Racconti

DEEP BLACK

di Caterina Schiraldi

Capitolo VII

 

<<Cos’altro dovrei sapere?>>, chiese Jo stancamente. Era da mezz’ora, ormai, che Napoleone gli stava raccontando cosa fosse successo nel periodo in cui lui si era trovato tra gli esseri umani. Senza memoria e senza conoscere nulla del mondo dal quale proveniva. E fino a quel momento non si era trattato di buone notizie.

<<Non ti sei mai chiesto per quale motivo, ultimamente, i tuoi sogni fossero turbati da una pantera inferocita?>>, gli domandò Napoleone guardandolo negli occhi.

Jo lo guardò sorpreso, <<come fai a sapere che avevo degli incubi?>>.

Napoleone sorrise.

<<Perché quando credevi che fossi semplicemente il tuo amico gatto parlavi molto liberamente con me. Mi confidavi ogni cosa. Ero il tuo unico confidente. L’hai dimenticato?>>, gli rammentò tra l’ironico ed il malinconico, quasi come se sentisse nostalgia di quei tempi.

Jo scosse la testa. Faceva fatica ad associare il vecchio dinanzi a lui all’amico quadrupede che lo aveva sempre accompagnato da quando aveva memoria. Sembrava fosse passato un secolo da quando lo considerava semplicemente un gatto. E invece non erano trascorse che poche ore, dacché si erano allontanati dal campo di lavoro degli scavi. In poche ore il suo mondo era stato stravolto, di nuovo.

<<Avanti, dimmi che altro c’è>>, lo esortò rassegnato passandosi una mano sul viso stanco e ferito.

<<I gemelli, soprattutto i gemelli mutaforma come te e tua sorella, hanno un legame speciale… tu non hai fatto altro che percepire la collera di tua Amahl>>.

<<Ma non avevi detto che mi odiava dal momento in cui le è stato detto che sono fuggito?>>, chiese confuso, <<me l’hai raccontato tu…>> gli ricordò.

<<Era furiosa all’inizio perché si è sentita abbandonata, però non ha mai realmente creduto alle accuse di Aro. Non sul serio, almeno. Quando si è calmata ha capito quanto fosse crudele Aro e ha cominciato a pensare che forse ti fosse successo qualcosa, ma non che fossi davvero fuggito da codardo, abbandonandola a sé stessa… invece, di recente, da qualche mese per l’esattezza, lei ha cominciato davvero ad odiarti…>>, disse Napoleone sconsolato, <<ed è soltanto colpa mia…>> aggiunse con voce appena udibile.

<<Colpa tua?>>, ruggì Jo, <<sollevandosi di scatto e piantandosi dinanzi a Napoleone con le gambe divaricate ed i pugni di nuovo frementi, <<spiegati. Ora!>>

<<Qualche mese fa, ho pensato che fosse giunto il momento di restituirti al tuo regno, al tuo popolo ed al tuo ruolo e di scacciare definitivamente Aro… Oramai sei un uomo adulto, realizzato, forte e volitivo. Ho pensato che sarebbe stato giusto avvisare tua sorella, insieme avreste potuto scacciare Aro ma questo comportava la necessità di doverle raccontarle la verità… e ciò significava…>>, si soffermò per deglutire, la gola stretta in un nodo, << questo significava raccontarle tutto, compreso ciò che riguarda la legge sui gemelli mutaforma…>> aggiunse con nuovo vigore, sollevando lo sguardo per fissare Jo negli occhi.

Lui strinse i pugni.

<<Le ho dovuto dire che la legge prevedeva che la gemella di sesso femminile venisse uccisa o esiliata ma… lei…>>.

<<Lei cosa? Parla vecchio!>>, Jo lo sollevò di peso tenendolo per la tunica, la belva dentro di lui lottava per uscire. Il sangue gli pulsava nelle vene e gli scorreva incandescente lungo le membra frementi. La trasformazione in pantera era ormai questione di minuti.

<<Tua sorella ha generato due figli. Un maschio di tredici anni ed una femmina di undici. Loro sono gli attuali eredi al trono di Aro. Ma se tu tornerai a rivendicare il tuo regno, loro dovranno seguire la sorte della madre. La morte o l’esilio…>>, Napoleone fece un breve respiro prima di continuare rapidamente, <<tua sorella sa che non daresti mai loro la morte ma dopo le sofferenze indicibili che ha subito si è inaridita, e ha votato la sua intera esistenza al bene della propria progenie. Ora vuole solo una cosa, pretende che i suoi figli ereditino il trono, almeno. L’idea che tu possa tornare per mettere in pericolo il loro lascito, l’ha fatta andare in bestia… ed è stato solo per colpa mia!>>, terminò tremando e scoppiando in un pianto desolato.

Jo era in subbuglio. Troppe informazioni tutte insieme, troppe e difficili verità da ingoiare. Troppo dolore e troppa rabbia.

Lasciò andare Napoleone di colpo. Il vecchio si accasciò desolato sulla sedia.

Fece un passo indietro, poi un altro e si voltò di colpo cominciando a correre a rotta di collo.

