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E I MORTI CAMMINERANNO… un fantastico racconto in 3 capitoli, scritto magistralmente da DIANA J.STEWHEART


capitolo 2

 

La morte non può fermare la vendetta

 

Krista guardò con stupore il cielo azzurro che si stagliava sopra le loro teste e le si allargò il cuore quando i campi dorati di grano le fecero capire di essere arrivata in Nebraska.

Baciò i capelli di Jess e si sorprese a sorridere: non lo faceva da tempo, ormai.

Un cartello arrugginito e coperto dal guano dei corvi indicava The Shepherd’s Field, 5 Miglia. Erano quasi arrivate. The Shepherd’s Field era un minuscolo villaggio nei dintorni di Omaha. Contava pressappoco cinquecento abitanti e tutti erano di religione Mormone, quindi non avevano la TV. Il che era un bene: non le andava di incontrare altra gente esagitata e con una fissa per quella dannata Mallory Swan.

Aveva deciso di abbandonare la sua carriera di attrice e sarebbero potute vivere benissimo con i guadagni ricavati da dieci anni nella soap opera.

La villetta di Los Angeles era stata messa all’asta e lei intascato altri quattro milioni di dollari…che viaggiavano comodamente nella valigetta che Krista non mollava mai.

Una sensazione di indicibile benessere le formicolò tra le membra; era sicura che lì sarebbe iniziato un nuovo capitolo della loro vita. Il sole stava sorgendo e Jess si svegliò.

“Siamo arrivate?”, chiese con voce impastata.

“Non ancora, ma manca poco. Vuoi mangiare qualcosa?”

“No. Ho ancora sonno…”, rispose, chiudendo gli occhi e sprofondando nel torpore.

Krista si rosicchiò l’unghia dell’indice destro: lo faceva quando sentiva di non poter controllare la situazione.

All’improvviso si chiese se fosse stata una buona idea lasciare la metropoli californiana per infilarsi in quel buco sperduto nel Nebraska. Cosa avrebbe fatto se Jess avesse continuato a navigare in quell’apatia? Era sempre stata una ragazzina timida ed introversa, poco incline alle amicizie. Almeno a Los Angeles, vi erano persone della sua stessa età e con cui condividere sogni ed aspirazioni. Ma qui? Dubitava che i ragazzi Mormoni avessero qualcosa a che spartire con sua figlia.

La guardò addormentata. Il suo viso era così sereno, così bello che le ricordò l’aurora nascente e si sentì travolgere da un’ondata d’amore talmente violenta che dovette trattenersi dall’abbracciarla con forza. Le baciò i capelli lunghi e di un castano chiaro mormorandole dolci parole.

Incrociarono un altro cartello: questo doveva essere più recente e indicava che The Shepherd’s Field si trovava a due miglia. Qui l’autista fermò il mezzo e scese per sgranchirsi le gambe e farsi una sana pisciata, invitando anche i passeggeri a fare altrettanto, se ne avevano voglia.

Il grano e le piante pullulavano di insetti, zanzare ed api soprattutto, ma anche mosche.

Una di esse entrò nel veicolo e si posò sulla mano di Krista che la guardò con ribrezzo: era un moscone dalle sfumature rossastre e con un disegno sul dorso che le ricordava un teschio. Di primo acchito pensò fosse un esemplare di Sfinge Testa di Morto, ma poi si rese conto che era davvero enorme. Non aveva mai visto mosche del genere, neanche sull’ isola della Réunion e nel Borneo. Scosse la mano per scacciarla e se la pulì con una salvietta igienizzante. L’insetto iniziò ad emettere un ronzio acuto e costante, mentre volteggiava sopra la sua testa prima di posarsi su di un estintore precariamente appoggiato accanto allo spazio destinato ai disabili, poi volò via per i campi disseminati di spighe che stavano maturando.

L’autista, che si chiamava Sal Rourke, si accovacciò in un punto nascosto alla vista da una siepe di agavi e si lasciò andare ad una serie di grugniti che da sempre accompagnavano le sue difficili evacuazioni, rese ancora più dolorose dalle emorroidi che lo affliggevano da quando faceva l’autista di pullman, vale a dire da trenta anni. Sputò, imprecò ed iniziò a spingere per liberarsi.

Per non pensare alle sue disgrazie, si mise a cantare in napoletano: l’aveva imparato grazie alla moglie, una “napoletana verace”. La sua canzone preferita era O’ Sole Mio le cui note accompagnavano sempre le sue sedute sul cesso…o nei campi!

Sal si passò una mano sulla capigliatura folta e riccia e si asciugò il sudore che gli colava sulla faccia grassa e paonazza.

Come se non bastasse, due o tre di quei nuovi mosconi rossi e con quel teschio disegnato sul dorso, iniziarono a dargli il tormento, ronzandogli accanto alle orecchie. Sal li chiamava Mortacci e gli facevano schifo, ma proprio schifo. Erano delle bestiacce orrende, con quelle zampe pelose e quel teschio che si allargava e si restringeva seguendo i movimenti della loro respirazione.

