FANS

di Michela Iucchi


 

Quando arrivò l’apocalisse, mi colse impreparato: migliaia di persone che, tutto ad un tratto, si comportavano in maniera assurda, cercando di far del male ad altre senza un motivo apparente, mordendo e divorando con una furia omicida. Catapultato in un mondo che ormai non mi apparteneva più, ho imparato a difendermi, a rendermi invisibile, a sopravvivere.

Ho sofferto fame e freddo e la solitudine; per mesi ho vissuto nella convinzione di essere rimasto l’unico superstite di un mondo in declino.

Finché non è arrivato Lui; un piccolo randagio che, arrivato forse nel momento più giusto, ha saputo alleviare le mie pene ed è diventato il mio inseparabile compagno d’avventura.

Ho trovato un rifugio sicuro, un amico fedele e la tranquillità che cercavo da tempo. Cosa potevo volere di più? Forse trovare un’anima sperduta come me.

Sto perlustrando la zona circostante il mio rifugio, con un raggio d’azione di circa 1 km, forse 1 km e mezzo e di vaganti ne avrò incrociato una decina, sparsi a piccoli gruppi o soli.

Il cielo è terso, dopo l’acquazzone e l’aria è fresca.

“Spero di trovare qualcosa da mettere nello stomaco o sarà dura!”

Dopo l’incontro-scontro con un vagante l’altra notte, mi sono ripromesso di essere più cauto e più furbo; non posso rischiare la vita per così poco. Morire così stupidamente in circostanze futili, dopo essere sopravvissuto a situazioni ben più critiche, non mi fa onore! Devo essere vigile sempre, ma a pancia vuota non si ragiona poi tanto bene.

Anche Lucky se l’è cavata per un pelo e non posso lasciare che risucceda. Sinceramente non so che effetti possa avere un loro morso su di un animale, forse perché non mi è mai capitata l’occasione di vedere se avviene come a noi: un animale morto, resta morto, un animale divorato, resta morto ma non vorrei di certo sperimentarlo sul mio cane!

“Ssssh. Silenzio! Sento dei rumori in lontananza. Sembra un urlo. Ma non potrei dirlo con certezza.”

Mi appresto a raggiungere il luogo da dove proveniva quel suono. In giro non vedo ancora nessuno.

Lontano, oltre la radura, il bosco d’acacie inizia ad infittirsi e una piccola costruzione fa capolino.

È una baita, forse un capanno per gli attrezzi, con pareti in legno e tetto in lamiera; intorno ci sono oggetti di vario genere buttati alla rinfusa e un trattore arrugginito, a vederlo pare vecchio di trent’anni.

Ad un tratto sento sopraggiungere un lamento, vivido e acuto che non sembrerebbe provenire da uno zombie.

Provo ad aggirare la casa e a perlustrare la zona con Lucky al mio fianco, che è alquanto agitato e questo mi fa presagire solo una situazione non buona.

Svoltato l’angolo del capanno, m’imbatto in due non-morti. Gli sono alle spalle, sfilo, in silenzio il piede di porco e ne faccio fuori subito uno. Il rumore provocato dalla sua caduta attira l’attenzione dell’altro, che in un attimo mi è addosso. Stavolta sono più scaltro, lo colpisco alle gambe togliendogli l’appoggio e, una volta a terra, lo finisco spappolandogli il cranio.

Un urlo mi distrae dalla sensazione di piacere che stavo provando in quel momento e mi riporta alla realtà, scopro che all’interno del trattore c’è una persona!

Un essere umano … vivo … come me!

Quattro vaganti hanno circondato il mezzo e non ne vogliono sapere di mollare la loro cena.

Devo pensare in fretta.

Ordino a Lucky di nascondersi. la prima cosa che mi viene in mente è quella di raccogliere un oggetto da terra e lanciarlo verso il gruppo per attirare la loro attenzione. Trovo una scarpa logora e la lancio, colpendone uno in testa, questi si gira e mi vede; si muove verso di me, seguito a ruota da un altro. Allora mi avvicino e, con l’ arma a mezz’aria, cerco di beccarlo in testa.

Questo bastardo all’ultimo inciampa, cade, e il fendente va a vuoto. La potenza del colpo mi fa fare mezzo giro su me stesso e mi ritrovo a terra, faccia in giù! Lo zombie mi afferra la caviglia e mi attira a sé. Io cerco, invano, di recuperare il piede di porco che è volato ad un metro dalla mia posizione. Nel frattempo l’altro che era dietro di lui mi ha raggiunto e si sta chinando su di me.

