Racconti brevi

Dopo l’apocalisse-zombie tutto è distrutto… ma non le poste. C’E’ POSTA PER TE, un racconto di Luca PENNATI


Una cosa che mi rilassa tantissimo è cantare strofe di grandi successi intramontabili, come quello di Lucio Battisti: “pedalando in bicicletta, la domenica mattina…” Poi però ti sbuca uno zombie da dietro l’angolo e allora non canti più molto serenamente.

Proprio oggi ho dovuto eliminarne un paio. Quegli stronzi son saltati fuori all’improvviso, facendosi troppo vicini e decisamente minacciosi. Devono avermi sentito arrivare.

Anche se non era la prima volta che passavo per quella zona industriale ed era passato parecchio tempo dall’ultimo avvistamento, bisognerebbe sempre avere mille occhi e non fidarsi mai di niente! È una regola che mi ha parato il culo in varie occasioni.

Purtroppo il territorio aperto rimane un ambiente selvaggio. Tra l’altro non erano i soli zombie presenti, ce n’erano altri poco distanti, ma son riuscito a schivarli. Non avevo intenzione di fermarmi ulteriormente. Ho lasciato il compito agli esperti della squadra bonifiche, ai quali ho fatto la segnalazione tramite walkie talkie: posizione, quanti erano, se erano interi, che tipo di abbigliamento indossavano. Cose così, insomma. Io mi occupo di altro: sono un portalettere. Recapito la corrispondenza, e non solo, da un posto sicuro ad un altro. Solitamente mi muovo con la mia fidata e robustissima mountainbike, indosso un casco e una tuta con protezioni in kevlar e ho un robusto zaino bello capiente. Sull’elemetto una bella scritta “POSTA” solitamente mi mette al riparo da qualche cecchino solitario. Naturalmente ho un regolare permesso per girare armato: un machete, un uzi e una beretta calibro 9 fanno parte del mio equipaggiamento. La gente si fida molto poco degli altri, soprattutto se armati. Ma non posso andare in giro senza le mie dotazioni. Non è facile attraversare i territori esterni.Comunque le operazioni di bonifica proseguono con difficoltá e non hanno ancora ultimato la pulizia. S’incontrano ancora troppi sciami di zombie. Ma fosse solo quello il problema; le frequenti lotte di potere per il controllo del territorio aperto da parte delle milizie non aiutano. È proprio vero che i vivi sono pericolosi quanto i non-morti.  

Però noi postini siamo i soli ad avere il pass di accesso a tutti i territori. Il nostro ruolo, fortunatamente, è considerato fondamentale da tutti quanti. Infatti, grazie a noi, le persone possono restare in contatto e in tanti casi sono riuscite ritrovarsi dopo quello che è successo. Ci sentiamo molto utili alla civiltà, sebbene ultimamente sia limitata. Ma ben presto sono sicuro che riusciremo a tornare com’eravamo, magari anche migliori di allora. Spero presto. Purtroppo, per il momento, parlare di democrazia su larga scala è ancora prematuro, ma prima o poi riusciremo a definire dei confini certi, a dotarci di organi istituzionali e di nuove carte costituzionali. Qualcuno ci ha provato, ma si è dovuto arrendere all’evidenza: un uomo solo al comando per il momento è ancora la soluzione migliore.  

D’altra parte viviamo in un mondo diverso da come lo conoscevamo un tempo.

La legge viene decisa dal più forte o dal gruppo più numeroso. Gli altri devono adeguarsi. Per il momento, purtroppo, la priorità rimane sempre la stessa: uccidere gli zombie e restare vivi, organizzati e in accordo sugli obiettivi da raggiungere.

