Racconti brevi

MATTINA DI GIUGNO

Michele Borgogni

 

Da due anni sono in pensione. Da due anni cammino, ogni mattina se il tempo me lo permette, per questo splendido parco, per la nascosta mia città grigia di cemento. Ho riscoperto il piacere della tranquillità, la gioia delle piccole cose sempre negatami da una vita passata in fabbrica, regolata dalla metodica e frustrante ripetizione di azioni della catena di montaggio. E questa splendida domenica mattina sembra nata apposta per permettermi di dimenticare il mondo, i problemi, le tasse da pagare e il figlio da poco disoccupato. Il sole bacia la mia vecchia pelle rugosa. Mi sento bene. Sorrido.

 

Compro il giornale. Quella della lettura del quotidiano è un’altra abitudine che non riuscirò mai a perdere. Mi tiene attivo, informato, mi ha sempre dato fastidio non poter conoscere cosa succede intorno a me. Sono sempre stato un uomo curioso. Oggi è la giornata ideale per godersi la lettura all’aperto: niente vento, e una temperatura gradevole.

 

Mi siedo sulla prima panchina libera. Se avessi un pezzo di pane i piccioni farebbero a gara per prendersi i posti migliori davanti a me. Tutto intorno, i bambini giocano, si rincorrono, e fanno fracasso quanto possono, mentre i genitori e i nonnetti come me li controllano, passeggiando e sorridendo dietro di loro, tenendosi a debita distanza. Sulla panchina alla mia destra una coppia di adolescenti mattinieri si bacia dolcemente. Lui le sussurra qualcosa nelle orecchie, lei ride e finge di vergognarsi di quanto ha sentito. Mi piace questo lato della gioventù: sa godere delle libertà che noi non avevamo. Un po’ la invidio.

 

Io, per distrarmi, ho ancora il mio giornale. Lo tolgo dalla tasca della giacca, e inizio a sfogliarlo. Esamino attentamente le pagine di politica interna, le mie preferite. Leggo un interessante fondo del direttore, per il resto qualche piccolo scandalo, un partito di scarsa importanza a congresso, ministri che contraddicono altri ministri e il presidente del consiglio che media. Sempre le solite notizie. Salto quasi di netto le pagine dedicate all’estero, non voglio rovinare il mio umore leggendo dell’ennesima strage in Medio Oriente, e passo direttamente alla cronaca, e poi allo sport. Infine trovo le pagine culturali, che in qualche modo riescono sempre a risvegliare almeno in parte il mio interesse. Ricorre il decennale della morte di un importante scrittore irlandese. Appunto mentalmente l’idea di passare appena possibile in libreria a prendere qualche suo libro, ma poi la distrazione prende il sopravvento. Oggi è una giornata un po’ così, lasciamola andare!

 

Senza pensare a nulla, osservo gli uccellini che volano, i bimbi che giocano, e per un po’ m’incanto a guardare due cani che si annusano circospetti, poi il mio sguardo si perde sempre più, e non mi rendo neanche conto di fissare da qualche minuto senza motivo alcuno le cime di due alberi lontani, imponenti e immobili nel cielo azzurro.

 

Non mi accorgo neanche che una bimba mi si è seduta accanto, finché non sento la sua voce sognante.

  • Secondo te sono fidanzati? – mi chiede.

 

Mi risveglio dall’incantamento, volto lo sguardo e la osservo per un istante. Ha i capelli lunghi, riccioli e biondi, ed è piccolissima. Avrà quattro anni, o cinque al massimo. Mi guarda e la sua faccia è seria e quasi triste, ma non capisco cosa mi sta chiedendo.

  • Cosa? – faccio un po’ la figura dell’idiota, ma non so che altro dire.

 

Si gira nella direzione dove stavo guardando pochi secondi prima, e finalmente realizzo di cosa mi sta parlando.

  • Gli alberi. Saranno fidanzati? Se sono fidanzati devono essere tanto tristi, sono tanto vicini ma non possono mai abbracciarsi.

 

Resto a bocca aperta e non so cosa rispondere, mentre lei sembra quasi sul punto di piangere. Sorridendo sotto due grandi baffi bianchi si avvicina un uomo che aveva ascoltato le parole della piccina. Suo nonno, immagino. Con tutta naturalezza mi tolgo dall’impaccio di dovermi inventare chissà quale risposta.

  • Sì che possono abbracciarsi. Quando c’è vento, gli alberi si piegano, e i loro rami arrivano a toccarsi, ad accarezzarsi e ad abbracciarsi a vicenda. A loro basta questo e sono felici. L’attesa rende quei pochi istanti ancora più belli.

 

Il volto della bambina si illumina, e le lacrime sono ricacciate indietro. Corre verso il nonno, che la prende per mano e fa per portarla con sé. Poi entrambi si voltano verso di me, mi sorridono e mi salutano con la mano. Ricambio pure con un sorriso, e torno ai miei pensieri.

 

Sembra davvero che gli alberi tendano i rami il più possibile, nella vana ricerca di un abbraccio. Raccolgo il mio giornale, mi alzo in piedi e mi incammino verso casa.

 

Il cielo è sereno, l’aria è calma.

 

Speriamo che venga il vento.
 


 


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