EditorialefolkloreRacconti

Carroll O’kelly si sentiva inquieto, quella sera. Aveva avuto una giornata strana, trascorsa come in sogno. Ogni cosa gli era parsa vista attraverso una leggera foschia, ogni suono attenuato, come se si fosse trovato dentro una bolla. Ma non sapeva spiegarsi quella sottile ansia, quella sensazione di essere sempre osservato che gli gravava addosso.

La famiglia O’kelly si era finalmente imposta sulle rivali delle terre confinanti, il raccolto era stato ottimo e la figlia maggiore – e più piacente – degli O’quinn gli era andata in sposa, a sancire l’unione con gli antichi nemici e garantire un lungo periodo di pace e prosperità. Non avrebbe potuto desiderare di meglio, soprattutto considerando che era ancora giovane, aveva appena guadagnato una bella moglie e progettava di mettere al mondo numerosi altri figli. Ne aveva già sette, tre maschi e quattro femmine, avuti da Grania, il suo primo amore, perita durante l’ultimo parto. Il bambino, Caley, era sopravvissuto, anche se era cresciuto gracile e pallido, ma lei no. Per questo, nonostante sapesse perfettamente che la colpa non era del figlio, Carroll non poteva fare a meno di provare sempre un leggero fastidio quando lo vedeva. 

Il Sole stava ormai calando dietro le dolci colline verdeggianti e poteva udire distintamente lo schiamazzare dei bambini che, contro la loro volontà, venivano condotti a coricarsi. Era sempre così. La sera erano dei veri draghi, ma al mattino farli alzare era impossibile. Sperava che con la nuova madre tornasse un po’ più di disciplina, tra le mura del castello. Lui aveva troppi impegni per poter dare loro un’educazione. Un uomo nella sua posizione aveva sempre troppo poco tempo per adempiere a tutti i suoi doveri e, nella scala delle priorità, la famiglia era decisamente agli ultimi posti. Non perchè lui non amasse i propri figli, ma perchè quello era un compito da donne. A lui toccava la caccia, punire i criminali, prevalere sui rivali confinanti con le sue terre, controllare che tutto andasse per il meglio all’interno dei suoi confini… insomma, compiti da uomo.

Mentre era assorto in questi pensieri, Carroll era poggiato al davanzale di pietra e guardava fuori dalla finestra le prime stelle che, timidamente, cominciavano ad ammicare nel cielo. All’orizzonte c’era ancora una striscia rosso-rosata e solo gli astri più luminosi riuscivano a farsi già scorgere. Per gli altri ci sarebbe voluto più tempo. Fu in quel momento, facendo scorrere lo sguardo lungo le sagome sempre più indistinguibili di alberi e colline, che vide la figura.

Da quella distanza era difficile dirlo, ma dalle movenze si persuase immediatamente trattarsi di una donna. Indossava una lunga veste ed una mantella, probabilmente contro l’umidità della notte, ma la cosa che lo lasciò di sasso fu il leggero lucore che emanava. Come una lucciola, infatti, era circondata da un lieve alone luminoso, tanto che nonostante la distanza e l’ora tarda era possibile riconoscere il colore di ciò che indossava: la veste verde, la mantella grigia. I capelli erano così rossi che era impossibile non notarli e fluttuavano stranamente, come mossi da un vento molto irregolare. Nonostante tutti questi particolari, non gli fu possibile distinguerne i tratti e non ebbe quindi modo di verificare se fosse una persona conosciuta.

Chi si aggira, a quest’ora di notte, nei pressi del mio castello? Forse dovrei mandare un paio di guardie a controllare. Non vorrei ci fosse lo zampino dei Mccarthy, quei maledetti! Sperano forse di attirarmi fuori, allo scoperto e al buio, da solo, con una visione fatata? Ah! Illusi!

