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Il terzo di quattro racconti HORROR – FANTASY di Pergiorgio Melidori: IL FARO DI SELHOFF.
(nomi e luoghi del racconto sono stati ispirati al gioco Magic the Gathering)


A Selhoff, nonostante il suo aspetto sinistro e decadente si trova una delle più famose locande di Innistrad. Il Kraken è da tempo immemorabile gestita da Hans il Rosso, a sua volta uno dei personaggi più conosciuti di Nephalia e dintorni. Il segreto, se così si può chiamare, della notorietà del locandiere è la sua infinita e contagiosa loquacità.

Narra che fior fiore di marchesi e duchi siano arrivati addirittura alle mani per accaparrarsi un tavolo. Millanta di aver servito una birra a viaggiatori arrivati da luoghi sconosciuti e fantastici e infine, giusto per chiarire se ci fossero ancora dubbi, sostiene che in qualsiasi angolo del mondo conosciuto ci sia ancora qualcuno che gli debba almeno un favore.

La cosa che però Hans adora, ancora più dell’ottimo stinco alla birra (la cui ricetta dice di aver trovato in un forziere di un qualche tesoro pirata) è raccontare storie.

 Ogni volta che una faccia nuova varca l’ingresso e si avvicina al bancone del Kraken, Hans si avvicina tutto sorridente e, senza neanche aspettare la comanda, spilla una buona birra scura.

Piazza il boccale sotto il naso del malcapitato e prima che egli abbia tempo di inumidirsi i baffi parte con la sua preferita: la storia del faro di Selhoff.

Aaron e Liv erano i guardiani del faro. Lo avevano ottenuto in gestione poco dopo il loro matrimonio e nonostante le condizioni scheletriche e fatiscenti in cui versava non si erano persi d’animo e avevano accettato con gioia l’incarico. I due si amavano, si amavano di un amore così intenso e puro che quasi da solo bastava a rischiarare anche le notti più buie.

Passavano i giorni e mentre Aaron lavorava duramente per rimettere in ordine la vecchia struttura, Liv curava l’orto e quei pochi animali da cortile che possedevano. Una volta alla settimana si recavano giù al mercato portuale di Selhoff, per vendere qualche uovo o del formaggio e per acquistare ciò che necessitavano per la loro semplice ma felice vita.

Al calar della notte e nelle giornate dove il Nebelgast impediva di vedersi la punta dei piedi, Aaron saliva fino in cima alla torre e accendeva la grande lampada.

Ebbene, nessuno sa come né perché, ma l’occhio scintillante del faro era l’unica cosa in Innistrad capace di bucare quella maledetta nebbia e proprio per questo il porto di Selhoff era l’unico attracco sicuro, almeno a sentire i marinai, di tutta la regione. Ai più romantici piace pensare che quella luce abbia preso forza e splendore proprio dall’amore dei due giovani… ma su questo Hans nicchia un po’.

Passarono i mesi e con essi gli anni; il faro di Selhoff continuava ogni notte a bucare il Nebelgast così come un raggio di speranza illumina persino i cuori più disperati… ma una notte, una come tante, la tempesta tornò.

Così, come ogni volta, le sue onde violente flagellavano la scogliera e man mano si facevano sempre più alte e minacciose. Quella notte sembrava che gli inferi stessi volessero oscurare quel bagliore che offendeva così sfacciatamente i loro occhi.

Aaron e Liv lottavano contro le imposte che si spalancavano e le richiudevano violentemente come fossero possedute, spruzzi gelidi infradiciavano le loro vesti e graffiavano loro il viso come invisibili artigli. Al di fuori, legati alla staccionata del recinto,  i due cavalli nitrivano e scalciavano in preda ad un folle terrore.

Lui corse su, nella camera più alta del faro, dove l’enorme specchio irraggiava il golfo di Selhoff per cercare in qualche modo di sigillare le finestre. Arrivato ansimante in cima alla ripida scala a chiocciola rivolse lo sguardo oltre il dirupo in direzione del mare aperto e, proprio lì, il potente fascio di luce illuminò in maniera sinistra lo spaventoso spettacolo: un’ enorme onda nera, un muro d’acqua oscuro come la notte si stava avvicinando… protesa e spettrale mano nell’atto di ghermire.

