Editorialeracconto

Telemaco spingeva la carrozzina lentamente per le vie principali del paese. Accanto aveva sua madre e dietro di loro li seguiva Circe. Lo sguardo era fiero e, nonostante spingesse quella specie di culla, il suo portamento era regale.

Ogni tanto i suoi occhi cercavano quelli della madre e subito dopo li abbassava davanti a sé a cercare il padre. Il dolore aveva consumato molto Penelope, rendendola ormai molto più vecchia di quanto in realtà fosse.

Aveva la sensazione che qualcosa di importante sarebbe successo di lì a poco. La madre aveva insistito parecchio affinché fosse proprio lui a spingere la carrozzina con suo padre e di farlo per le vie principali nel momento di maggiore affluenza.

Circe, invece, attenta a stare sempre un passo dietro a Penelope, aveva lo sguardo basso e fissava la strada davanti ai suoi piedi. Non osava guardare nessuno in volto. Forse lo faceva per vergogna o forse perché aveva il timore che gli abitanti di Monfalcone potessero attraverso i suoi occhi intravedere barlumi della sua vita precedente.

Era una padrona, e adesso era divenuta una serva. Seppure non venisse frustata, abusata, legata, usata, aveva deciso comunque di vivere per il resto dei suoi giorni questa condizione. La riteneva la sua purificazione.

Ulisse senza più gli arti e ancorato saldamente alla carrozzina, poteva muovere solo gli occhi e la testa. Seguiva con lo sguardo tutti gli uomini, donne o bambini che attraversassero il suo campo visivo. A causa di una museruola e della mancanza di denti emetteva un impercettibile ringhio.

Vedendo che il padre si agitava, Telemaco decise di infilargli un sacco in testa nella speranza che Ulisse la smettesse di agitarsi, ma il padre sentiva la vicinanza della carne viva, ne percepiva l’odore e non si calmò.

Vedendo ciò, sugli occhi di Penelope comparvero delle lacrime che si ingrossavano sempre più. Alla fine la forza di gravità ebbe il sopravvento e un piccolo rio rigò le guance della donna.

Suo marito, il suo amante, il padre di suo figlio, il suo compagno uomo forte, eroico, astuto, combattente era divenuto qualcosa che la ragione identificava come un pericolo mortale, ma il suo cuore, sedotto e abbandonato, intimamente spezzato, ma fortemente speranzoso, lo riconosceva come unico vero amore della sua vita. L’intelligenza, la razionalità, la prontezza che contraddistinguevano Ulisse erano morte.

La piccola processione arrivò allo stadio del paese dove erano già presenti le persone più influenti e un gran numero di cittadini.

La famiglia si diresse verso il cento del rettangolo di gioco. Telemaco si guardò intorno facendo un giro completo sul proprio asse e successivamente si fissò sulla madre a volergli chiedere il da farsi mentre la folla iniziò a gridare “Ulisse, Ulisse, Ulisse…”. Penelope si accostò all’orecchio di Circe e bisbigliò qualcosa.

Costei, sotto lo sguardo interrogativo e smarrito di Telemaco, iniziò una danza rituale nei pressi della carrozzina. Per tre volte fece un giro completo intorno a essa. Versi incomprensibili la donna emetteva a ogni passo o movimento che compiva. Alla fine con un gesto teatrale infilò la mano nella tasca ed estrasse qualcosa che racchiuse nel pugno. Sempre con ricercata e studiata teatralità aprì il pugno e soffiò. Una strana polvere si staccò dalla mano e colpì il volto di Ulisse.

Telemaco alla vista di ciò mise mano alla fondina e impugno l’arma. Il suo tentativo venne fermato dalla madre che bloccandogli il polso disse: “non ancora figlio mio. Non è ancora il tempo!”.

Quando la piccola nuvola di polvere si posò, Circe disse: “Ulisse signore di Monfalcone, eroe della guerra di Troia, viaggiatore instancabile, il più astuto degli uomini, parla. Il tuo popolo ti ascolta!”.

Telemaco ebbe dei brividi e strinse forte la mano della madre.

L’eroe si guardò intorno spostando lo sguardo da sinistra verso destra. Quando vide sua moglie e suo figlio abbozzò un sorriso. Infine iniziò a parlare.