Solo una cosa è stata, appunto, capace di placare gli animi spesso troppo focosi e di mettere tutti d’accordo: le informazioni e i ricordi. Vivere senza mezzi di comunicazione, senza carta stampata, senza TV o internet per chi non era abituato a farne a meno è stato veramente difficile. Non sapere cosa effettivamente stesse succedendo, non solo nel mondo ma anche a pochi isolati dalla tua casa, in poco tempo, ci ha ridotto all’isolamento causando una rapidissima ed inevitabile regressione sociale. Secoli di progresso gettati via in pochi anni. Devo riconoscere che, nonostante tutto, qualcuno con un po’ di sale in zucca era rimasto; quando durante l’assemblea del mio posto sicuro proposi la creazione di un corpo dei portalettere, non feci fatica a raccogliere consensi e adesioni al progetto.

Anche il Direttore del mio Posto Sicuro si era reso conto che l’eccessivo isolamento stava agitando troppo le persone sopravvissute, tanto che continuavano a chiedere il favore a chi si avventurava in missioni di recupero provviste di cercare informazioni, di valutare gli eventuali messaggi lasciati da altri sopravvissuti. Io da solo non riuscivo ad accontentare tutti. Una squadra che si dedicasse a questo compito è sembrata la cosa più sensata da fare. Alla fine il Direttore acconsentì senza troppi problemi.

Era troppo evidente che la gente scalpitasse per sapere e soprattutto per continuare ad avere una speranza. Anzi, dopo l’istituzione del servizio i residenti hanno iniziato a darsi maggiormente da fare per restare in vita. Se scrivi una lettera e aspetti una risposta, sicuramente non vuoi morire prima di averla ricevuta.

Mi piace il mio lavoro, mi permette di essere utile alla comunità. Sono già passati cinque anni da quando ho iniziato.

L’intuizione mi venne nel momento più complicato che che io abbia mai affrontato.

Durante la Grande Evacuazione, a seguito dell’apocalisse zombie, avevo perso le tracce della mia famiglia, poichè quei tragici eventi ci avevano costretto alla separazione.  

Dopo i primi, durissimi momenti di sopravvivenza mi ero deciso a trovare mia moglie e mia figlia, andando a cercarle nei posti sicuri dove presumibilmente le avevano trasferite. Durante i vari spostamenti mi ero messo a fare domande a chiunque incontrassi, cercando di ricostruire i fatti. Ovviamente scoprii di non essere il solo in quella situazione. Infatti, ovunque andassi, trovavo sempre qualcuno che alle mie domande rispondeva a sua volta con altre domande.

Come me, tante persone slegate dai propri amici e parenti cercavano di scoprire dove fossero finiti i loro cari. Ovviamente mi chiesi perchè non li cercassero come stavo facendo io. La risposta era davanti e tutt’intorno a me. La maggior parte di loro aveva addosso troppa paura per affrontare le ricerche in modo diretto. Erano terrorizzati anche solo all’idea di uscire dai Posti Sicuri.

I morti viventi erano ovunque ed erano davvero  pericolosi.

Ci pensai su. Mi convinsi che si dovesse fare qualcosa per tutta quella gente. La prima soluzione che mi venne in mente poteva essere un lista. Incominciai, quindi, a compilare un elenco nel quale annotavo i nomi di chi incontravo e vicino indicavo le persone che stavano cercando, la loro provenienza e il posto dove pensavano di trovarli. Promisi loro che durante i miei spostamenti avrei diffuso la lista nei vari Posti Sicuri nella speranza, magari, di incontrare qualcuno che potesse darmi ulteriori notizie per consentire i tanto agognati ricongiungimenti.

Inizialmente mi era parso un modo anche stupido, se vogliamo, per accontentare le persone con cui parlavo, ma poi ebbi dei risultati. La prima soddisfazione la ebbi un giorno, durante il quale incontrai un gruppo di sopravvissuti tra cui c’erano parecchi ragazzi scompagnati. Mi raccontarono che durante una repentina fuga dal Posto Sicuro di Brescia si erano trovati da soli e non sapevano che fine avessero fatto i loro genitori. Mostrando loro l’elenco, due ragazze scoprirono che anche i loro parenti non erano morti e le stavano cercando. Spiegai loro, attraverso le annotazioni che avevo preso, che i genitori si trovavano al Posto Sicuro di Bergamo, quindi neanche troppo distante. Vedere i loro sguardi riempirsi di lacrime per la gioia provata alla luce di quella notizia fu qualcosa di speciale. Mi resi conto di essere sulla buona strada, ma non avevo ancora completato l’opera.