Aaron si sporse dalla finestra sul retro e chiamò più volte la sua Liv che, nel frattempo, era uscita nel tentativo di mettere gli animali al riparo. La pregò di rientrare, la chiamò con tutte le forze che aveva in corpo, ma cos’era la sua voce se non un bisbiglio di fronte all’abominio che incombeva su di loro? Il fortunale si abbatté con tutta la sua furia sulla vecchia struttura, che vibrò sin nelle fondamenta; fiumi d’acqua si riversarono nei corridoi e giù dalle scale sommergendo e inondando tutto: questione di pochi istanti e fu il buio.

Il giovane guardiano riaprì gli occhi. Il faro era ancora lì, fatiscente e scheletrico, proprio come il primo giorno in cui lui e la sua giovane moglie vi erano entrati… già, Liv…

Chiamò fino allo sfinimento il nome di lei con gli occhi gonfi di lacrime e il cuore spezzato dal dolore. Aaron Thorpe urlò e si disperò finché i giorni divennero mesi e i mesi anni.

Di solito arrivati a questo punto la voce di Hans si fa rauca e i suoi occhi si arrossano, allora il locandiere si allontana e con una scusa serve un altro paio di birre. Giusto una pausa che a dir del vero ha più del teatrale che del tragico ma, alla fine, chi può realmente dirlo? Finito questo suo personale rito Hans torna sempre ad appoggiarsi al bancone, si schiarisce la voce e riprende a raccontare…

L’argento come polvere di luna aveva ricoperto il capo di Aaron così come i suoi occhi, una volta di un blu intenso pieni di vita, ora parevano poco più che un riflesso in una pozza d’acqua.

Il pover’uomo si faceva vedere di rado al porto di Selhoff, una rapida scappata per prendere ciò di cui necessitava alla sua triste e solitaria vita. Il faro era sempre lassù, a dominare il promontorio e a sfidare instancabilmente il Nebelgast, riportato ancora una volta a nuova vita dal suo vecchio guardiano, il quale ne era diventato pressoché l’essenza stessa, con le sue profonde rughe e con la sua pelle bruciata dal sole. Aaron era sempre appoggiato alla balaustra più alta a scrutare il mare, con il sole o con la nebbia, con la luna o con le tempesta. Il suo sguardo ciondolava lentamente seguendo il fascio luminoso in cerca di un qualcosa , anche di un solo pallido riflesso: ultimo raggio di speranza, ultima luce alla fine del mondo.

Gli uomini e gli angeli piansero il suo dolore infinito e profondo fino a che un giorno, uno come tanti, la tempesta tornò.

Il guardiano ormai conosceva bene il suo nemico e lottò nuovamente contro la furia del vento, contro gli spruzzi d’acqua gelida che gli graffiavano il volto in quel sempiterno scontro fra l’uomo e il destino. Nonostante tutto, alla fine, quando le nubi si diradavano e un pallido raggio di luna tornava a riflettersi sulla superficie quieta del mare, il vecchio faro era sempre lì: ultima luce alla fine del mondo.

Il giorno successivo anche un occhio non esperto avrebbe notato quella cosa galleggiare e dondolare lentamente accompagnata dalle onde già da quando era ancora molto distante. Capita spesso che dopo il passaggio dei fortunali vecchi rottami riaffiorino e vengano portati a riva, ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Il vecchio corse giù dalla ripida scalinata che dalla cima della scogliera portava al piccolo approdo sottostante e grande fu la sua sorpresa quando vide, incastrata fra due scogli e cullata dalla marea, una cesta dalla quale fuoriusciva come un sommesso canto il vagito di un infante.

Così come dalla notte più oscura nasce l’alba più luminosa il cuore di Aaron, solitario e inaridito, si riempì nuovamente di quell’amore così tanto agognato nelle lunghe veglie notturne.

Il vecchio benediva e ringraziava gli angeli in ogni momento della giornata, nuova vita scorreva nelle sue vene e ogni volta che posava gli occhi sulla sua dolce Annekke, nel frattempo divenuta una bellissima giovane piena di vita, non poteva non pensare alla sua amata Liv: stavolta nulla l’avrebbe più strappata da lui. Aaron lavorava al faro, anzi, Aaron era ormai lo spirito stesso del faro, la sua linfa e il suo cuore pulsante mentre Annekke curava l’orto e quei pochi animali da cortile. Una volta alla settimana la giovane scendeva al porto di Selhoff per scambiare delle uova o dei formaggi con ciò che necessitava alla loro semplice ma felice vita.

