderlo inoffensivo, costi quel che costi. Determinato!

Martina fortunatamente riprende conoscenza, c’è del sangue sul suo volto ma lei non sembra farci caso, mi aiuta a tenerlo fermo bloccandogli le braccia. Sopraggiunge anche l’altra hostess, le chiedo una corda o qualcosa di simile, bisogna immobilizzarlo definitivamente. Siamo in due contro uno ma sembra non bastare, l’uomo si divincola come un ossesso. Non si rassegna, gli sussurro in un orecchio di stare calmo, altrimenti per lui sarebbe finita male, mentre spingo la sua testa contro il coperchio della tazza del water. Riesco finalmente a guardargli il viso, anche se di profilo. Quel che vedo non fa altro che inquietarmi ancor di più. Il suo bulbo oculare destro è completamente intriso di sangue è impossibile persino identificare la pupilla. Non è solo il suo occhio a preoccuparmi, delle venature violastre solcano il volto dell’uomo, che adesso tutto ha, meno che un aspetto “umano”.

La certezza alla mia teoria non tarda ad arrivare, l’uomo emette dalla sua bocca strani gemiti incomprensibili e con essi dalla sua bocca esce anche del sangue misto a non so che. Raccapricciante!

La situazione non è più sotto controllo o forse non lo è mai stata. “Ma chi me lo ha fatto fare” inizio a ripetermi tra me e me, mentre una decina di gocce di sudore sul mio viso fanno a gara a chi entra per prima nel colletto della mia camicia.

Mi passano delle fascette, riusciamo a fatica a legargli mani e piedi. Non possiamo riportare l’uomo tra i passeggeri, così decidiamo di sistemare l’uomo nel bagno e chiuderlo all’interno. Ammirevoli!

L’hostess mi comunica che il capitano è stato avvisato della vicenda e che abbiamo cambiato rotta e stiamo deviando in direzione dell’aeroporto più vicino. Tra poco più di dieci minuti quest’incubo sarà finito. Devo tornare al mio posto e allacciare le cinture. Ma prima voglio accertarmi delle condizioni di Martina, visibilmente sconvolta dall’accaduto, l’aiuto a medicarsi la ferita, quando scorgo una lacerazione sulla sua mano destra, le prendo la mano e dopo averla medicata la fascio con cura, ed è un attimo, i nostri sguardi si incrociano… è bastato poco per innamorarmi del suo sorriso, di lei. Mi ringrazia e ci abbracciamo. Il capitano annuncia che abbiamo iniziato la discesa, tra lo stupore generale. Nessuno si è accorto di nulla “Ah se solo sapeste!” Recupero fiato, asciugo in fretta il sudore con delle salviettine profumate e torno diligentemente al mio posto, cercando di celare la mia preoccupazione.

Le ruote dell’aereo toccano terra.

Il comandante comunica ai passeggeri di restare seduti ognuno al proprio posto, di non slacciare le cinture di sicurezza poiché ripartiremo a breve. Il tutto mentre le luci dei mezzi di soccorso illuminano le pareti dell’aeromobile. Il portellone si apre, ma nessuno può scendere, fanno capolino a bordo degli uomini con delle tute bianche da laboratorio. Quattro di loro imbracciano delle armi, altri tre invece hanno un equipaggiamento medico, il tutto accade tra lo stupore e l’incredulità generale. Tutti si chiedono cosa stia succedendo. I militari raggiungono in pochi attimi la porta del bagno, il tutto in pieno stile “operazione militare top secret” uno di loro sta preparando una siringa. Sono attimi concitati, arriva il segnale del via libera, gli uomini spalancano la porta e un momento dopo stanno già portando via l’uomo sottobraccio, ha finalmente smesso di divincolarsi, molto probabilmente a causa di una massiccia dose di un qualche sedativo. Efficienti!

Restiamo a bordo qualche altro minuto, finalmente ci comunicano che possiamo abbandonare il velivolo, uno alla volta. E’ il mio turno, una luce accecante è puntata dritta sul mio volto, con l’avambraccio tento di proteggere gli occhi dal getto luminoso, a fatica riesco a scendere dalla scaletta. Vengo accompagnato sottobraccio in quello che sembra un ospedale da campo, siamo circondati da personale medico e militare e sorvegliati a vista. Sembra una di quelle scene che sono abituato a vedere di solito al telegiornale, quando passano le immagini degli sbarchi di immigrati. C’è molta tensione nell’aria. “Che bel ringraziamento” esclamo. Siamo tutti in una grande stanza, accanto a me ci sono anche gli altri passeggeri, veniamo fatti spogliare e visitati uno ad uno. Comunico al militare che sto bene, non serve a niente, devo effettuare il controllo medico a tutti i costi. Noto che non sono molto propensi al dialogo. Inflessibili!

Passo il controllo medico, per me è tutto ok io sono libero, Martina no, viene fatta stendere su una barella, immobilizzata e sedata.

Sento il medico pronunciare queste parole: Contagio da virus elle, quarantena immediata.

Non so cosa significhi ma deduco dalla preoccupazione generale che non si tratti di nulla di buono.

Una ricetrasmittente militare sta passando un messaggio:

“Il virus elle si sta propagando, protocollo di contenimento uno fallito, ripeto protocollo di contenimento uno fallito”.

Deduco che siamo tutti nella merda, è arrivato l’inizio, l’inizio della fine. Spacciato!

Alessandro Undici


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