EditorialeFANSRacconti brevi

Lena aveva poco più di sei anni quando un tragico lutto si abbatté sulla sua famiglia.

Sua zia, la sua adorata e bellissima zia, scomparve tragicamente in seguito alle complicanze di un intervento chirurgico al cuore.

Una malformazione cardiaca, un intervento banale, una cosetta semplice da correggere. Così si erano espressi I più illustri cardiochirurghi consultati dalla famiglia.

L’intervento era riuscito perfettamente, ma una forte emorragia post-operatoria complicò irrimediabilmente la situazione.

Fu tentato di tutto. Addirittura nell’ultimo disperato tentativo di bloccare quell’emorragia, i medici ritennero che la cosa più saggia, seppur estrema, fosse quella di metterla nella cella frigorifera, in modo tale che il sangue si congelasse. La trasferirono così d’urgenza in obitorio e la ibernarono insieme a dei cadaveri. Sua zia rimase in quella cella solo per pochi lunghissimi minuti e quando la tirarono fuori per lei non ci fu più nulla da fare.

Almeno questo era quanto raccontava il padre di Lena a chi gli chiedeva cosa fosse successo.

Lena vide sua zia, tornare a casa, in una bara bianca. Indossava uno strano vestito bianco, bianco come il colore del volto e delle mani, le uniche parti del corpo non coperte da quello strano abito. Lena la poté guardare da dietro I vetri del balcone, fino a che sua mamma non se ne accorse e la portò via.

I giorni che seguirono furono a dir poco incomprensibili per una bambina di sei anni.

Era come se, all’improvviso, sulla sua casa fosse scesa, silenziosa e interminabile, l’oscurità della notte.

I giorni passavano nel più assoluto silenzio.

Lena non capiva i pianti improvvisi di suo padre e dei nonni ogni qualvolta chiedeva dove fosse la zia. Non capiva perché la stanza dove un tempo giocava e dormiva tutte le notti con il fratellino e la zia, adesso era chiusa a chiave. Lì dentro i suoi genitori, le avevano proibito di entrare.

Lena era una brava bambina. Voleva molto bene ai suoi genitori, e, pur di non dargli un dispiacere, ubbidiva silenziosamente. Ma il desiderio di ritrovare sua zia era più forte di qualsiasi divieto.

La notte la sentiva pronunciare il suo nome. E allora Lena si alzava e usciva dalla camera, quella dove dormiva con i suoi genitori dal giorno in cui aveva visto per l’ultima volta la zia con quello strano abito bianco.

E così, una notte, dopo che i genitori si addormentarono, Lena salì al piano di sopra e, avendo visto dove la mamma nascondeva la chiave, la prese e, cercando di non fare rumore, aprì la porta di quella stanza vietata.

Accese la luce e…

Lo sapeva! Sapeva che avrebbe trovato sua zia lì dentro e così fu.

La vide seduta ai piedi del letto.

Aveva i capelli sciolti che le coprivano interamente la schiena. Non sapeva nemmeno che fossero così lunghi, d’altronde era la prima volta che li vedeva sciolti.

Si avvicinò e vide che teneva le mani intrecciate come se stesse pregando. Era così concentrata che non si girò nemmeno a guardarla.

Finalmente si accorse di lei e aprì le braccia alla sua nipotina. E Lena le si buttò addosso felice. Si inginocchiò ai suoi piedi e la guardò estasiata.

I suoi occhi però erano distanti e tristi, avevano perso il loro colore, quell’azzurro chiaro e intenso, che colorava il suo sguardo, era sparito. Al posto dei bulbi oculari sembrava avesse due vetri opachi che risaltavano oscenamente sul viso scarnito e pallido.

Poi sua zia le mise le braccia intorno al collo e Lena poggiò la testa sulle sue gambe esili.

In una frazione di secondo avvertì un dolore fortissimo sulla nuca, tra i capelli lunghi e neri che portava sempre legati a coda di cavallo. Era come se le avessero conficcato dei lunghi artigli.

Sua zia la teneva stretta. Una fontana di sangue colò su quello strano abito bianco e Lena si sentì stanca, tanto stanca.

«Ho sonno», sussurrò senza nemmeno alzare la testa.

«Dormi», rispose la zia.

E, prima di chiudere gli occhi, Lena pensò: «da grande farò IL FANTASMA».

 

Antonietta Molinaro


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