Editorialenon solo ZombieRacconti brevi

Per la serie NONSOLOZOMBIE un racconto allucinante ed onirico di Joe VANNI: GLI SPIRITI DELLA FOLLIA.


 

Non riuscivo a smuovermi. Un’enormità mi inseguiva da dietro, il cielo era nero, gli alberi si piegavano verso terra. Il vento, contro cui cercavo di lottare, mi impediva ogni movimento. D’un tratto caddi, mi rialzai, poi fui sballottato in una zona aperta, ricoperta da un prato verde, ma riparata da ogni burrasca. Lì potei spostarmi liberamente. Nel mezzo della radura cominciai a sentire dei sibili, degli echi, come se qualcuno chiamasse, come se qualcosa mi indicasse.

Dalle zolle di terra le voci giunsero ora distinte alle mie orecchie. Ebbi paura, non erano comuni, e cominciai a correre a perdifiato. Raggiunsi i miei compagni che procedevano in fila indiana dall’altra parte del prato.

Adesso il vento era cessato, e la paralisi che avevo rotto con la fuga nella spianata sembrava appartenere alla memoria. Ci addentrammo in una foresta di tronchi rossi. Il sole era tramontato e il buio ci colpì. Persi di vista gli altri, li chiamai, poi scivolai. Un torrente mi trascinò all’interno di una grotta. Il lago era placido e caldo, pesci color mandorla mi giravano attorno copiosi. La volta era alta, piena di pipistrelli che giravano all’intorno. Uscii dall’acqua e mi diressi verso due scalini ricavati nel suolo in direzione opposta all’entrata. Un corridoio stretto e basso si apriva tra due pareti. Camminai per circa ottocento passi, di colpo i piedi mi sprofondarono in una galleria molle come melma. Mi chinai, col palmo ne raccolsi un po’: sembrava grasso misto a sangue, e in ogni caso aveva densità ematica. Andando avanti mi accorgevo sempre più di addentrarmi in un organismo iperconnesso tra vari punti distanti o vicini per tutta la sua estensione. Aperture e varchi erano contigui e frequenti in una specie di volta. Mi trovavo in una specie di labirinto, oserei dire vivente, anche se da tempo avrei dovuto capire che tutto in natura vive, compreso un qualsiasi sasso inerte. Pensai di vagare in uno schema costruito con abilità, ma l’immaginazione mi portò ben presto a ritenerlo autoevoluto. Era troppo spontaneo nelle sue ramificazioni per aver potuto subire la mano direttrice di un essere dall’esterno.

Alcune aperture si estendevano al di sopra della mia testa e al di sotto dei miei piedi, che se non avessi fatto attenzione, che se non avessi tastato nel buio, come fa uno che non vede quando è alla ricerca di un qualcosa che non conosce in un luogo che la sua abitudine di movimenti circoscritti non gli palesa, sarei caduto.

In questo paragone, fui indotto per un attimo a pensare: fino ad ora non avevo mai fatto caso a un particolare che rende la vita di ogni uomo diversa da quella di un altro e di tutti gli altri. Questo particolare che è assente in lui vanifica la percezione di determinate cose, che divengono astratte ed esistenti solo nell’immaginazione o nel vuoto di una parola. Cos’è il sole per chi non lo vede, che spiegazione potrebbe darsi? Una luce che proviene da una stella che dà calore e vita? E cos’è una luce? E quel sorriso che ci facevano da piccoli, che diviene smorfia ipocrita crescendo solo per simulare simpatia o calore, come si potrebbe materializzare, come si potrebbe intendere?

La velocità che accompagna l’attimo del presente ci ruba alle gioie e alle disgrazie che appartengono ad un’illusione che se colpisce lontano da noi, non capiamo cosa annienta, se si avvicina di un solo passo allora forse riflettiamo amaramente per tutto il tempo che abbiamo perso. Non avrei trovato una via di uscita dal labirinto, non sarei sbucato fuori da quella tortuosità che mi costringeva a delle considerazioni asfissianti. Non potevo destarmi mentre ero sveglio. Mi slanciai furiosamente in una corsa senza senso e caddi in un buco.

Mi svegliai da quell’incubo, e purtroppo mi ritrovai disteso ancora una volta tra le braccia di lei, nella stessa lurida stanza.

Il suo difetto maggiore era principalmente l’egoismo. Voleva troppo e voleva condizionare l’esistenza di chi la conosceva asservendola alla sua. Solo che ancora non aveva fatto bene i conti con la vita degli altri, sebbene si ritenesse intelligente, scaltra, carina. In fondo era ripetitiva e angosciante, ipocondriaca e vanitosa, permalosa e logorroica, e soprattutto patetica.

Io cercavo di aiutarla, di spiegarle quel che conoscevo del mondo, ma lei se ne infischiava, e cercava di fare la stessa cosa con me. Solo che le conclusioni erano notevolmente diverse. Tra le sue caratteristiche più patetiche c’era il credere nell’esistenza degli angeli, nei demoni, gnomi, presenze nefaste, e altre idiozie del genere. A volte aveva delle visioni, avvertiva delle presenze, si credeva una sensitiva, un’anima aperta ad un mondo spirituale vago e misterioso, e così via. Una notte mi svegliò urlando. L’isterica mi indicava nell’angolo della camera la presenza di uno gnomo. Accesi la luce, guardai, ma non vidi niente. Non c’erano gnomi: non c’era un cazzo. ‘Sta pazza fottuta! La verità è che per capirla ci sarebbero voluti un cane o un prete, o entrambi. Ed io non sarei mai riuscito ad aiutarla, a stare accanto a lei, a gioire con lei. E quella stanza di una città qualsiasi, in un giorno qualsiasi, sembrava ormai avesse il perimetro di un ergastolo. Mi mancava l’aria. Non sapevo come liberarmi per l’ennesima volta di quell’essere gracidante. Non vedevo soluzioni. Era insopportabile. Ma fortunatamente quel giorno s’impiccò.

 

 

Joe Vanni

 


 

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