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una piccola riflessione di Anna Liguori


I film horror fanno solo paura? Permettetemi un breve excursus storico che vi dimostri il contrario.

Catturo brevemente la vostra attenzione con un simpatico aneddoto.

Nel 1896 fu proiettato il primo film horror della storia. Non ci sono fonti certe, ma l’origine sembrerebbe del tutto casuale. Durante alcune riprese, la cinepresa si sarebbe inceppata e poi ripartita; nella fase di sviluppo, il regista si accorse che, arrivato al punto in cui stava filmando il passaggio di una carrozza, questa improvvisamente scompariva per fare posto a un carro funebre. Senza volere, creò i primi effetti speciali. Si trattava di un cortometraggio di circa 3 minuti, intitolato Il Maniero del Diavolo del grande regista Georges Méliès. Appena un anno prima, i fratelli Lumière avevano terrorizzato il pubblico con il famoso filmato della locomotiva, ma fu di Méliès il pregio di spaventare gli spettatori con l’immagine di Mefisto sul grande schermo.

Facendo un lungo passo in avanti, dopo i grandi classici interpretati da Boris Karloff e Bela Lugosi prima, e successivamente da Christoper Reeve e Vincent Price, al cinema horror accade qualcosa di strano. A partire dagli anni ‘70, registi italiani, come Lucio Fulci e Dario Argento, cominciano a sperimentare nuove tipologie di stili. La paura e lo spavento (buh!) lasciano via via più il posto ad un nuovo e inesplorato universo di percezioni. Ricordo ancora, il forte senso di inquietudine mista a turbamento che accompagnava il genio di Lucio Fulci in Non si sevizia un paperino o la forte ansia provocata da Profondo Rosso.

Di questo periodo, non possiamo non citare il filone Zombie inaugurato da Romero e, in un certo senso, anche da Sam Raimi. Quest’ultimo, armato di budget molto esigui, ha avuto il merito di inaugurare una delle tante sottocategorie del Cinema Horror, il trash horror grazie a La armata delle tenebre, a tratti demenziale con qualche spruzzo di sangue qua e là.

Ansia, inquietudine, turbamento e poi divertimento, finora, direi che un film horror faccia paura e basta comincia a risultare riduttivo.  

Negli anni ‘90, orfani di Freddy Krueger, ci accontentiamo del nuovo filone Slasher inaugurato da Scream e poi seguito da So cosa hai fatto. Non voglio urtare la sensibilità di nessuno. Li ho trovati di piacevole visione ma non mi hanno creato grosse reazioni. Per fortuna, qualche anno dopo, in nostro aiuto arrivano gli spassosi Scary Movie a farci superare l’impasse.

Nel 2000, sono soprattutto registi spagnoli come Guillermo del Toro, Jaume Balagueró e Alejandro Amenábar che cominciano a concepire l’horror in maniera del tutto innovativa. Senza tralasciare la suspense e il senso di inquietudine (e aggiungo anche spaventi col botto), i due registi hanno saputo inserire anche emozioni positive nella trama. Chi di voi non si è commosso con Il Labirinto del Fauno e Fragile?

Sulla scia di The Others, di Amenábar, e Il Sesto Senso del grande M. Night Shyamalan, la Ghost Story si riaffaccia prepotentemente con James Wan e l’universo di The Conjuring, apprezzatissima sagache romanza in maniera egregia i casi soprannaturali dei coniugi Warren. Sfido chiunque a dire che non vi siete ormai affezionati a Ed e Lorraine (purtroppo deceduta qualche mese fa) neanche un pochino… Dicevamo: ansia, turbamento, inquietudine, divertimento, commozione, passione, gioia, tristezza. Qualche volta la paura non fa sempre 90.


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