Racconti

All’inizio, ufficialmente, fu per un problema di spazio.

In un mondo sovraffollato, dove ogni metro quadro era prezioso, i morti… di area, anche se non più di aria, ne occupavano parecchio.

Cominciarono così le campagne pubblicitarie per la cremazione, e, quando questa prese piede, iniziarono a dire che forse si sarebbe potuto individuare una scelta più ecologica.

In un mondo sovraffollato ed inquinato non fu difficile convincere la gente che se non serviva una tomba forse anche un’urna era superflua.

Fu così che diedero l’avvio alla realizzazione di “cimiteri agricoli” di compostaggio. La famiglia riceveva una mappa virtuale su cui rintracciare il proprio caro che diventava un albero, pianta, o tenera erbetta… Beh, più o meno. In un universo stracolmo, impestato, avvelenato e ridotto alla fame non era davvero il caso di fornire particolari troppo dettagliati.

Fin qui le cose erano state, tutto sommato, facili. In nome della “necessità” le persone potevano essere convinte a scegliere secondo determinate direttive. Ma rimaneva il problema del ricordo. Le reminiscenze non occupano spazio, non inquinano, distraggono dalla fame ma richiedono tempo, che non è di certo una risorsa infinita.

Quindi arrivarono uomini (o donne) come me, i “custodi virtuali”. La famiglia pagava un abbonamento e noi ci saremmo occupati della memoria dei defunti, ricostruita dalle tracce che per tutta la vita avevano lasciato sui server della cosiddetta Unione Sociale: fotografie, curricula, pagamenti, cartelle cliniche. Programmavamo messaggi standard da pubblicare in ogni ricorrenza appuntata nelle Agende di Suffragio, secondo la volontà ed il tipo di contratto sottoscritto dalla discendenza.

Non era un lavoro particolarmente complicato: registravi il pagamento al servizio, impostavi lo scadenziario, e prestabilivi il testo sui social, attraverso i quali sarebbero dovuti comparire gli annunci commemorativi.

Eravamo anche ben pagati, e tutto sembrava molto etico: persone che si assumono il compito di ricordare chi non c’è più. Tempo libero ne avevamo tanto, e siccome non mi andava di annoiarmi, cominciai davvero a leggere le vite di questi defunti: è stato così che ho accumulato un’immensità di soldi. Quelli veri, grana a palate.

Inizialmente mi incuriosirono le interconnessioni personali: Tizio conosce Caio, che conosce Sempronio, che conosce un tale che ha descritto un’idea, un pensiero che avrebbe fatto molto comodo a Tizio. Se avessero saputo (in vita) di avere punti in comune, avrebbero potuto approfittarne e chiudere buoni affari.

Pensai che, se non ne avevano beneficiato loro, nulla vietava che potessi giovarne io. 

Provai a presentare alla ditta di Tizio l’idea del tale, e ottenni un compenso per la consulenza. Per un po’ continuai cosi, guadagnando sempre più.

Ad un certo punto, però, non furono più i soldi a spingermi… ma una sorta di appagamento personale, un senso di orgoglio: ridavo vita alle idee, ai sogni, concretizzavo progetti. Ed era incredibile constatare che mentre la mia soddisfazione aumentava, diventava più facile e istintivo tracciare connessioni, individuare buone idee da realizzare. E, soprattutto, ben presto non dovetti neanche più spremere le meningi: realizzazioni, tematiche, progetti, suggerimenti emergevano da soli, bypassando i criteri di ricerca, sorpassando ogni algoritmo della rete. Finii per ignorare le Agende del Suffragio, i messaggi preimpostati, saltare scadenze, fino ad essere licenziato.

Ma avevo il mio gruzzolo. Comprai un paio di licenze-server ad un prezzo conveniente, collocai i codici in “zona di oblio della rete” al di fuori dei controlli governativi (inutile che vi spieghi come appresi dell’esistenza di queste aree libere) e comparve quasi improvvisamente una stringa di codice che mi consentì di continuare ad esplorare gli archivi dell’Unione Sociale in totale anonimato.

Non mi feci domande, finché non realizzai che i miei server non consumavano energia, pur se erano costantemente a picco massimo di attività. Sembravano alimentati da una forza che non scorreva di certo lungo i cavi, una specie di elettricità neuronale. Questo mi poneva definitivamente al di fuori del controllo del governo, ero indipendente dai loro ricatti, almeno per quello che concerneva la fornitura di energia.

La cosa bizzarra era che le idee che brevettavo, e le informazioni che possedevo, non erano affatto inedite: erano lì da tempo, nei meandri dell’Unione Sociale, ma nessuno se ne era mai curato. Presi, offuscati, distratti dall’urgenza di cancellare il ricordo, perché fonte di sentimenti, le istituzioni ne avevano sottovalutato il potere.

Si erano concentrate sulla distruzione delle connessioni tra i vivi per renderli più soli e sradicati, dimenticando le vecchie teorie sulla connessione della nostra realtà con il mondo sottile e nascosto, scordando che esiste un’energia più profonda, che cerca di comunicare con tutti.

Ebbene io l’ho trovata. E circondato, stimolato, reso vivo da questo impeto, una potenza vigorosa, vi scrivo dalla mia isola privata, comprata attraverso una serie non ricostruibile di transazioni. Da qui, con pochi, selezionati collaboratori, che hanno intrapreso autonomamente lo stesso mio percorso, governo il mondo e l’economia, per mezzo della più efficace, temuta ed inaccessibile delle società: la Anima Spa.

Arianna Brambilla

1 commento

Lascia un commento