cronache di capocchiaRacconti

Pied-à-terre – seconda parte.
Tratto da Psycho Zombie Horror Show vol. II

di Nicola Capocchia*

 

 

Sobbalzai e vidi gli occhi della rossa iniettarsi di sangue, i capillari delle sclere si infuocarono come frustoli di tungsteno. Le lentiggini divennero papule, irrigidì le braccia lungo il corpo e i pugni si gonfiarono come se fossero sotto l’effetto di un anabolizzante soprannaturale, si girò verso l’omuncolo e lo fulminò:

«Egidio è pregato di allontanarsi immediatamente, altrimenti mi vedrò costretta a chiamare per l’ennesima volta le forze dell’ordine»

«Lei, signorina Ida può solo chiamare le forze del disordine o se preferisce le forze del male, me ne vado… ma non finisce qui, prima o poi lo verranno a sapere».

Si volse di scatto e ed entrò nell’appartamento di fronte al mio. Batté con violenza la porta e si posizionò come un gufo dietro la finestra. Via T. Sclavi 17, dirimpetto al 18.

Pensavo di averle viste tutte con i fratelli Ballettieri, ma questo film mi mancava, il sogno di una casa in affitto in effetti si stava vanificando. Per lo meno venni a sapere il nome della rosa rossa, Ida.

«Mi scusi signor Nicola ma Egidio è un po’ picchiatello, però, le garantisco, non le procurerà nessun problema».

Ida mi diede le chiavi di casa e disse addolcendomi: «Lei mi piace, se la guardi e decida con calma, domani firmiamo il contratto di locazione».

Me la guardavo e riguardavo e una sveltina con Ida la rossa me la sarei fatta:

«Si certo Ida, se permetti ti do del tu, questa notte proverò a dormire qui e domattina ti dirò»

«Si Signor Nicola, nessun problema, le ho dato le chiavi proprio per questo!!!».

Mi ammiccò e mi gonfiai il jeans, erano mesi che non copulavo, il disagio fu certamente percepito dalla rossa che sicura di sé mi voltò le spalle, alzò la mano dopo aver simulato un bacio volante e si incamminò con disinvoltura, probabilmente sculettando, il montgomery ne fu testimone diretto.

Insomma, ‘sta storia non mi piaceva affatto ma mi rendeva pieno di vigore.

Rigirai le chiavi di casa tra le mani, guardai il cielo, osservai Egidio che mi puntava da dietro le pericolanti bandelle delle finestre di fronte, sospirai, mi toccai il mento, strinsi le chiappe per quelle stramaledette emorroidi, attesi un attimo che si sgonfiasse “coso” e mi incamminai verso casa, dai due monatti. Preso da un atroce dubbio guardai con la coda dell’occhio, Egidio era ancora lì, dietro le finestre e scuoteva il capo come a sconsigliarmi la scelta.

Confuso e felice. Avrei dovuto comunicare la decisione di lasciare la casa ai due Fratelli Ballettieri, iniziare il trasloco, cambiare l’intestazione del conto corrente, la residenza sulla carta d’identità, la patente. La mia casa in effetti da qualche anno si poteva raccogliere in una valigia. Erano soltanto scartoffie e stracci ma il pensiero di dover fare la fila in qualche ufficio pubblico mi stava lentamente squagliando come un budino dimenticato su un tavolo di un bar d’estate. Strinsi le chiavi tra le mani e ahi cazzo, una punta mi trafisse il polpastrello del dito medio della mano destra.

Portai il dito alla bocca e cominciai a ciucciare e pensai che era da tanto, troppo tempo che non dimenavo la mia impavida serpe in una selva oscura, ahimè ormai la tricotomia mi spingeva sempre più su una dorata spiaggia deserta, la calvizie imperversava. Sputai per terra, la vecchia che qualche minuto prima mi aveva dato dello sciagurato, mi apostrofò duramente:

«Screanzato!»

Abbassai gli occhi, e le alzai la mano come a scusarmi, percepì la voce della megera che mi interdì da ogni luogo pubblico:

«Giovanotto, lei è davvero un animale! Si vergogni! Non si faccia più vedere da queste parti!».

Avvertì una forza pulsante che dal dito salì dalle arterie al cervello, fino ad allora intasato di vergogna, bloccai l’andatura, mi voltai verso la vecchia e come stordito da una strana energia sconosciuta cominciai a inveirle contro col dito fuckerizzato e grondante di sangue. La vecchietta si smaterializzò in un negozio di frutta e verdura.

Mi destai scuotendo il capo, portai la mano verso gli occhi, il sangue scendeva copioso. Avvolsi il medio nell’altra mano e mi diressi verso una fontana. Il getto dell’acqua mi raggelò, approfittai per dissetarmi. Mentre mi abbassai per sorseggiare sentì una pacca sul mio didietro, era Matt:

«Nicola hai proprio un bel culetto» mi disse tra il serio e il faceto.

«Grandissima testa di cazzo, non permetterti mai più, hai capito, stupido coglione!» urlai tra lo sbigottimento generale.

«Ti ho fatto un complimento Nicola» disse Matt.

Vidi un capannello di persone che dal negozio di frutta e verdura si incamminava minaccioso verso noi due, la vecchiaccia mi indicava come una minaccia e sbraitava contro di me protetta da due energumeni di colore, forza lavoro del proprietario. Iniziarono a camminare verso la nostra direzione, Matt avvertì il rischio, si girò e mi disse: «le tue isteriche reazioni rischiano di aprirci una ferita all’ano, li hai visti quei due? Nicola, inizia a correre!»

Scattammo come due antilopi inseguite da due leoni africani, ci disperdemmo nei vicoli di Bermudolle antica. Tra risa alternate a fiatone, ci fermammo in un bar per sorseggiare un caffè. Ci sedemmo ad un tavolino e cominciai a sbottonarmi con il più glaciale dei fratelli Ballettieri:

«Matt ascolta, sto cambiando casa, vado via da voi, andrò a vivere molto probabilmente in via T. Sclavi, 18» dissi immediatamente e senza filtri.

«E dove sarebbe questa via?» mi rispose Matt senza problemi.

«Segui per via Terzani, gira per via Bowie e a destra ti troverai in via Sclavi»

«Ho capito, ma lì non ci abitava quel pakistano che è completamente impazzito e che si è lanciato da un decimo piano?»

«Devo incontrare Egidio, immediatamente!» pensai ad alta voce.

«Sei un maiale Nicola, l’ho sempre saputo» rise Matt concludendo con:

«Presentamelo e facciamo una cosa a tre».
 


 

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*Nicola Capocchia è giornalista della Gazzetta del Popolo, redattore del magazine ilovezombie.it

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