Le ragazze mi chiesero subito se sarebbero potute partire con me per tornare dai loro parenti. Non fu facile convincerle che avrebbero dovuto attendere. Data la giovane età, anche il capo dell’accampamento convenne che sarebbe stato troppo pericoloso per loro mettersi in cammino e affrontare il viaggio in mezzo a quel territorio infestato. Tra l’altro il mio unico mezzo di trasporto era la mia fidata bicicletta, dalla quale per niente al mondo mi sarei separato.

Il problema, però, si risolse facilmente. Proposi loro di scrivere una lettera per far sapere ai loro parenti che stavano bene e garantii che l’avrei recapitata io stesso durante il giro di ritorno. Poi, una volta stabilito il contatto, si sarebbe potuta organizzare una spedizione di ricongiungimento. Sulla scia di quella novità anche gli altri membri del gruppo dei sopravvissuti aggiunsero nomi, date, luoghi al mio elenco itinerante e mi aiutarono ad andarmene sano e salvo. Altri invece, i più fortunati che già sapevano dov’era rifugiata la loro famiglia, mi affidarono direttamente delle lettere da recapitare. In quel momento divenni un postino di speranza e, anche se mi sentii caricato di un’enorme respondabilità, affrontai la situazione con spirito di sacrificio, certo di poter dare un contributo alla civiltà.

Per noi postini ogni messaggio è importante e merita rispetto. Le persone che ce lo affidano c’incaricano di custodire le loro emozioni, i loro sentimenti e le richieste di aiuto. La vita stessa.

Il ruolo delle poste ha un alto valore sociale. Esse sono in grado di salvare le persone dalla pazzia e dall’ansia di non sapere che fine possano aver fatto i loro parenti e amici. Ovviamente nessuno può vivere senza affetti e in un certo senso noi permettiamo il proseguimento dei rapporti umani in questo mondo che di umano omai ha ben poco.

Una volta si diceva: “una telefonata allunga la vita”.

Per il momento la gente si sta accontentando di essere tornata a scriversi, di essere tornata in contatto con le persone che conosceva prima dell’apocalisse e finchè dureranno le scorte di carta, penne o matite, i ricordi verrano vergati nero su bianco per essere tramandati. Da un po’ di tempo porto sempre con me una risma di carta e qualche penna recuperata in giro. Mi capita spesso d’incontrare  qualcuno che mi chiede il favore di regalargli un foglio.

Una volta, per esempio, m’imbattei in una copisteria abbandonata che aveva il magazzino bello fornito. Chiesi allora al Direttore del mio Posto Sicuro di organizzare un camion per prelevare tutto quel ben di Dio prima che andasse in malora.  Certo, sembra scontato ma non lo è. Ci sono cose che eravamo abituati ad avere sempre a portata di mano che ora non ci sono più. Infatti il problema dei nostri giorni da sopravviventi è la totale assenza di industrie in grado di produrre i piu comuni beni che eravamo abituati ad usare e ad avere intorno come se fosse normale che ci fossero, come se apparissero dal nulla. Ci piaceva pure sprecarli. Ah, come ci si rende conto dell’importanza delle cose quando vengono a mancare. Non si può più fare affidamento neanche sugli artigiani, visto che l’era del consumismo di massa e dell’industrializzazione aveva fatto perdere già prima dell’apocalisse le conoscenze di base del lavoro manuale. Praticamente non si trovano più fabbri, falegnami, idraulici, ma anche calzolai e pellettieri. Abbiamo dovuto reimparare i mestieri dei nostri nonni da zero: provando, sbagliando e riprovando. Per non parlare del settore alimentare. Eravamo abituati a comprare il cibo in scatola, la carne era giá pronta per essere cucinata, dimenticando che c’era stato qualcuno che si era occupato di renderla commestibile e prima ancora di allevare la bestia, macellarla, controllarla, confezionarla e alla fine distribuirla nei negozi.