Era perso in questi pensieri quando la figura si fermò e, facendolo trasalire, si voltò proprio verso di lui. Sentì chiaramente di essere trafitto dal suo sguardo e, come obbedendo ad un comando, un canto lamentoso si levò dalla donna misteriosa. Il suono era talmente straziante e la voce così ricca di note aliene da quella umana che Carroll capì immediatamente con cosa avesse a che fare.

Una banshee! pensò, anzi, urlò nella propria mente.

Ciò significava che qualcuno della sua famiglia, forse lui stesso, era in pericolo! Le banshee non potevano essere viste se non erano loro per prime a mostrarsi, e quando lo facevano era inevitabilmente per un lutto, amico o nemico che fosse. Nel primo caso piangevano, nel secondo gioivano, ma sempre la morte annunciavano. A chi sarebbe toccato, questa volta?

Preoccupato, si recò rapido verso le stanze dei suoi figli, che benché già costretti a letto ancora schiamazzavano al buio. Al suo ingresso tutti tacquero, ché la presenza del padre nelle loro stanze era una vera rarità, e subito si infilarono sotto le coperte, temendo di aver attirato la sua collera con la loro poca disciplina. Carroll, troppo angosciato per pensare a ciò, controllò che tutti stessero bene e non gli parve di scorgere alcun segno di malessere in loro. Per sicurezza sprangò le finestre ed ordinò a due guardie di controllare le porte per tutta la notte, in modo che nessun estraneo potesse penetrarvi con intenzioni omicide.

Forse, dato che aveva visto la banshee così presto, avrebbe potuto fare qualcosa per evitare il disastro. Poteva essere la sua novella moglie, ad essere in pericolo? Effettivamente, ora che erano sposati, anche lei condivideva il nome della sua famiglia e quindi la creatura fatata avrebbe potuto disperarsi proprio per lei. Che miserabile era stato a non preoccuparsi per lei perché era una O’quinn! Come poteva riunire famiglie in lite da generazioni, se non era lui il primo a preoccuparsi dell’incolumità della sua sposa? Se le fosse accaduto qualcosa, la ferita si sarebbe riaperta più ulcerosa che mai e lo scontro all’ultimo sangue tra O’kelly e O’quinn sarebbe stato inevitabile!

Si recò quindi rapido nelle proprie stanze, dove Maeve sedeva davanti al camino acceso, ricamando con mani abili, lo sguardo perso nelle fiamme.

«Mia diletta,» le disse prendendole una mano tra le sue, «come ti senti?»

Lei lo guardò con gli occhi sgranati, sorpresa.

«Magnificamente, mio caro. Come mai me lo chiedi?»

«La morte si aggira tra queste mura» le rispose lui lasciandola e cominciando a camminare irrequietamente per la stanza.

Lei gli rivolse uno sguardo di sincera preoccupazione e mise da parte ago e filo, rimanendo però seduta davanti al focolare.

«Cosa ti angustia, mio caro? Perché simili fosche parole?»

«Da stamane ho la sensazione che qualcosa non vada. Mi sento come se uno spettro mi avesse sfiorato. E stasera, quando finalmente cominciavo a rilassarmi, l’ho vista fuori dalla finestra?»

«Chi? Chi hai visto?»

«La banshee? È la fuori, che canta con la sua voce ultraterrena. Sai bene cosa significa: morte!»

Maeve abbozzò un pallido sorriso, senza che le rughe di preoccupazione abbandonassero la sua fronte candida.

«Ma, caro… le banshee non esistono. Si tratta solo di una leggen…»

«Osi darmi del bugiardo?» la interruppe lui con furia.

«Ma no, certo, io…»

«Allora del visionario! Tu credi ch’io sia impazzito!»

Maeve, ora sinceramente in ansia, si alzò a gli si accostò, posandogli una mano sul braccio in segno di conforto.

«Carroll, tranquilizzati. Non penso nulla di tutto ciò. Ma pensa a cosa avresti detto tu, se io mi fossi precipitata nella stanza dicendo di aver visto un drago.»

