recensioni cinematografiche

di Michele Borgogni


 

 

Vi succede mai di guardare un film, arrivare alla fine e non sapere se quello che avete appena visto vi è piaciuto o no? Ecco, a me questo è appena successo con l’esordio al lungometraggio di Francesco Picone sotto l’egida del re della serie Z, Uwe Boll. Anger of the Dead mi è piaciuto o no? Cazzo… sono combattuto!

 

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Perché non mi è piaciuto? A pelle, il film non mi è piaciuto affatto. E sapete perché? Perché il corto omonimo di Francesco Picone da cui questo corto è stato tratto mi è piaciuto TANTISSIMO, e purtroppo questo non regge il confronto. Avevo grosse speranze (almeno fino a quando non si è saputo del coinvolgimento di Uwe Boll) sul film di Anger of the Dead, ma nel lungometraggio sono ahimé andati perduti il ritmo, la violenza, il senso di urgenza…

Perché mi è piaciuto? Perché cavolo, Picone è proprio bravo, è consapevole dei propri limiti ed ha trovato quasi sempre le soluzioni migliori per aggirarli. Il film è girato bene, sia nelle scene d’azione che nei momenti di dialogo, il budget bassissimo si nota ma non infastidisce, perché il tutto è reso in maniera intelligente. Sapete cosa trovo fastidiosissimo nei film della Asylum? La computer graphic finta… Inutile scrivere una grande storia con momenti epici se poi non si hanno i mezzi per metterla in scena. Anger of the Dead non mostra metropoli con devastazioni appiccicate alla bell’e meglio in postproduzione, ma ricostruisce il mondo post-apocalisse con riprese di strade deserte, case in rovina, campagne desolate. Anche lo stesso trucco degli zombie è reso in maniera originale ma efficace, e l’uso degli effetti speciali è fortunatamente limitato.

 

Perché non mi è piaciuto? Ho avuto una sensazione guardando questo film, ovvero che Picone avesse detto praticamente tutto quello che voleva con il corto, e che il film sia nato più che altro perché non si poteva perdere un’occasione del genere. La storia è… la storia di tutti i film zombie, con in più una serie evidente di riferimenti a The Walking Dead. Una donna incinta che cerca di salvarsi dopo la morte dei familiari, la ricerca delle risorse, la possibilità di una cura che chissà potrebbe cambiare le cose, gli umani che si rivelano come sempre più pericolosi degli zombie…

Perché mi è piaciuto? C’è attenzione ai personaggi. Se la storia è quella di sempre il regista ce la mette tutta per crederci, darle importanza, motivare ciò che accade sullo schermo. E gli attori (quasi tutti semisconosciuti… la più nota per me è Desiree Giorgetti, già la cosa migliore sullo schermo in Morituris) quantomeno provano a dare un senso alla storia. Non vinceranno mai un Oscar, ma il loro impegno li pone dieci gradini al di sopra dell’80% dei filmacci che recensiamo di solito in questa rubrica!

Perché non mi è piaciuto? Il finale. Anche perché, senza fare spoiler… un finale non c’è. E se un cliffhanger in una serie tv può essere ben accetto in un film che non sappiamo neppure se avrà mai un seguito… NO!

Perché mi è piaciuto? La sottotrama della Giorgetti è spiazzante all’inizio, ma quando capiamo il suo integrarsi nella trama è una bella sorpresa, e la cosa probabilmente più originale del film. E sicuramente quella meglio diretta ed interpretata.

Perché non mi è piaciuto? Qualche scena di tortura gratuita, che più che per motivi di trama sembra essere stata lì un po’ per allungare il brodo e un po’ per solleticare gli appetiti degli spettatori più perversi…

Perché mi è piaciuto? Gli zombie (in versione Usain Bolt) sono feroci quanto basta, la loro presenza non è mai banale e quando appaiono in scena hanno sempre un loro perché…

Perché non mi è piaciuto? La povertà della produzione si vede soprattutto in quelle che avrebbero dovuto essere le scene di massa, con la maggior presenza di zombie minacciosi.. e che ovviamente finiscono sempre per apparire un po’ vuote.

…che faccio, continuo? Insomma, mi è piaciuto o non mi è piaciuto? NON LO SO, cosa vi devo dire?  Il fatto che in una rubrica che solitamente recensisce il peggio del peggio io mi ponga questo dubbio, comunque, è di buon auspicio. O no?

 

 

Michele Borgogni


 

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