Racconti

Don Giulio era ricoverato al Paolo Pini di Milano ormai da 10 anni. Gli infermieri non si erano ancora abituati alla sua presenza, anche perché era come avvertire una vacua figura ogni volta si varcasse la soglia della camera N° 666. Naturalmente il numero della stanza era assolutamente falso; un giorno, un infermiere un po’ bontempone, pensò di spaventare a morte gli altri pazienti con un pennarello e una mediocre inventiva. Gli costò un numero imprecisato di sanzioni amministrative e una sospensione. Ma da allora nessuno cancellò mai l’infelice sopruso dalla porta.

Don Giulio subiva gli eventi esterni ormai totalmente catatonico; dal viso decisamente emaciato, da qualche mese non roteava neanche più i suoi grandi occhi marroni quando Maria, sua devota Perpetua, faceva la sua visita settimanale. Donna fedele fino all’ultimo; non l’avrebbe mai abbandonato; neanche dopo che la sua lucidità era svanita completamente. Nessuno dei parrocchiani sapeva realmente il come, il quando e il perché dell’improvvisa pazzia.

La piccola comunità di San Donato si reggeva su ipotesi sussurrate sulla soglia di casa. Nessuno osava indagare o fare domande. Un’omertà celata da quell’ombra di mistero che stuzzica e spaventa allo stesso tempo. Brividi sulla schiena scorrevano come stalattiti a chiunque si chiedessero ragguagli in merito alla vicenda. L’oscurità e il silenzio giacevano nei volti di tutti al suono di poche parole: “cosa è successo a Don Giulio?”

Prima del fattaccio, Don Giulio era famoso per la profonda dedizione nel suo lavoro. Ogni giorno si prodigava per liberare i suoi cittadini dal peccato e dall’insinuarsi del male in tutte le creature. Perdonava e puniva, puniva e perdonava. Questo perché, secondo la sua teologica convinzione, il genere umano era di natura incline alla bontà ma debole e facilmente influenzabile. Solo una guida, profondamente convinta della limpidezza dell’animo umano, poteva debellare, finalmente, il vizio dal mondo. Una bella pretesa se concepita in larga scala, ma facilmente attuabile in territori più contenuti. Don Giulio avrebbe seminato a poco a poco il buon senso. Un importante traguardo, fu far interiorizzare il concetto per cui è il Diavolo che ci fa agire contro la volontà di Dio.

“Accidenti al Diavolo”, “Porco Diavolo”, “Maledetto Belzebù” ecc… sostituirono presto altre sconvenienti e, poco cristiane, imprecazioni. Un piccolo passo, per Don Giulio, ma soddisfacente. I peccati non diminuirono, ma si poteva dare finalmente la colpa a qualcuno. Se Tonino il panettiere aggiungeva del peso sulla bilancia, poteva cavarsela con 20 Ave Maria e 15 Padre Nostro; colpa del Diavolo che, quando le signore erano distratte, gli sussurrava nell’orecchio di fare il furbo. E pure la ancora piacente Perpetua, che, nonostante l’età, dilettava senza vanto e senza infamia il vecchio proprietario delle Pompe Funebri del paese.

Ladri, adulteri, lussuriosi e così via, si mettevano l’anima in pace dopo aver commesso il peccato; d’altro canto, mica era colpa loro, povere, ingenue creature del Signore.

Quella sera una leggera brezza primaverile aveva spinto lo smog verso altri lidi, Don Giulio si era attardato in Sagrestia su alcuni testi per rinvigorire le sue omelie. Maria si affacciò alla porta chiedendogli se gradisse altri umili servigi. Il prete la liquidò con un gesto della mano, troppo assorto nella lettura.

Dopo qualche minuto, sentì ancora dei passi e il cigolio del portone d’ingresso della chiesa. Pensò che Maria avesse dimenticato, come al solito, la borsa o qualche altro orpello femminile. Si immerse nuovamente nella decifrazione di alcuni versi. La porta alle sue spalle si aprì lentamente, ma non fu il rumore a destarlo ma, bensì, un pungente odore di bruciato, quello che si sente dopo aver accesso un fiammifero; sì, zolfo, esattamente!