Anche coltivare sembra una cosa semplice, ma se su 100 persone trovate 2 contadini esperti bisogna considerarsi fortunati. E le sementi? per un’agricoltura seria non si può certo improvvisare.  

Oltre tutto l’industrializzazione moderna su vasta scala fu indubbiamente una gran cosa, almeno fino a quando si scoprì di esserne diventati dipendenti in tutto e per tutto. La quasi totalità delle fabbriche sono tutt’ora inutilizzabili poichè, oltre alla mancanza di materie prime, manca soprattutto la quantità minima di corrente elettrica per far partire i macchinari.

Ogni Posto Sicuro all’inizio si era affidato ai generatori sfruttando le scorte di benzina recuperate dagli automezzi inutilizzabili rimasti abbandonati e dai serbatoi dei benzinai, ma dopo un paio d’anni il carburante era finito.

Comunque non è il mio compito risolvere questi problemi. Io mi occupo di una piccola grande cosa organizzata in maniera semplice ma efficace: consegnare la posta. E son già contento così. Durante i miei giri, comunque, cerco di informarmi sulle capacità delle persone che incontro. I Direttori dei Posti Sicuri sono sempre alla ricerca di esperti in tutti i settori e se si vuole tornare al progresso sarebbe meglio mantenere equilibrate le potenzialità di sviluppo sociale dei gruppi di sopravvissuti.

A proposito di questo aspetto, è stata organizzata una procedura ad hoc per gestire i trasferimenti da un posto sicuro ad un altro che tenga conto non solo dei ricongiungimenti, ma appunto delle competenze di ognuno. Il servizio di valutazione e registro compete anch’esso al servizio postale e fu così che le persone incomiciarono ad uscire dai PS.  

Quindi, di solito quando raggiungo il PS previsto dal mio giro di consegne dopo aver distribuito la posta e comincio a chiedere in giro se magari c’è qualcuno interessato a spostarsi.

Se una persona vuole trasferirsi, deve chiedere prima il permesso di essere ospitato. Non si puo rischiare il sovraffollamento e il disequilibrio. Noi postini conserviamo un elenco speciale con i posti disponibili in base ai ruoli necessari. Per quanto riguarda i ricongiungimenti, custodisco gelosamente il mio personale elenco di persone che grazie a me sono rientrate in contatto o addirittura sono tornate a vivere insieme.

Godere della riconoscenza di migliaia di sopravvissuti non solo è una cosa che mi da molta soddisfazione, mi garantisce anche alcuni vantaggi. Infatti, ovunque vada, posso contare su un pasto caldo e un letto.

Ovviamente non sono immune al rischio. Anzi, tutti i giorni combatto contro la morte come se sapesse che sono un antidoto contro la disperazione opprimente causata dal non sapere.

Viaggio sempre con le borse piene di lettere ed elenchi di persone da cercare.

Quando arrivo in un posto sicuro vengo sempre accolto da una folla, in alcune cittá hanno attrezzato pure una pubblica bacheca dove poter affiggere dei messaggi e dove posso apporre la mia lista di ricerca. Raramente mi fermo circa due giorni, che considero il lasso di tempo giusto per consentire alla gente di darmi informazioni, ma soprattutto per riprendermi dalla tensione che mi trasmettono le terre di mezzo. Diciamo che in realtà non sto mai fermo.

All’inizio di questi anni mi sono reso conto che la gente viveva nella rassegnazione. Ora non più e anche grazie al mio lavoro, so che i non morti non vinceranno, ci vorrá ancora del tempo ma ce la faremo.

