Scienza e Survival

di Igor Zanchelli


Una delle strategie di difesa e sopravvivenza in caso di outbreak zombie consiste nel rintanarsi in qualche borgo o fortezza medioevale. Il riparo fornito da possenti mura garantirebbe una certa tranquillità per affrontare il domani.

Sostanzialmente l’intera questione può essere divisa in tre grandi aspetti.

Materiale: acqua e cibo, armi, vestiti, produzione, stoccaggio, ecc;

Psicologico e sociale: stress, aggressività, leadership, claustrofobia traumatica;

Comunitario: ruoli, compiti, obiettivi comuni.

Data la vastità delle tre tematiche esse verranno analizzate singolarmente. Nel precedente articolo si è posta l’attenzione sulla parte materiale, in particolare la problematica del cibo ovvero la sua produzione e conservazione.

In questo articolo, invece, analizzeremo l’aspetto psicologico e sociale della vita in comunità.

Aspetto Psicologico e Sociale.

Siamo riusciti a trovare una bella fortezza o un borgo medievale perfettamente conservati e dotati di abbastanza terra per instaurare una perfetta economia di auto sussistenza. Ci produciamo il cibo e lo conserviamo perfettamente in modo che nessun membro della piccola comunità possa patire la fame, ma riesca ad avere le calorie giornaliere necessarie per poter vivere.

Nell’immediatezza dell’epidemia ci troveremmo costretti a convivere con una condizione psicologica di grande stress; ognuno di noi quotidianamente subisce l’azione dello stress e le sue ricadute sul nostro equilibrio psicofisico, per cui non mi dilungherei tanto su questo aspetto. Viceversa vorrei soffermarmi maggiormente sull’aggressività.

Occorre quindi capire cos’è l’istinto aggressivo nell’animale uomo.

In etologia l’interpretazione della aggressività che si fonda sulla teoria degli istinti considera il comportamento aggressivo come programmato filogeneticamente e quindi non acquisito. Lorenz considerato uno dei fondatori dell’etologia sostiene che l’aggressività letta in chiave etologica, è un istinto che esige una scarica periodica; l’istinto aggressivo o combattivo per esempio ha la specifica funzione di garantire la sopravvivenza dell’individuo e della specie.

Inoltre la funzione dell’aggressività, negli animali, è quella di assicurare ad ogni individuo della stessa specie, anche al più debole, uno spazio vitale.

Lorenz e in generale gli etologi sono soliti distinguere l’aggressività rivolta verso individui di specie diversa (rivolta per esempio verso la preda) da quella che si estrinseca verso individui della propria specie: aggressività intra-specifica. Infatti nella fisiologia del comportamento le motivazioni dell’animale che caccia sono enormemente e del tutto dissimili rispetto all’animale che combatte”.
(Per approfondire: www.lovatti.eu/ag/cap3.htm)

Pacificamente possiamo asserire che l’aggressività rivolta verso gli zombie non sia di tipo intra-specifica, poiché razionalizzato che i morti-viventi non appartengono più alla nostra specie, verso di loro verrà rivolta una azione aggressiva di annientamento motivata essenzialmente dalla sopravvivenza.

Quindi l’animale uomo ha in sé geneticamente programmato il comportamento aggressivo e che questo debba essere periodicamente scaricato. Nella moderna società questo manifestarsi dell’istinto combattivo viene ritualizzato e codificato, per fortuna, in azioni che non portano, spesso, allo scontro fisico tra individui, ma si estrinseca attraverso una serie di azioni di prevaricazione sociale nei confronti dell’altro. Basti pensare alle “lotte” tra colleghi in ambito professionale per salire di grado o alle escamotage create ad arte per arricchirsi, alle competizioni anche banali che quotidianamente ognuno di noi vive ed applica nella propria realtà, o quella sfogata durante le manifestazioni sportive da parte dei tifosi. Se già spostiamo lo sguardo verso popolazioni meno “socialmente evolute”, ad esempio tribù africane o sud americane tanto per citarne alcune, notiamo che questo istinto combattivo viene esplicato periodicamente con scontri fisici o vere e proprie guerre che spesso portano a conseguenze nefaste.

Altro aspetto che occorre tenere a mente è quello espresso da R.Ardrey antropologo che si è occupato del nesso tra aggressività e origine dell’uomo.