Alzò gli occhi e quasi gli venne un infarto. Nella poltrona difronte a lui sedeva un uomo piuttosto distinto, dagli occhi penetranti e dal sorriso magnetico. «Chi… chi… Come è entrato?

Dalle tapparelle filtrava un lieve raggio di sole impolverato, Don Giulio avvertì un silenzio improvviso nei pochi istanti in cui fissò lo straniero.

«Come va, San Giulio?», una voce suadente fece vibrare l’aria circostante, le orecchie del parroco fischiarono per pochi secondi.

Pensò di svenire, ma rimandò di qualche ora. Svenire nel letto è meno traumatico. Riprese il senno per non farsi sopraffare, «si può sapere chi diavolo è e che cosa ci fa qui?», urlò.

Lo strano essere si percosse in una risata fragorosa, «tra pochi minuti capirai perché mi hai appena fatto ridere, ma prima, ti dispiace se fumo?». «Prego… anzi, cosa dico? Esca immediatamente da questa stanza! Questo non è il modo di comportarsi! Anzi, chiamo subito i carabinieri…», don Giulio afferrò la grossa cornetta del telefono anni 80, ma un’improvvisa scarica bollente, lo costrinse a gettare l’apparecchio sul pavimento. 

«Ok, caro Giulio, vedo che ti ho fatto sfrigolare abbastanza, se mi permetti, mi presento, solitamente ho delle entrate più trionfali e pompose, ma ultimamente mio Padre non gradisce gli stereotipi», si avvicinò sussurrando, «lo fanno sembrare antico».

Si sfilò la giacca, «me la tieni? ogni volta che lo faccio mi si rovina». “Fare cosa?”, pensò di domandare, ma non ne ebbe il tempo, poiché lo spettacolo che si presentò davanti ai suoi occhi era a dir poco stupefacente. Quello che prima sembrava un normalissimo (e bellissimo) uomo, gli si parò davanti come una delle più maestose creature.

Aveva già ipotizzato che si trattasse di lui, ma non voleva crederci. Don Giulio, sempre sicuro di sé, pareva quasi una prugna secca al cospetto del re degli Inferi. Niente corna o coda a punta, ma solo maestose lucidi ali corvine e occhi del rosso più acceso che avesse mai visto.

«Non allarmarti, Giulio, non sono qui per te, non ancora», si rivolse al parroco impietrito, e prese a sistemargli il colletto bianco come una madre amorevole.

Don Giulio non riuscì ad emettere alcun suono, l’immagine di Satana era ben lontana da quello che immaginava. Nonostante il suo sguardo fosse minaccioso, la sua bellezza rasentava il sublime, come le opere d’arte che facevano girare la testa a Stendhal.

Lucifero lo invitò a sedere, gli ci volle qualche minuto per riuscire a trovare la sedia, non era capace di staccare gli occhi da tanta bellezza. Finalmente, dopo aver ingurgitato due bicchieri di Whiskey dozzinale, riuscì a recuperare un po’ di lucidità.

«Bene, ora che ho finalmente la tua attenzione, permettimi, innanzitutto, di rassicurarti sul fatto che non abbia nessuna brutta intenzione nei tuoi confronti, nonostante la mia reputazione faccia credere il contrario», queste parole lo fecero rilassare. «Sappi, che non sono molto contento della piega che stai facendo prendere a questa comunità; come te, altri tuoi “colleghi” stanno riempiendo la testa al genere umano di dicerie nei miei confronti.»

Le ultime parole restituirono la piena consapevolezza di Don Giulio per il suo ruolo. Umilmente ma senza perdere il peso della sua persona, disse: «mi permetto di dissentire, sig. Satana…»

«Lucifero va benissimo.» lo interruppe il Diavolo.

«Si, ecco, per l’appunto, Lei è Lucifero, re dell’inferno e di tutti i malvagi, che reputazione vorrebbe avere se non…».

«ALT!» lo zittì, alzando una mano. «E qui ti volevo!»; si sfregò le mani soddisfatto.

«Sì. Sono Lucifero, e sì, sono il Re degli inferi; ma tra l’una e l’altra cosa manca un passaggio fondamentale: hai presente cosa è successo con mio Padre?»