La bellezza disarmante di Annekke non passava certo inosservata e lei rispondeva con cortesi cenni del capo e con incantevoli sorrisi a tutti i saluti. Chiunque, dal facchino al ricco commerciante, si voltava e commentava al suo passaggio, ma lei glissava e passava oltre perché, segretamente, il suo cuore apparteneva al capitano della corvetta L’Albatross, tale Randall Burns. Ogni settimana, alla fine del mercato e poco prima del calare della sera la giovane si occultava in un mantello grigio verdastro, si confondeva con il via vai dei pontili e in una cantina non distante dalla locanda del Kraken… così almeno sostiene orgogliosamente Hans… incontrava segretamente il suo amore. Varcata quella soglia Annekke poteva spogliarsi del mantello, poteva togliersi quello stupido sorriso dal volto, poteva gettare via la maschera che era costretta ad indossare e poteva finalmente lasciarsi andare in un pianto rotto e disperato fra le braccia del suo amato. Lei non era felice, la sua vita al faro non era ciò che gli altri credevano.

Il vecchio Aaron quella notte di tempesta, assieme all’amore della sua vita, aveva perso anche il senno. Ora era l’ombra di ciò che era stato un tempo, il suo cuore si era nuovamente riempito, ma stavolta di un amore deviato e insano. Il guardiano era ossessionato dalla paura di tornare solo e non intendeva dividere Annekke con nessuno. Lei gli era stata donata dagli angeli per riparare alla perdita della sua amata Liv e sarebbe stata solo sua per sempre: lui e lei felici nel faro di Selhoff, ultima luce alla fine del mondo.

La lasciava uscire solo per scendere al mercato e se per caso tardava un po’ più del solito a volte la aggrediva, minacciando di segregarla per sempre nella sua stanza se avesse osato farlo di nuovo. A volte, invece, le correva incontro tremante e, nell’abbracciarla, scoppiava a piangere implorandola singhiozzando di non lasciarlo mai più solo. Annekke non ne poteva più, ma nemmeno aveva la forza di abbandonare l’unica famiglia che avesse mai avuto.

 Nel buio della cantina del porto i minuti passavano veloci, persi fra le braccia del proprio amato. In quello che pareva un istante sempre più fugace la giovane fu costretta ad abbandonare Randall Burns, rinnovando la promessa di un caldo abbraccio la prossima volta che L’Albatross avesse attraccato a Selhoff. Il giovane Capitano però non lasciò subito la mano della sua amata, anzi la strinse e fissandola negli occhi le promise che era l’ultima volta che era costretto ad abbandonarla. Promise che la prossima volta l’avrebbe portata via con lui, al di là del mare, lontana da quella misera vita, ma soprattutto lontana dal faro e dal suo vecchio guardiano. Annekke arrivò giusto in tempo davanti all’uscio di casa e diede un’occhiata in alto sulla balaustra, dove il vecchio patrigno già passeggiava nervosamente.

Quegli ultimi, infiniti sette giorni  parvero secoli nella mente della giovane, mentre fissava il vecchio Aaron nella sua serena quotidianità. La sua mente era scossa, su questo non c’era dubbio, ma nemmeno c’era dubbio sul fatto che seppur in un modo distorto lui l’amasse; in fondo l’aveva salvata dal mare e cresciuta come una figlia, non facendole mancare nulla.

A volte pensava a quanto dovesse essere stato straziante l’aver perso il proprio amore in quella maniera così terribile, l’aver vissuto tutti quegli anni in solitudine, ma di una cosa era certa: lei non era Liv, non poteva e soprattutto non voleva sostituirsi a quell’amore perduto, ma voleva vivere la sua vita libera da invisibili catene.

Venne infine il giorno e con esso venne il Nebelgast.