Lui prese un profondo respiro, cercando di calmarsi. Aveva ragione. Nessuna persona sana di mente avrebbe accettato con leggerezza una simile affermazione, lui per primo. Ma ciò che aveva visto era innegabile e non credeva affatto di aver perso il lume della ragione.

«Ti chiedo perdono, mia diletta. Ciononostante, ciò che ho visto rimane reale. Ecco, senti.»

Spalancò le imposte, che davano sul lato opposto rispetto a dove lui aveva avvistato la creatura, e con un gesto le fece cenno di accostarsi. Lei obbedì, rassegnata e nel silenzio della notte, tra il frinire dei grilli ed il fruscìo del vento, udì note come mai ne aveva sentite prima, pregne di una tristezza indescrivibile, di un dolore inenarrabile.

«La sento… oh, se la sento. Chissà cosa dicono, queste parole.»

«Narrano della pover’anima che perirà stanotte. Dobbiamo assolutamente tentare d’impedire che la visione della banshee si realizzi. Se riuscissimo ad evitare il fato, forse questo potrebbe cambiare…»

«Certo, hai perfettamente ragione. Ma come fare?»

«Tutti coloro che portano il nome O’kelly devono rimanere al sicuro. I bambini sono già sotto sorveglianza, quindi rimaniamo solamente io e te. Qua dentro solo noi due dovremmo essere al sicuro. Io mi sento magnificamente. Non credo che la morte mi sia vicina.»

Maeve si passò una mano tremante sulla fronte. Carroll lo notò immediatamente.

«Ti senti bene?»

«Io… forse solo un po’ di angoscia per questa storia…»

Vacillò e Carroll si affrettò a sorreggerla.

«Forse mi basterà sedermi per un momento. Non è niente.»

«Ma certo, ma certo… vieni.»

Lui l’accompagnò fino alla sedia, tenendola saldamente per un fianco.

«Togli quegli arnesi da cucito, gentilmente.»

Lui obbedì, afferrando con l’unica mano libera il tutto.

«Ah!»

«Che succede?»

«Mi sono punto! Maledizione!»

«Avrai preso male l’ago. Come ti senti?»

«È solo una puntura da niente. Ecco, siediti.»

«Grazie, mio caro. Sai, stavo pensando… bisognerebbe invitare la mia famiglia, qualche volta. Mandarci i tuoi figli, perché si ambientino anche con le loro terre. Non credi?»

«Ah, io… non amo molto l’idea che i miei discendenti si allontanino da qui.»

Carroll ondeggiò. Sentiva la testa girargli forsennatamente.

«Peccato. D’altra parte, il nostro matrimonio serve proprio ad unire le due famiglie. O forse disprezzi ancora gli O’quinn.»

«Non è che li disprezzo, ma gli O’kelly sono… sono…»

Cadde in ginocchio e vomitò, scosso dai conati. Un velo rosso gli stava scendendo davanti agli occhi. Quando riuscì finalmente ad alzare la testa, vide che Maeve non si era mossa dal suo posto e la osservava, calma ed immobile.

«Sai, è un peccato che, nonostante le tue buone intenzioni, tu non riesci ad accettare la mia famiglia. Ma non importa. Ci penserò io a riunire per davvero O’kelly e O’quinn. Dovrò naturalmente trovarmi un nuovo marito, magari dalle mie terre. Per i tuoi figli, be’… vedremo. Le femmine non dovrebbero essere un problema. I maschi, invece…»

«Ma… cosa… cosa stai dicendo, donna?»

Carroll era oramai quasi cieco. Le braccia gli cedettero e rovinò nel suo stesso vomito.

«T-tu…»

«La banshee ti ha dato un’occasione che non hai saputo cogliere. Sciocco, povero sciocco. L’ago, mio caro. L’ago era avvelenato.»

Maeve gettò l’arma del delitto tra le fiamme, dove un oggetto così piccolo sarebbe scomparso tra ceneri e braci, impossibile da ritrovare. Quindi, con tutta calma, aspettò che il marito smettesse di rantolare.

Era ora di affrontare una piccola recita.

 

Pietro Giovani

 


 

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