Editorialerecensioni cinematografiche

IT DI MUSCHIETTI

 

Finalmente! Ci sono voluti “solo” trentacinque anni di tentativi di trasporre su schermo, piccolo o grande che sia, i cosiddetti libri horror di King, e un regista giovane e semisconosciuto argentino, Andres Muschietti, per arrivare ad avere finalmente un film stupendo e fedele nell’anima a uno di essi. Anzi a uno dei libri più amati e complessi del “Re”. Muschietti “tradisce” il libro solo per il periodo in cui si svolge la storia, in alcune scene, ma accidenti se non ne coglie l’anima perfettamente.

Alla fine della visione di It al cinema avevo, da Fedele Lettrice per ben 40 e più anni del Re, le lacrime agli occhi dalla commozione: avevo appena visto l’anima di It libro su schermo: le sue critiche sociali pesanti che di più non si può; la sua analisi dell’adolescenza e di come alla fine viene rovinata proprio da coloro che dovrebbero facilitarla o per lo meno capirla, i genitori; le piccole e crude meschinità quotidiane dell’umanità che si accumulano come spazzatura sempre di più e creano il male, un male reale, fisico, non metafisico o di origine religiosa, un male che distrugge anche coloro che lo alimentano; la sua critica moderna e senza mezzi termini del bullismo silenzioso che subiscono molti ragazzi; la sua analisi del bullo creato dalla sua stessa famiglia, che lo “educa” a esserlo pensando di renderlo “forte e uomo”.

E potrei continuare per ore. In It di King ci sono così tanti livelli di lettura e di analisi della società che ogni volta che lo rileggi ne trovi qualcuno che ti era sfuggito le altre volte che lo hai fatto.

E Muschietti, senza aver mai parlato con King, con solo 35 milioni di budget (per esempio “Blade Runner 2049” ne ha 180)  mette su schermo questo e molto di più.

Come avrà fatto? Mi sono chiesta più volte. Ha risposto lui stesso nell’ultima intervista che gli hanno fatto. Legge King da quando ha 11 anni (ne ha 44). “Legge” è il verbo per capire il tutto: lo legge come Fedele Lettore. Sa che non è uno scrittore horror. Sa che usa l’horror per dire ciò che pensa del mondo in modo crudo e senza mezzi termini. Sa che individua l’anima della provincia americana (che poi è la provincia di ogni Paese del mondo) come poche persone al mondo, quella provincia che condanna sempre, adesso, per esempio, per avere votato Trump, che odia. Sa che legge l’anima dei ragazzi e delle donne come nessuno al mondo.

Da argentino poi, ha quel distacco del non essere americano, che gli permette di vedere ciò che descrive King con freddezza e sincerità e di trasporlo su schermo.

Tutto in questo film è orrore. Ma non l’orrore da urlo in sala e trash. L’orrore del quotidiano.

Chi fa paura non è il perfetto Pennywise di Skarsgard, finalmente su schermo dopo anni dove veniva identificato con quello di Curry, che non c’entra niente con il Pennywise di King.

In questo film fanno paura coloro che dovrebbero essere i “protettori” dei ragazzi. Quelli che con le loro azioni aprono le porte ad It e lo fanno entrare nella mente dei loro figli, attraverso le paure che loro stessi inculcano loro.

Il padre di Bev, come tanti padri e madri che ogni giorno ci descrivono al telegiornale.

I genitori di Bill, che dietro l’apparenza di genitori attenti e premurosi nascondono un nulla messo in primo piano dalla scomparsa di Georgie, come se Bill sparisse dai loro radar (la scena di Bill in cucina da solo ma con tutto pronto per la cena sui fornelli accesi, è un pugno nello stomaco).

La madre di Eddie, che lo vuole controllare “per il suo bene” rendendolo ipocondriaco e quindi sempre nella necessità delle sue “premurose cure” (la scena della richiesta del bacio prima di uscire di casa da parte della madre davanti ad i suoi amici è anche lei devastante come poche).