Il fascio luminoso bucava la fitta nebbia, puntando il suo occhio verso il mare aperto. Annekke scrutava ansiosamente, facendo attenzione che il patrigno non notasse il suo nervosismo quando poi, finalmente, al fondo di quel tunnel di luce ecco apparire il vascello del suo amato Capitano. Cento e più volte aveva scrutato l’orizzonte in attesa di vederlo e ormai sapeva riconoscerne la sagoma già a leghe di distanza. Un ultimo sguardo e poi via di corsa, giù dalle ripide scale che portavano al piccolo approdo sotto il dirupo. La lanterna che portava con sé non l’avrebbe certo tradita, in quanto con la sua fioca luce a stento permetteva alla ragazza di non mettere un piede in fallo in quella nebbia maledetta.

Arrivò alla barca ormeggiata nella piccola insenatura, salì a bordo e lasciò andare l’ormeggio, mentre un brivido le percorse la schiena: sebbene non potesse più scorgerlo era certa che Aaron fosse là, sulla balaustra a fissare il mare, in realtà a fissare un luogo remoto della sua mente consumata dal dolore. Non c’era più tempo da perdere, Randall la stava aspettando e ogni colpo di remi era un istante in meno che la separava dalle sue braccia.

Era notte, una come tante, ma proprio in quella notte la tempesta tornò. Il vento si alzò in un istante, nere onde si sollevarono e spruzzi gelidi graffiarono il viso di Annekkee come invisibili artigli.

Randall Burns scrutava ansioso verso terra e quando finalmente vide la piccola barca avvicinarsi verso la nave si sporse dal parapetto e chiamò la sua amata a gran voce. Lei, remando con tutte le sue forze, rispose: era lì, a pochi colpi di pagaia e nulla l’avrebbe fermata, nulla avrebbe rubato la loro libertà.

Il vecchio guardiano si preparò a combattere l’ennesima battaglia e, mentre inquieto si dirigeva a sigillare le finestre, rivolse lo sguardo oltre il dirupo in direzione del mare aperto. Lì,il potente fascio di luce mostrò ancora una volta un terribile spettacolo: l’unica sua ragione di vita lo stava abbandonando, stava fuggendo da lui… lui che le aveva dato tutto, la vita… l’amore. In quel preciso istante Aaron Thorpe impazzì. Prese la spranga che usava per bloccare le imposte e rivolse la sua rabbia, la sua frustrazione, il suo odio verso il grande specchio riflettente. Ogni colpo che vibrava al faro lo vibrava a se stesso, lui che ormai ne era l’essenza stessa fino a che, mandandone in pezzi anche l’ultimo frammento, mandò in pezzi anche l’ultima briciola di umanità che gli era rimasta.

Menando fendenti maledì l’amore, maledì gli uomini e gli angeli, maledì il mare e il vento, il sole e la pioggia, maledì la solitudine…maledì la sua anima fino a che l’ultimo barlume di luce si spense e il Nebelgast con i suoi demoni ingoiò tutto.

Il più delle volte, arrivato a questo punto, Hans riprende una posizione più eretta e la sua voce si fa più grave e profonda…

Tutto finì nell’oscurità: i flutti e il Nebelgast ingoiarono la fragile barchetta di Annekke. Il Capitano Randall Burns diresse L’Albatross nel cuore del fortunale, continuando a chiamare disperatamente la sua amata fino a che di lui, del suo vascello e di tutto l’equipaggio non se ne seppe più nulla…

Hans senza dubbio si starà spillando una birra per bagnarsi la gola asciutta, dategli tempo e di certo finirà il suo racconto.

Il faro di Selhoff è ancora là, scheletrico e fatiscente, ma nessun altro ha avuto il coraggio di abitarlo. Si narra che nelle notti di luna piena si possa scorgere il fantasma di Aaron Thorpe sulla balaustra intento a fissare il mare, in attesa. Si dice che chiunque ne varchi la soglia liberi l’anima dannata del vecchio ma ne prenda il posto diventando, a sua volta, il nuovo guardiano del faro in un infinito ciclo di dannazione e solitudine. Quando invece il Nebelgast porta con sé i suoi demoni avvolgendo tutto, nemmeno il marinaio più intrepido osa prendere il largo perché sa che L’Albatross è ancora là fuori, da qualche parte con il Capitano Randall Burns, impazzito dal dolore, al timone con il suo equipaggio di spettri pronti a trascinare nel nulla chiunque incroci la loro rotta.

 

Piergiorgio Melidori


(nomi e luoghi del racconto sono stati ispirati al gioco Magic the Gathering)


 

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