di Nicola Furia
Il Luxury Bus, pulman extralusso – gran turismo, dotato di tutti i confort, viaggiava a velocità di crociera inerpicandosi dolcemente tra le innevate valli Bellunesi. Il potente ma discreto motore Caterpillar macinava senza fretta i chilometri necessari per raggiungere l’ambito traguardo: l’inossidabile Cortina D’ampezzo, consolidata e apprezzata meta di vip, dove i turisti avrebbero trascorso una fantastica notte di fine anno.
Una decina di viaggiatori bivaccavano mollemente tra le poltrone del comodo salotto, allestito nella parte terminale del bus, tenuemente illuminato dai colori del tramonto che filtravano dalle ampie vetrate laterali. Alcuni sorseggiavano un drink, altri, sprofondati nelle poltrone di pelle chiara, seguivano le note musicali di un concerto jazz proiettato sul maxi schermo che occupava quasi tutta la parete posteriore del mezzo.
L’autista, vestito da Babbo Natale, conduceva il pullman controllando scrupolosamente dallo specchietto retrovisore che tutti i viaggiatori fossero a proprio agio.
«Questo Bus è spettacolare, sembra di veleggiare nel migliore yacht», commentò sinuosamente una signora ravvivandosi i vaporosi capelli biondo ossigenati.
«E’ proprio vero, signò, è na favola!», confermò l’uomo seduto sulla poltrona dinanzi a lei, intento a tracannare l’ennesimo whiskey. «Lei è mai stata a Cortina?», le chiese subito dopo, riempendosi nuovamente il bicchiere.
«In realtà è la seconda volta che vengo a Cortina. Ma la prima ero giovanissima», rispose con un sospiro nostalgico la bionda.
«Ma no! Lei è ancora na bella… signora», la compiacque il bevitore dandole una lasciva pacca sul ginocchio.
La donna rise sguaiatamente e poi aggiunse: «E lei è un simpatico bugiardo. Si figuri che frequentavo ancora il liceo all’epoca. Mi ci portò il mio ragazzo. Oh! Non ho dei bei ricordi, sa? Era un giovane timido e sfigato, infatti avevo già deciso di lasciarlo. Lui sapendo che stavo per mollarlo, tentò di conquistarmi portandomi a sciare. Non solo non mi riconquistò, ma si ruppe pure una gamba sui campi da sci!»
«Che cojone!» bofonchiò ridacchiando l’uomo senza mollare la presa a ventosa sul ginocchio della donna.
«Oddio, come si chiamava?» la bionda tentò di ricordare facendo finta di non accorgersi del palpeggiamento. «Aveva uno di quei cognomi che parevano usciti dal libro di Fantozzi… Ah sì! Mario Persichetti».
Nell’udire quel cognome, l’uomo si immobilizzò e spalancò la bocca assumendo un’espressione da trota salmonata.
«Persichetti??? …Ma…ma allora tu sei Ada! Ada Simeoni! Ero convintissimo di conoscerti, ma non riuscivo a ricordarmi dove! Non ti ricordi di me?».
La bionda stupefatta avvicinò il suo volto a quello dell’uomo per cercare di riconoscerne le fattezze.
«Sono Rocco! Rocco Pelliccioni. Terza C. Ultimo banco a destra!».
«Oddio…Rocco!», esclamò Ada alzando estasiata le braccia al cielo. «Andavamo in classe insieme. Come ho fatto a non riconoscerti? Eri il bullo della classe!», aggiunse abbracciandolo.
«Eh sì…ne è passato di tempo. Non ti avrei riconosciuto neanche io se non avessi nominato quel cretino di Persichetti», disse Rocco immergendosi nell’abbraccio da amarcord.
«Eh, eh…povero Persichetti…gli davo il tormento…era proprio uno sfigatone», concluse liberandosi dall’abbraccio e riempendosi un altro bicchiere di liquore.
«Scusate, signori, non ho potuto fare a meno di ascoltare i vostri discorsi», esordì un anziano signore distinto, avvicinandosi discretamente alle poltrone. «Lo so, vi sembrerà assurdo, ma anche io conoscevo Persichetti».
«Non mi dica che lei era uno dei nostri prof!» esclamò Ada incuriosita.
«No, signora, sono un colonnello dell’Esercito in pensione. Conobbi Mario Persichetti quando si arruolò volontario », rispose l’uomo.
«Persichetti alle grandi manovre? Nun ce posso crede», disse ridendo Rocco.
«Eh sì…infatti, seppur dotato di grande volontà, non era assolutamente portato per la vita militare» spiegò il colonnello accomodandosi sul divano adiacente alle poltrone. «E confermo anche il fatto che fosse timido e impacciato».
«Dica pure: sfigato, colonnè…uno sfigato esagerato», lo corresse prontamente Rocco.
«Purtroppo è vero. Durante un’esercitazione con le bombe a mano se ne fece scoppiare una tra le dita perdendo due falangi. Fui proprio io a disporne il congedo. Sì, avremmo anche potuto raffermarlo inserendolo nei ruoli inoperativi, ma quel ragazzo era veramente inadatto», concluse il militare.
Fu a quel punto che un quarto personaggio, con passi decisi, si avvicinò ai tre e, dopo aver tirato un’improvvisa manata sullo schienale del divano facendoli sobbalzare, esordì dicendo:
«Signori, qui qualcosa non quadra, la situazione è paradossale».