Uno di loro si posò sulle chiappe enormi e viscide di sudore dell’uomo e lo punse sulla natica destra con un il suo grosso rostro appuntito come uno stiletto. Sal balzò in piedi, ululando per il dolore e rivestendosi. Che giornata di merda!

Ora oltre al peso che sentiva gravargli sull’ano, doveva pure sopportare il bruciore alla chiappa destra: per fortuna, mancavano poche miglia a destinazione. Una volta scaricati quei rompipalle che aveva sul bus, si sarebbe fiondato nel cesso del primo motel a dare libero sfogo al suo intestino, cascasse il mondo.

Riguardò mentalmente le persone che aveva a bordo e fece una smorfia: ce ne fosse una decente! No, a ripensarci c’era un bel pezzo di figa sulla quarantina, accompagnata da una sonnambula: forse era la figlia. Si chiese cosa cazzo ci andasse a fare una bella donna del genere in postaccio come quello: per lei andava bene Hollywood, altro che il Nebraska! Era palese che Sal non guardasse mai soap opera e non leggesse giornali di alcun genere. Altrimenti avrebbe saputo che Krista stava fuggendo da lì.

Si grattò il culo e salì sul pullman emettendo dei versacci: all’improvviso non si sentiva tanto bene. Aveva delle fitte dolorose che gli stringevano la testa come se fosse infilata in una morsa d’acciaio ed i raggi del sole gli laceravano gli occhi come schegge di vetro. Fu colto da un attacco di tosse e rigettò una certa quantità di sangue scuro che imbrattò il parabrezza. L’uomo strabuzzò gli occhi nel vedere quel pasticcio e vomitò dell’altro sangue, sul volante.

Nessuno si accorse di nulla e, quando si sentì meglio, pulì il vetro con uno straccio e lo stesso fece con il volante. Ma il lezzo caldo e nauseante del sangue iniziò a permeare l’aria del veicolo.

Come Dio volle, Sal riuscì a ripartire nonostante il malessere che gli torturava le membra. Non fece che pochi metri e si fermò con una brusca sterzata che fece sobbalzare tutti quanti, tranne Jess.

L’uomo avvertiva un appetito che non riusciva a placare con nulla…ma quando vide una macchiolina di sangue, quando ne avvertì l’odore, capì cosa voleva.

Si addentò il braccio, staccandosi un grosso pezzo di carne rossa e sanguinolenta che consumò con grande soddisfazione.

All’improvviso, il mondo perse i suoi colori ed una benda sanguigna gli calò sugli occhi. Per lui tutta quella gente era cibo. Cibo succulento.

Si avventò su una donna seduta vicino a lui e le squarciò la gola grufolando tra muscoli ed ossa.

Tutti si alzarono in piedi urlando ed accalcandosi attorno alle portiere per cercare di uscire, ma Sal, con l’ultimo briciolo di intelligenza umana, bloccò le uscite ed iniziò a muoversi lentamente, trascinando i piedi ed emettendo dei suoni gutturali.

Krista, che si era appisolata, si svegliò di soprassalto non capendo cosa diavolo stesse succedendo. Poi vide tutti i suoi compagni di viaggio accalcati sulle porte e capì che la sventura l’aveva seguita fino al Nebraska.

Anche Jess si svegliò e si drizzò a sedere, fissando quella scena apocalittica con gli occhi sbarrati.

Il bus si muoveva sotto il peso di tutta quella gente impazzita per l’orrore ed il disgusto. In quella, Krista suppose che dovesse essere successo qualcosa al veicolo: una gomma bucata o qualcos’altro. Forse un guasto meccanico.

Si alzò in piedi e domandò a gran voce cosa fosse tutta quella bagarre. La sua domanda ebbe una risposta unanime: il Diavolo era entrato e li avrebbe divorati tutti.

Poi vide, Sal, la bocca spalancata e grondante sangue, che teneva nella mano destra la testa mozzata di una donna. Tutte le certezze, tutti i sogni e le aspettative svanirono dal cervello di Krista come cancellati da una mano crudele ed invisibile. Le sembrò di essere finita in un film di George Romero: l’autista era diventato uno zombie bramoso di carne umana…e si stava dirigendo verso di lei.

Anche Jess vide quel mostro claudicante ed urlò strappando la madre dalla catatonia in cui stava cadendo.

“Mammaaaa”.

Il cervello di Krista registrò appena la voce della figlia, impegnato com’era a raccapezzarsi. Poi fu come se avesse ricevuto una scossa elettrica di 2000 W e si sentì una furia umana. Dovevano fuggire via di lì e l’unico il modo era rompere il vetro e saltare giù, ma come avrebbe fatto a spaccarlo?

Tentò di strappare l’estintore dal suo alloggiamento, ma era saldamente avvitato al pianale. Allora si tolse una delle sue scarpe stiletto 12 e picchiò sul finestrino con tutta la forza della disperazione e piano piano il vetro cedette, fino a cadere all’esterno…

 

CONTINUA

 

DIANA J.STEWHEART

 


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