non solo Zombie

di Igor Zanchelli


10888834_10204295068590897_2865833196502621788_nMichele aveva appena finito il suo turno pomeridiano, dalle 14.00 alle 22.00. A quell’ora era già buio. Il cielo era nuvoloso, ma ogni tanto dalle fenditure che le nuvole offrivano, si intravedeva una splendida luna piena. La luce illuminava il parcheggio della azienda, una grande distesa d’asfalto delimitata dalla grandi mura di cinta. Sulla parte del piazzale che costeggiava la recinzione erano segnati gli stalli di parcheggio delle autovetture identificate da un numero. Ovviamente quei parcheggi erano riservati ai manager ed ai quadri aziendali della ditta, loro gli operai, il gradino più basso della scala gerarchica, dovevano arrangiarsi a parcheggiare i loro mezzi fuori, dove trovavano posto. L’asfalto di notte era ancora più nero e il colore dell’edificio della ditta, grigio, non migliorava certo la situazione.

Inforcò la sua bicicletta, una vecchia e mal ridotta Graziella a cui era molto legato; era la bici di sua madre. Questa scusa la adduceva a chi lo esortasse a comprarne una nuova. In realtà, con il mutuo da pagare, due figli a scuola, la moglie in cassa integrazione, far quadrare i conti era veramente una impresa con i suoi 1600 € mensili.

Si incamminò verso casa; aveva voglia di vedere la sua sposa, che nonostante i venticinque anni di matrimonio, considerava ancora la donna più bella del mondo. La strada era poco illuminata, ma la luce della bicicletta, permetteva di poter percorrerla con relativa sicurezza. Quella strada, fatta mille volte, lo avrebbe portato dalla zona industriale al suo quartiere, un agglomerato di case semplici e poco curate.

Era il classico quartiere dormitorio, eretto negli anni del boom economico, mancante di molti servizi e con collegamenti precari. Quartieri, questi, abitati da persone che si riversavano in città, alla ricerca di una vita migliore, quando le campagne del meridione si svuotavano e i meridionali si spostavano al Nord, terra dell’oro e delle opportunità. Una nuova America tutta made in Italy.

Per accorciare i tempi, Michele decise di imboccare una scorciatoia, una stradina che lasciando la strada principale, si tuffava in un bosco. Quella via gli avrebbe fatto accorciare il tragitto di almeno quattro km, risparmiando mezz’ora.

Michele conosceva bene quella strada, poiché era solito imboccarla di giorno quando era in ritardo.

Di sera non l’aveva mai voluta prendere, perché spesso, in quel bosco, si appartavano ragazzi sbandati, intenti ad iniettarsi nel vene quel veleno che, almeno per un po’, avrebbe assopito le loro frustrazioni e i loro malesseri esistenziali, facendoli intraprendere un viaggio che aveva solo e sempre una unica destinazione.

La voglia di Michele di arrivare presto a casa, era dovuta dal fatto di voler comunicare alla moglie ed ai figli, la sua tanto attesa promozione. Questa fretta e ansia di essere latore di buone notizie, fece in modo che la sua solita prudenza fosse inascoltata.

Assaporare e perdersi nel luminoso sorriso della moglie, essere abbracciato dalla felicità dei figli, era un premio. Poteva correre qualche rischio. Finalmente avrebbe detto loro che lui, contadino semi-analfabeta del sud, dopo trent’anni di duro lavoro, sarebbe diventato responsabile in turno, della linea di stampaggio. Alla fine pensò che il lavoro duro e la tenacia, portano risultati.

Imboccò la stradina sterrata che si addentrava nel bosco; l’unica cosa che vedeva, era il cono di luce proiettato davanti a se, il faretto della sua adorata bicicletta.

Nonostante ogni tanto le nuvole si aprissero e la luna piena potesse rischiarare il cielo notturno, il bosco era tetro e scuro. Le piante ai lati della viuzza, sembravano dei muri impenetrabili, intrecciandosi in alcuni punti a formare un oscuro tunnel.

Nella sua testa stava cercando le parole per dare la notizia, immaginando le parole, i toni e i gesti che avrebbe fatto e detto i propri famigliari. Improvvisamente udì, alle sue spalle, dei rumori, questi davano l’impressione che un cane lo stesse seguendo, tenendosi a distanza; sentiva il tocco delle unghie sul pietrisco e l’ansimare tipico di un animale che corre.

Urlò un paio di volte nella speranza di allontanare l’animale; il cuore accelerò il battito, l’adrenalina venne rilasciata nel corpo, allertando tutti i sensi e preparandolo ad un eventuale pericolo.

Emesso il terzo urlo, i rumori cessarono; era sicuro che il cane si fosse stancato di corrergli dietro, oppure, la sua attenzione fosse stata spostata altrove. Si fermò un attimo per accertarsi di essere nuovamente solo. Il cono di luce proiettato davanti a se si spense.

Michele pensò di essere un pirla, perché non aveva pensato che il fanale della bicicletta, era alimentato dalla dinamo collegata alla ruota anteriore; emetteva luce quando la ruota girava. Rise tra se scuotendo la testa a destra e sinistra.

Risalì sulla bicicletta e si apprestò a riprendere la marcia. Innanzi a se vide due punti luminosi a

circa due metri di distanza, “Ma cos …”.

Non terminò la frase; qualcosa lo colpì al petto disarcionandolo dalla bicicletta, facendogli sbattere violentemente la schiena per terra, privandolo del respiro.

Non riusciva ad alzarsi; qualcosa di pesante gli era addosso e lo teneva incollato al suolo. I due punti luminosi erano a circa trenta centimetri dal suo viso, e un alito caldo gli accarezzava le guance. Le mani di Michele toccavano dei peli, lunghi, vellutati, folti e nell’aria c’era un odore di selvaggio, di animale selvaggio. Il ringhio che udiva faceva raggelare il sangue nelle vene, e quel peso che avvertiva lo stava soffocando. I due puntini luminosi si avvicinavano sempre di più.

Sentiva il rumore tipico di chi annusa l’aria, due profonde inspirazioni e poi un attimo di pausa, ancora due inspirazioni solo che questa volta qualcosa di umido tra la prima e la seconda sniffata gli aveva toccato la guancia, qualcosa di morbido ed umido. Poi ancora un ringhio!

In quel momento la luna ricomparve tra le nubi, illuminando quel pezzetto di bosco; Michele vide soltanto una enorme bocca, con quattro grandi canini, chiudersi sulla sua gola.

L’urlo che l’operaio emise, era un gemito soffocato e gorgogliante, tipico di chi ha la trachea squarciata.

Michele era morto prima ancora di capire cosa stesse succedendo.

Igor Zanchelli


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