Non so quanti non-morti abbia fatto fuori in questa vita da “postino”, cerco di non tenerne il conto.  Percorro dai 50 ai 70 km a tratta. Possono sembrare pochi, ma bisogna tener conto che solo le strade vicine ai posti sicuri sono “pulite”, le altre sono ancora piene di carcasse di automezzi arrugginiti. All’inizio dovevo stare anche attento alle pozzanghere di sangue rappreso. Se ne trovavano dappertutto ed erano davvero scivolose. Mi è capitato di cadere un paio di volte, ma niente di serio, anche perchè non c’era nessuno intorno, altrimenti non avrei potuto raccontarlo. Fortunatamente il periodo delle grandi piogge ci ha dato una mano a lavare via tante schifezze dalle nostre strade. Ora il clima si è dato una regolata e le cose, fortunatamente, sono migliorate. Di corpi fermi in giro ne sono rimasti pochi; invece non si può dire altrettanto dei vaganti. Ce ne sono ancora tanti e ovviamente si radunano vicino ai nuovi centri abitati, che sono diventati i posti sicuri. Più ne ammazzano e piu ne arrivano. Sembra che il flusso non si fermi mai. Maledetti zombie.

Poi ci sono stati i sopravvissuti diffidenti. Quando ho iniziato, i comandanti dei PS erano molto sospettosi a far entrare un estraneo a casa loro. Ovvio. Anch’io lo sarei stato. Magari potevo essere infetto, oppure un malintenzionato. Non fu facile vincere la malfidenza degli uomini ai posti di guardia.  Sono individui dal grilletto facile e infatti un paio di loro mi spararono addosso prima ancora che potessi parlare. Poi però, quando riuscii a spiegar loro qual era lo scopo della mia missione, mi aprirono le porte e ovunque mi trovassi c’era sempre qualcuno che aveva bisogno del mio servizio. Non mi è mai capitato di non poter entrare.

Ora addirittura mi aiutano da lontano. Man mano che mi avvicino al posto sicuro sento i fischi delle vedette che avvisano del mio arrivo cosicchè l’addetto alla porta possa aprirmi al volo per farmi entrare evitando gli eventuali zombie che stazionano vicino alle entrate.

Purtroppo la mia famiglia non l’ho più trovata e temo che arrendersi all’evidenza sia ormai inevitabile. Soprattutto dopo aver visitato il loro PS. Dalle notizie che ho raccolto, ho saputo che già nei primi giorni di resistenza le difese vennero messe a dura prova da un implacabile assedio da parte dei non-morti. In molti caddero dilaniati dagli infetti, tanti altri morirono per le precarie condizioni minime di sussistenza e solo in pochissimi riuscirono a mettersi in salvo.

Tutto questo successe, secondo me, anche per colpa delle fottute procedure d’evacuazione; quando ci separarono, ebbe la meglio quella maledetta regola del “prima le donne e i bambini” e, così facendo, loro furono destinate al PS di Mantova; invece io rimasi ad aspettare di essere trasferito insieme agli ultimi. Siccome, nel frattempo, il loro PS  si era riempito, mi destinarono a quello di Mestre. Non le rividi mai più.

Per arrivarci, tuttavia, dovettero passare alcune settimane durante le quali venni arruolato nella difesa del territorio. Lottai con l’adrenalina a mille, nutrendo ogni giorno la speranza di riabbracciarle. Dovevo sopravvivere soprattutto per loro e sopravvissi. Cosicchè, quando la situazione si tranquillizzò un po’, cercai di raggiungere le donne della mia vita. Inutilmente. Il destino è stato ingeneroso con noi. Non ci avessero separati, ora saremmo insieme almeno  nell’aldilà.

Per “fortuna” fare il postino, oltre a distrarmi dai cattivi pensieri, riesce a darmi la forza di continuare, evitando a quei maledetti putrefatti di vincere. Continuerò, allora, nel compito che mi sono scelto, sempre più convinto che lo stare in contatto, anche se da lontano, consentirà alle persone di progredire nuovamente, portandole a realizzare una società migliore, consci di aver imparato dagli errori del passato.

 

 

Luca Pennati


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