Egli si rifà principalmente al pensiero di Raymond Dart, un professore di anatomia, che nel 1924 scoprì i resti di un ominide, che poi chiamò Australopithecus africanus. Il professor Dart, studiando i resti di una quarantina di babbuini rinvenuti in Tanzania, dedusse che l’australopiteco (due milioni di anni fa) usava già le armi e precisamente il femore di un’antilope. Sarebbe stato, dunque, l’uso delle armi e l’attività predatoria dell’australopiteco a favorire il suo sviluppo bio-psichico nel corso del tempo fino ad arrivare all’homo sapiens.

Riportando le parole di Dart, Ardrey scrive:<Molto tempo fa, forse molti milioni di anni or sono, una progenie di scimmie era scaturita dal tronco dei primati non aggressivi. Per ragioni di necessità ambientale, esse adottavano consuetudini predatorie. Per ragioni di necessità predatoria esse progredirono. Così imparammo in primo luogo a stare in posizione eretta, per le necessità di una vita predatoria. Imparammo a correre in cerca di selvaggina attraverso la gialla savana africana. Le nostre mani erano ormai libere di colpire e lanciare, non avevamo più bisogno di un muso prominente, e così esso scomparve. E, mancando di denti ed artigli atti alla lotta, ricorremmo per necessità all’uso delle armi. Un sasso, un bastone, un osso pesante, per la scimmia assassina nostra antenata significarono il margine della sopravvivenza. Ma l’uso delle armi significava nuove e sempre più numerose esigenze di coordinazione dei muscoli, del tatto e della vista, per il sistema nervoso. E così nacque finalmente il cervello grande, così finalmente nacque l’uomo>.

Da queste poche righe risulta chiara la tesi secondo la quale non è l’uomo ad aver creato l’arma, ma viceversa, è l’arma che ha creato l’uomo.

Ardrey ne deduce allora che per l’uomo è essenziale l’uso delle armi, cioè l’uccidere, in quanto proprio questa necessità è stata il motore della sua evoluzione”.(op.cit.)

Inoltre l’aggressività, e di conseguenza l’istinto di uccidere, è strettamente correlato in una relazione bidirezionale e proporzionale alla frustrazione.

Assodato questi concetti caliamoci nei panni dei sopravvissuti. Stress a mille, frustrazione alle stelle le cui cause sono chiaramente note.

Cosa credete che succeda una volta che abbiamo soddisfatto il bisogno primario della sicurezza e del cibo?

I sopravvissuti che non sfogheranno la loro aggressività nei confronti dei non-morti vedranno crescere in loro la frustrazione per una situazione che non è loro naturale. L’uomo non è in grado di gestire psicologicamente il ritrovarsi chiuso tra quattro mura per tempi lunghissimi (claustrofobia traumatica). La frustrazione aumenterà associata allo stress e questo inevitabilmente farà scoppiare all’interno della comunità delle lotte e veri e propri attacchi di violenza.

In tal senso la serie The Walking Dead rende bene il concetto, quante volte ci sono state discussioni e atti di violenza all’interno della loro comunità di sopravvissuti, quando non hanno potuto scaricare questo istinto combattivo verso gli zombie o altre bande di sopravvissuti (i cannibali, il governatore ecc.)?

Da qui nasce l’esigenza di avere una leadership forte che tenga a freno queste pulsioni indirizzandole in qualcosa che sia utile alla piccola comunità.

Se quanto detto fino ad ora è uno svantaggio o un vantaggio lascio a voi deciderlo, in fondo la sopravvivenza non è una scienza esatta.

Il consiglio è quello di formare la comunità con gruppi di familiari e/o amici all’interno dei quali le “posizioni di forza” sono ben definite e strutturate così che fin da subito sia chiaro chi rappresenta il gruppo di comando. Questo gruppo deve altre sì necessariamente veicolare l’istinto combattivo di ogni singolo appartenente alla comunità in azioni che portino solo guadagno alla comunità e devono in qualche modo evitare che la frustrazione cresca in ogni uomo e donna fino ad arrivare ad un punto di non ritorno.

Mi rendo perfettamente conto che ciò è aberrante, ma d’altronde quale pace e progresso sociale si può avere in una realtà dove l’unica legge che esiste e che ha valore è quella naturale, ovvero la legge del più forte?

Igor Zanchelli


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