Buio…

“Cavoli. Devo smetterla di ritrovarmi in queste situazioni imbarazzanti!”

Per fortuna il coltello ha fatto il suo dovere! Sono riuscito ad estrarlo dalla sua custodia legata alla coscia e l’ho affondato a colpo sicuro nel cranio del vagante addosso a me, avendo la libertà di vedermela con l’altro stronzo. Questo mi sta tirando per il piede, nella speranza di affondare i denti nella mia caviglia e non ha mollato la presa, nonostante tutti i calci che gli ho sferrato.

Devo fare in fretta, perché anche gli altri si sono accorti della mia presenza e si stanno muovendo nella mia direzione e il tizio nell’abitacolo non ne vuole sapere di collaborare.

Sfilo il fucile da dietro la schiena, mi giro e, a malincuore, spreco un proiettile nella sua testa vuota, me lo tolgo di dosso e mi alzo di scatto.

Raccolgo il piede di porco, faccio il giro del trattore evitando i due, ci salgo sopra e guardo dentro: trovo un uomo, circa della mia età, visibilmente provato che si tiene il braccio.

M’implora di aiutarlo e di portarlo via di là, ma ne ho ancora due da far fuori e questo, proprio non pensa minimamente di scendere e fuggire.

Lucky abbaia da lontano. Non va bene.

Lo zittisco. Nel frattempo mi sposto sull’altro lato del mezzo, mi sporgo quanto basta per averne uno a portata di tiro, lo colpisco dritto in faccia e questo cade a terra. Fuori tre.

Gli ordino di scendere. immediatamente o lo lascerò lì dove si trova e lui, dopo un due secondi di tentennamenti, finalmente si decide a scendere e ci dirigiamo verso il capanno.

Cerco di aprire la porta, forzando la serratura ma è arrugginita facendomi perdere tempo prezioso. Il tizio urla parole senza senso. Mi volto nell’attimo in cui il quarto non-morto si sta avventando su di lui. Gli sferro un fendente all’altezza del collo. Il mostro barcolla. La testa si piega di lato a 90 gradi; ha la mascella spappolata e un occhio è schizzato fuori dall’orbita ma continua nel suo intento. Il colpo successivo va a segno.

Crollo a terra, scivolando lungo la parete del capanno. Sono esausto, ho l’affanno e sudato da far schifo mentre il tizio mi fissa con occhi sbarrati e bocca spalancata.

Mi ci è voluto un tempo che mi è sembrato infinito per riprendere la lucidità e capire che i problemi non erano finiti.

L’uomo è molto pallido in volto e sanguina copiosamente da un braccio. Era stato morso!

Solo una domanda mi esce dalla bocca come un sospiro: “da quanto sei stato morso?”

Il tipo balbetta. Non sa come dirlo. Ma capisco, che è troppo tardi per un’amputazione.

Raccolgo le forze e riesco a spaccare la serratura del capanno.

Dopo un controllo veloce entriamo e lo faccio distendere sul pavimento.

Gli chiedo il nome e lui mi dice di chiamarsi Isaia. Domando se ce ne sono altri vivi in giro e lui, con le lacrime agli occhi, mi dice che ormai è inutile e che ha fatto il possibile, ma non è bastato. La mia borraccia è vuota, quindi provo a dare un’ occhiata in giro ma non trovo nulla che possa alleviare la sua sete e la sua sofferenza.

Si sta spegnendo piano piano. Mi sento così impotente di fronte ad una realtà che stento ancora ad accettare.

“Un sopravvissuto come me, dopo tanto tempo. Finalmente ne trovo uno e questo si fa mordere!”

Lucky è arrivato sulla soglia del capanno, ha guardato dentro e si è disteso davanti alla porta. silenzioso e rassegnato.

Rassegnato come me, Come Isaia. Come tutti coloro che hanno lottato e non c’è l’hanno fatta. Rassegnati ma con il fuoco negli occhi di chi non vuole arrendersi all’inevitabile, fino alla fine.

Isaia mi guarda con occhi vuoti ma fieri.

Poso una mano sul suo viso e lascio che sia il buio ad avvolgerlo.

Lentamente sfilo il coltello dalla sua tempia, mi rialzo ed esco. L’aria è fresca dopo il temporale e forse riusciremo a mettere qualcosa sotto i denti.

Faccio un bel respiro.Mi asciugo una lacrima e mi avvio verso casa.

Mi riecheggiano ancora nella testa le parole di Isaia: “Ho fatto il possibile … ma non è bastato.”

No, non è bastato … non basta mai.

 

Michela Iucchi


 

 

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