«Certamente, ti sei ribellato e lui ti ha cacciato all’inferno», rispose Don Giulio come se stesse partecipando ad un quiz.

«Esatta solo la prima parte, buon Giulio. Ho sfidato mio Padre perché dava troppo retta a voi umani, brutta storia, mi sono preso un sacco di botte, per non parlare del casino che ne è venuto fuori. Quello che non sai è, che non mi ha spedito all’inferno con un calcio nel sedere, come si pensa».

Don Giulio, ancora combattuto tra realtà e sogno, non capiva, o forse aveva una gran paura delle rivelazioni di Lucifero.

«Vedi, Giulio, nonostante qualche screzio, mio Padre ed io parlammo a lungo della questione “umani”, ero arrabbiato con Lui perché perdeva tempo con esseri davvero mediocri, ma capisco si fosse affezionato. Li creava e loro si distruggevano, stava diventando una farsa, ed io ero piuttosto annoiato. Dopo il nostro litigio, venne da me e, amorevolmente e senza il suo solito piglio autoritario, mi chiese cosa potesse migliorare la situazione. Insomma, era chiaro che l’umanità non fosse, poi, questa gran brutta invenzione ma, la varietà degli individui e la pessima idea di donare loro troppa autonomia, rendeva tutto più complicato. Dibattemmo a lungo sul da farsi, io non volevo mollare la presa, Lui desiderava solo lasciarvi liberi. Fu così che arrivammo ad un compromesso.» Fece una pausa, sorseggiò delicatamente un sorso di pessimo Whiskey senza celare la smorfia di disgusto. «Ma è orribile, Giulio! Come fai a berlo?… so che hai un buon Brunello di Montalcino del 2009 al posto del vino della messa, andresti a prenderlo?». Don Giulio arrossì, ma non riuscì ad opporsi. Dopo qualche minuto, tornò con il vino e due bicchieri.

«Questo sì, che è una bomba, sta tranquillo, non saranno i tuoi gusti raffinati a farti perdere la credibilità».

Probabilmente più rilassato dal vino che dalle parole di Lucifero, il parroco sprofondò nella poltrona, inerme.

«Riprendendo il discorso, caro Giulio, mio Padre ed io arrivammo a quello che si dice un accomodamento: il buon vecchio libero arbitrio suonava troppo bene. Papà non volle rinunciarci. Gli proposi di non farla passare liscia a chi ne faceva un pessimo uso. Conoscendo il mio gusto per tutto ciò che è oscuro, mi propose di punire i cattivi. Punire i cattivi! Ti rendi conto? Un lavoro fantastico, non stavo più nelle ali.»

Don Giulio, si riprese dal torpore momentaneo dato dal vino. Aveva gli occhi lucidi, le mani gli tremavano.

«Intuisci quello che voglio dirti?».

Balbettò un sì appena sussurrato.

«Non sono io che sussurro alle vostre orecchie di fare del male, non mi prodigo affinché vi ammazziate tra di voi e, di certo, non godo nel vedervi distruggere l’intera creazione di quel povero vecchio di mio Padre. Voi, solo voi, siete la causa delle vostre sofferenze, voi vi riempite la bocca di giustificazioni, maledite il cielo e le stelle per le vostre sciagure, quando dovreste solo prendervela con le vostre scelte, con il vostro egoismo e la vostra natura debole e ignorante. Se ti comporti male, se fai delle cose orribili a te stesso e agli altri, è perché lo decidi tu. Io non insinuo nulla nella vostra testa, mi limito a scegliere la vostra punizione, tutto qua. Funziona così, Giulio, ed è un disegno dannatamente equilibrato.»

Lucifero bevve un ultimo sorso di vino, si alzò sistemando la giacca. Prima di andare, gli rivolse un ultimo cenno. «Il tuo errore, Giulio, è stato di scegliere la via più facile.»

Avrebbe gradito una pacca sulla spalla in quel momento, ma un gesto del genere sarebbe stato troppo vicino al perdono.

Da quel momento, non ebbe più nessun’altra possibilità di scegliere la giusta direzione. Poco prima dell’alba fu colpito da un Ictus. Delirante e dagli arti contorti continuava a ripetere: «Siamo dannati, siamo dannati, viva Satana, viva Dio…».

Anna Liguori

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