«E lei chi è?», domandò Rocco guardandolo con aria truce.
«E’ incredibile ma anche io conosco Persichetti», rispose con tono solenne e preoccupato il quarto uomo. «Sono uno psicologo e Persichetti venne da me qualche anno fa patendo una gravissima depressione. Lo presi in cura e lo seguii per qualche mese. Purtroppo, però, dovendo trasferirmi fui costretto a lasciarlo. Lui ne soffrì tantissimo. Io cercai di affidarlo alle cure di un mio collega, ma si rese irreperibile».
«Signori, due coincidenze sono strane», disse dopo qualche secondo di silenzio il colonnello «tre sono impossibili, ma addirittura quattro è fantascienza!».
«Ha ragione, Colonnello», confermò lo psicologo, «qui qualcosa non quadra. Permettetemi di fare una verifica». Detto questo, si alzò e battendo le mani per attirare l’attenzione degli altri viaggiatori disse ad alta voce: «Scusatemi se vi disturbo, ma temo che qui stia accadendo qualcosa di strano. C’è qualcuno di voi che conosce o ha conosciuto Persichetti Mario?».
I viaggiatori si guardarono in faccia perplessi e poi all’unisono diedero le loro immancabili conferme. «Sì! Io lo conosco!», «Anche io!», «Che strano, l’ho conosciuto pure io!».
Avendo intuito la straordinarietà dell’evento, tutti si accalcarono attorno alle poltrone.
«Tutti conosciamo Persichetti» affermò con aria assorta lo psicologo. «Ma com’è possibile che ci troviamo riuniti nello stesso pullman?».
«E Lei? Lei, per esempio, come mai è qui?» chiese il Colonnello con tono indagatore.
«Io? Io ho vinto un viaggio premio per passare l’ultimo dell’anno a Cortina», rispose prontamente lo psicologo.
Ne seguì un coro di «Anche io! Anche io! Anche io!».
Dopo l’ultimo “anch’io” un silenzio assordante piombò nel pullman. Una cappa di terrore paralizzante avvolse gli astanti. Ogni sorriso incredulo si spense. Il respiro si smorzò nelle gole divenute all’improvviso asciutte. Tutti si guardavano muti negli occhi e nessuno aveva il coraggio di voltare la testa per primo verso l’unico pericolo, attuale e concreto, presente lì, a pochi passi da loro, su quel mezzo che stava arrampicandosi velocemente sulle cime montuose: Babbo Natale! L’autista!
Il Colonnello fu il primo a superare lo shock e, alzatosi dalla poltrona, si avviò a grandi passi verso il conducente. Ma un congegno meccanico, attivato prontamente dall’autista, fece scattare una barriera metallica che impedì all’ufficiale di raggiungerlo. Come tante marionette caricate a molla, tutti i viaggiatori si lanciarono sulla parete metallica sbattendovi i pugni disperatamente.
«Signori, calma! Calma!», urlò lo psicologo facendosi largo tra la folla. «E’ stato un mio paziente, so come parlargli».
I viaggiatori si aprirono come le acque del mar rosso e lo psicologo, dopo essersi schiarito la voce, iniziò a parlare.
«Persichetti, sono il dottor Loconte e sai benissimo per quale motivo sono qui. Mi ci hai messo tu stesso accomunandomi a tutte queste persone che ritieni responsabili dei tuoi fallimenti. So come ti senti, Persichetti, ma devi capire che stai sbagliando. Noi siamo innocenti! Ne abbiamo parlato per ore nelle nostre sedute, ricordi? La causa della tua timidezza, del tuo senso di inadeguatezza, del tuo essere impacciato è addebitabile solo ai tuoi genitori. Sono stati loro che …».
«Dottore!» lo interruppe Ada con tono allarmato afferrandolo per un braccio.
«Santiddio, che c’è!» si lamentò lo psicologo.
«Guardi quella casa laggiù, in fondo al dirupo», disse la donna indicando un piccolo prefabbricato in legno sottostante la parete rocciosa su cui si inerpicava la strada di montagna percorsa dal pullman.
«Lei…lei ha citato i genitori di Persichetti…» affermò la donna con un filo di voce.
«Sì, ebbene?», chiese spazientito il dottore.
«Quella casetta laggiù è la casa dei genitori. Mi ci portò quando venimmo in vacanza da giovani», concluse con le lacrime agli occhi Ada raccogliendo il volto tra le mani e iniziando a pregare.
Una brusca manovra mandò tutti a gambe all’aria. L’autista sterzò all’improvviso lanciando il pullman extralusso oltre il guardrail, in picchiata nel dirupo, tra le nuvole candide di Dicembre, tra i venti gelidi di fine anno, in caduta libera tra la pazzia, un urlo di vendetta contro la vita, un ariete sul destino, una bomba sull’indifferenza, un muto grido di dolore.
Giù, giù in feroce picchiata fino a schiantarsi contro il casolare dei genitori. E poi l’impatto devastante, una deflagrazione di pazza felicità catartica.
Felice anno, Persichetti!
Nicola Furia
Ok, io adoro Furia, ma qui siamo veramente un po’ troppo vicino a Dieci Piccoli Indiani, secondo me. Bella la critica sociale a Cortina and company e come al solito splendido lo stile, conciso, diretto e rapido. Ma,per la prima volta, trovo una sua trama un po’ “debole”