Editorialerecensioni cinematografiche

Una nuova recensione di Michele Borgogni : TRAIN TO BUSAN.


Quando c’era lui gli zombie arrivavano in orario. Lenti, ma in orario. Sto parlando di George Romero, ovviamente. Cosa credevate?

 

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Potevate dirlo prima, che per ritrovare un film di zombie davvero coinvolgente dovevamo cambiare continente! Io ho per i film di morti viventi lo stesso approccio che ha Zerocalcare: i film di zombie si guardano sempre, punto. A prescindere. Sono talmente appassionato di zombie che ogni settimana mi autoflagello per costringermi a guardare The Walking Dead (a.k.a. la serie più noiosa dell’universo con una puntata spettacolosa ogni 5 letali) e recensirlo con il prezioso contributo di defeale. Insomma, come tutti voi sono un fan. Un fan deluso da come la cara, vecchia America sta trattando le creaturine che George Romero ci ha insegnato ad adorare.

Con poche, lodevoli eccezioni gli zombie ormai non fanno più paura. Quando sono lenti e classici vengono usati più che altro come scusa per imbastire uno spettacolo comico, con risultati a volte ottimi (senza scomodare i classici, il recente Manuale Scout per l’Apocalisse Zombie è davvero divertente nella sua stupidità), a volte ahimè pessimi (ho recentemente visto Zombies in Love, di cui temo un giorno vi dovrò parlare). Quando sono veloci e animaleschi le cose si fanno più complesse, ma il tentativo di portarli al mainstream con World War Z è risultato in una sterilizzazione di massa che ha loro tolto ogni aspetto caratterizzante e li ha resi più simili a un letale ma asettico sciame di insetti.

L’Asia aveva già provato a dire la sua con qualche schifezzuola giapponese ma anche con l’imperfetto ma divertente Go Goa Gone, dall’India. Con Train to Busan è il turno della Corea del Sud. E in qualche modo Train to Busan è come mi immagino la Corea: affollata, incasinata, a volte contraddittoria, affascinante, sempre con il pedale sull’acceleratore. Una nazione che non inventa nulla di nuovo, ma che cerca di sfruttare al massimo quello che c’è già, con tutti i mezzi a disposizione.

 

 

Ed in effetti Train to Busan non inventa nulla, se non forse l’ambientazione in movimento (le mie speranze di vedere uno Zombies on a Plane dopo Snakes on a Plane non sono state mai appagate al cinema, anche se esiste un videogioco con lo stesso nome). Il film mette un sacco di personaggi diversi tra loro in un’ambientazione chiusa con il pericolo al suo interno: non si può scappare più di tanto, non si può uscire. Ci si può nascondere o si può combattere, consapevoli che il nemico è fisicamente superiore. Prende un padre che cerca disperatamente prima di salvare il proprio rapporto con la figlia e poi di salvarla dagli zombie, e ne fa il centro del film. Prende da Romero e non solo la classica nozione che i vivi sono spesso più pericolosi dei morti, e da World War Z la rapidità dei movimenti e del procedere dell’infezione. Non inventa assolutamente nulla di nuovo. Ma se dovessi elogiare solo chi inventa qualcosa di nuovo questo sito sarebbe pieno solo di stroncature.

Sang-ho Yeon si dimostra regista intelligente. Non lo conoscevo, ma pare che prima sia stato fondamentalmente un regista d’animazione, ad esempio di un film che appare intrigante come The King of Pigs. Parallelamente a Train to Busan ha girato anche un film animato che sembrerebbe completare l’opera, Seoul Station. Spero si trovi in giro. Quello che fa è prendersi assolutamente sul serio, senza buttarla in vaccate o battutine per smorzare la tensione. Pedale sull’acceleratore e via, spingendo sempre a mille. Senza prendere in giro lo spettatore e calando il presupposto irreale (speriamo!?) dell’apocalisse zombie in un contesto realistico. Ci sono i cellulari, internet resta in funzione (si vede che in Corea non hanno la Tre e la connessione a pedali), il panico che si propaga è credibile, viene da chiedersi davvero cosa si farebbe in una situazione simile.

E soprattutto, anche le reazioni dei personaggi sembrano verosimili. La giovane squadra di baseball si comporta da giovane squadra di baseball, il padre si comporta come un padre, il ricco stronzo si comporta da ricco stronzo, il marito protegge la moglie, i vecchietti si comportano da vecchietti. E gli zombie si comportano da zombie. Di quelli veloci e incazzati, come abbiamo già detto, ma zombie.

Non c’è censura, non c’è voltare il viso dall’altra parte e non c’è il tentativo di rendere l’invasione degli infetti meno repulsiva. Train to Busan vuole essere repulsivo quando serve, e non teme di giocare la carta del gore. I contagiati sono realizzati davvero bene, le scene di combattimento sono (a volte anche troppo) caotiche, l’ambiente ristretto viene sfruttato al meglio. C’è il budget necessario a elevare il livello del film, gli attori sono tutti sufficientemente convinti, tutto o quasi funziona alla perfezione. Fila come un treno (coreano – l’intercity delle 10.12 per Napoli Centrale, intanto, è soppresso).

Gli unici momenti a stonare un minimo all’interno del film sono le scene più intimiste e strappalacrime, perché i coreani in fondo amano il melodramma e devono in qualche modo inserirlo all’interno di tutti i loro film (i miei studi di antropologia sono ormai dimenticato e ricorro agli stereotipi). In alcuni momenti mi sono ritrovato a fare il tifo per PIU’ ZOMBIE! PIU’ MASSACRI! PIU’ CAOS!, e invece mi sono dovuto sorbire cinque minuti (anche meno) di scene padre-figlia che insomma, bravi tutti eh, però…

Capisco che quello che per me è stato un (piccolo, sostenibilissimo) difetto per alcuni potrebbe essere il pregio principale della pellicola, quindi sorvoliamo. Anche perché Train to Busan è comunque di gran lunga il miglior zombesco dell’anno, quindi gli appassionati si facciano avanti senza timore! Per loro il biglietto è gratis. Choo choo!

 

 

Voto: *** 1/2


 

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