“Popolo di Monfalcone, io, Ulisse figlio di Laerte e padre di Telemaco vi chiedo di ascoltarmi.

Io che vi ho riunito e protetti, io che sono stato sempre il primo a scendere sul campo di battaglia e l’ultimo a lasciarlo. Io che vi ho riportato mariti, figli, fratelli. Io che ho permesso che Troia capitolasse. Io che ho viaggiato tanto, che tante volte mi sono perso e tante volte sono tornato, mi rivolgo a voi. Io che sono stato uomo e ora sono zombie…” a quest’ammissione un brusio si levò dagli spalti e gli occhi furono tutti puntati su Ulisse e Telemaco.

“Ascoltate quello che ho da dirvi.

Ho combattuto tante guerre e innumerevoli battaglie. Ho ucciso tanti uomini ed eliminato ancor più zombie. Ho vissuto come un bruto ma ho sempre seguito virtù e conoscenza. Mi hanno definito l’astuto, l’ingannatore, il furbo. Alcuni mi hanno creduto un Dio ma io sono solo un uomo. Un uomo che non ha voluto arrendersi al fato, che non ha voluto essere eliminato, un uomo che voleva sopravvivere. Ho cercato di essere giusto e misericordioso con gli amici e sono stato spietato con i nemici. Ho consapevolmente sacrificato tante vite per un solo scopo: proteggere voi e la mia famiglia.

Insieme ai miei soldati, vostri figli e mariti, ho reso sicura Monfalcone e l’ho resa grande e temuta. Nessuno oserebbe attaccarla.

Nel mio lungo viaggio ho corso molti pericoli, ho rischiato molte volte di morire e di non poter tornare. Ma vi dico che i pericoli più grandi, quelli che più mi hanno avvicinato alla morte sono scaturiti dagli altri uomini. Sono gli uomini, i vostri simili quelli che più minacciano le vostre vite. Sono gli esseri umani i sicari del demonio. Sono loro che vi stanno portando all’estinzione, non i miei simili. Chi mi ha reso quello che sono era uno zombie, ma quello zombie è nato da un uomo che io ho ucciso per avidità. Per ira lo avevo condannato a rimanere nella non-vita per l’eternità. Per superbia mi sono sostituito a Dio arrogandomi il diritto di decidere chi può vivere e chi no.

Cosa ho ottenuto? Quello che vedete!

Ora è il momento di dire basta. Basta con le guerre fratricide, basta con le guerre d’oppressione, basta depredare altri uomini.

Ora è giunto il momento di piangere i vostri morti e vivere i vostri lutti.

Il nemico che avete è unico, e siamo noi. Siamo noi… che dovete combattere. Ogni uomo che ucciderete è un soldato che regalerete al nostro esercito e un combattente in meno al vostro.

Vivete in pace ma siate vigili. Non fate la guerra ma siate pronti a difendervi, cercate di salvare ogni vita ma non fatevi schiavizzare.

Cercate di evitare in ogni modo lo scontro, ma se questo è inevitabile, combattete, lottate con ferocia e determinazione ma non infierite sui vinti. Non lasciatevi trasportare dalla barbarie.

Uomini di Monfalcone ora sono stanco. Ho combattuto tanto e viaggiato troppo. Ora voglio riposare.

Telemaco saprà guidarvi e difendervi. Vi chiedo di essergli fedele come lo siete stati con me. Aiutatelo e consigliatelo.

Sono stanco di questa non-morta-vita, stanco di sentire sempre fame; – guardando intensamente Telemaco – sii mio figlio ma non seguire le mie orme. Sono stanco, fammi riposare”.

Il ragazzo guardò la madre che gli disse “ora è il momento!” togliendo la mano dalla fondina.

Il nuovo capo guardò a sua volta la pistola e poi Ulisse, il quale diede un cenno di assenso. Capì.

Il ragazzo estrasse la pistola e si avvicinò al padre: “riposa papà” e premette il grilletto.

Il rumore dello sparo riecheggiò in tutto lo stadio. Dall’irreale silenzio che permaneva si levò un unico forte coro “Telemaco, Telemaco, Telemaco…”.
 

 

Igor Zanchelli


 

 


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