Il padre di Stan, Rabbino che vede il figlio solo come un erede al “trono” senza possibilità di scelta, costringendolo a cercare continuamente ordine e logica nel mondo circostante, contro la religione che gli viene continuamente imposta.

I genitori di Ben che lo portano in giro per gli Usa e lo lasciano sempre da solo ad affrontare i cambiamenti che questo comporta, costringendolo a consolarsi mangiando.

Il nonno di Mike, che gli impone una visione del mondo dove lui deve scegliere di essere vittima o carnefice. Senza mezzi termini, quelli che invece lui cerca disperatamente.

Non a caso l’unico che vede Pennywise come clown “puro”, perché questa è la sua paura personale e non indotta, è Richie. Colui che ha chiaramente genitori che lo lasciano libero di esprimere sé stesso come preferisce.

E vogliamo parlare della “brava” gente di Derry?

I vecchietti in macchina che passano davanti a Ben che sta per essere accoltellato e se ne fregano altamente. Sport mondiale che accumuna tutta l’umanità praticamente.

Il farmacista padre di una compagna di scuola di Bev and company, che inganna Eddie tranquillamente sui placebo che la madre gli fa prendere, e si mette a filtrare apertamente con una compagna della figlia come se niente fosse.

Il padre poliziotto integerrimo di Bowers, il bullo, che lo umilia in continuazione con la sua violenza per renderlo “uomo”. E chi di spada ferisce di spada perisce. Proprio lui apre la mente al controllo di It sul figlio e si fa uccidere con quel coltello a cui il figlio tiene tanto “perché sennò il padre lo riempie di botte”.

Derry è It, dice King. E Muschietti ce lo dice con quel palloncino con su scritto “I love Derry” che Pennywise sbatte in faccia all’ennesima vittima.

Ma Pennywise ha un punto debole enorme. Si nutre di paura e meschinità.

Proprio l’amicizia contro tutto e tutti tra i Perdenti, la loro purezza di cuore nonostante tutto, il loro coraggio, in fondo It è niente rispetto a ciò che devono affrontare ogni giorno nella loro quotidianità, come Bill spiega loro benissimo prima di entrare nella tana di It stesso, in Neibolt Street, li rende pericolosi e letali nei suoi confronti.

Loro non hanno paura di lui, loro sanno che il vero mostro è a casa e nelle vie delle Derry del mondo. Quindi lo rintuzzano e lo rimettono a nanna per i prossimi 27/28 anni, senza scorte di cibo stavolta.

E ora arriverà la parte più dura per Muschietti. La seconda parte della storia, quella dove i Perdenti sono adulti. E King non ama gli adulti in generale. Perché perdono “la vista e l’accettazione della meraviglia”. Ma trova la maniera di riattivarla in loro nel libro. Spero molto in Muschietti e nel suo modo di percepire l’anima dei libri di King.

It di Muschietti sta facendo sfracelli al box office mondiale, lasciando gli esperti di cinema a bocca aperta. Niente di più stupido direi. Vedendolo capisci in pieno perché King è lo scrittore più letto al mondo e come quella sua magia sia stata portata su schermo perfettamente. E pochi sanno resistere alla magia di King quando ne entrano in contatto.

E, per favore, basta con questa storia di King Re dell’horror e di It come film dell’horror. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che questa definizione è stata data da persone che vengono toccate da ciò che King pensa e dice del mondo e dell’umanità nel suo insieme troppo in profondità, e si rifugiano in un “tanto non è vero”. E no! signori/e miei, è vero eccome… e io mi chiederei al vostro posto perché vi fa tanta paura vederlo nero su bianco, che sia su carta o che sia su schermo.

Attenti però a essere onesti con voi stessi, It è lì che aspetta di nutrirsi delle vostre bugie e mistificazioni e non ha pietà a usarle contro di voi, come il Re fa da anni.

 

Antonella Cella
jackson1966

 


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