Dentro di lui tutto vibrava. Era lava, incendio e rosso furia ovunque. Le sue ossa scricchiolarono, le cartilagini si allungarono, la pelle si incendiò. Lanciò un urlo che era ormai un ruggito e, mentre fendeva la fitta vegetazione a grandi falcate, l’uomo lasciò il posto alla fiera. E la trasformazione fu effettiva.

La pantera si lanciò aggressiva tra pietre ed arbusti, solcò il terreno impervio e superò a grandi balzi i rami spezzati. Non vedeva nulla attorno a sé. Non c’era più nulla di umano in Jo, eccetto la rabbia. I suoi occhi vedevano solo il rosso della sua ira.

Non sapeva dove stesse andando, il corpo della bestia pretendeva solo di correre e liberare l’energia. Così come il corpo umano di Jo, quand’era preda della solita irrequietezza confusa, necessitava dello sport e dello sfogo dell’attività fisica.

Le verità ormai erano tutte svelate. Ma cosa sarebbe successo adesso?

 

 

Jo si svegliò tutto indolenzito. Ma nel suo letto. Aprì gli occhi lentamente e rimase un attimo confuso. Possibile che si fosse trattato solo di un lungo, terribile incubo?

Un movimento al suo fianco attirò la sua attenzione. Voltò la testa di scatto.

Un gatto grigio, piuttosto piccolo, lo fissava dal tavolo accanto al letto. I suoi occhi verdi, intelligenti ed attenti gli fecero immediatamente intuire che non si era trattato di un sogno. Purtroppo…

<<Chi sei?>>, gli chiese con voce gracchiante, cercando di mettersi a sedere nonostante avesse il corpo totalmente a pezzi. Nuove ferite erano andate ad aggiungersi a quelle provocate dallo scontro con sua sorella, ma non ricordava come se le fosse procurate.

All’istante, al posto del gatto, comparve una figura umana, che si precipitò verso di lui per aiutarlo a sollevarsi. Era un ragazzo. Più che altro un ragazzino, dal volto efebico e delicato. Dall’odore Jo lo ricollegò all’attendente che aveva cercato di curargli le ferite mentre lui era con Napoleone. Non ne aveva scorto il viso in quel momento ma ne ricordava l’odore particolare. Sembrava profumare di caprifoglio, strano odore per un ragazzo.

<<Mi chiamo Luis>>, disse il giovane con voce ferma, mentre gli passava un braccio attorno alle spalle per aiutarlo a tirarsi su.

<<Accidenti, ma cosa diavolo ho combinato?>>, si chiese Jo stupefatto, cogliendo la sua immagine riflessa nello specchio accanto alla porta.

Al ragazzo non rispose nemmeno. La presenza del giovane nella sua camera lo infastidiva.

Era una persona gelosa della propria privacy e non amava estranei nei suoi alloggi, nemmeno quando si era trattato di giovani ed avvenenti signore aveva mai voluto che dividessero il suo alloggio oltre il tempo necessario a condividere una fuggevole notte di passione. Le rispediva a casa con molta malagrazia subito dopo averle portate a letto.

<<Avete corso per tutta la foresta di palme a rotta di collo, Vostra Altezza. Più volte arbusti e rami spezzati vi si sono conficcati nel corpo incastrandovi alla fine in un cespuglio pieno di spine… >>, fu la semplice spiegazione che il giovane diede del suo aspetto devastato e arruffato. Aveva foglie e ramoscelli spezzati nei capelli e nuovi graffi sanguinanti erano comparsi su tutto il corpo, viso compreso. Un occhio era tumefatto e gonfio.

Jo lanciò un’occhiataccia di traverso a Luis.

<<Non chiedevo a te cosa mi fosse successo>>, sbraitò come un orso, <<e finitela tutti quanti di chiamarmi in quel modo! Io non sono il vostro re e non voglio esserlo! Capito?>> terminò quasi urlando.

Si rese immediatamente conto di aver ecceduto nella reazione e di essersela presa con un ragazzino innocente. Ma la rabbia dentro di lui era ancora accesa ed era bastato sentirgli pronunciare quel titolo per dar nuovo vigore alla fiamma che gli ardeva nel petto.

Il ragazzo lo fissò per un attimo negli occhi, poi abbassò rispettosamente ed umilmente lo sguardo ed il capo, senza aggiungere nulla.

Jo si sentì un verme, ma non chiese scusa. Non era da lui. D’altro canto non era mai stato da lui prendersela con un ragazzino indifeso. Solitamente preferiva sfogare la sua rabbia sui bulli che cercavano di sottometterlo, piuttosto. Ed in quel momento l’unico prepotente presente era lui.

Allungò una mano per scusarsi ma in quel mentre giunse un leggero bussare dalla porta.

<<Jo, ci sei?>>, chiese la voce del suo amico Luca da dietro l’uscio.

Jo spalancò gli occhi. Aveva dimenticato Luca, gli scavi e di averli abbandonati da diverse ore senza spiegazione. Guardò per un attimo confuso il giovane, guardò sé stesso lacero e martoriato e provò ad aprire la bocca per trovare una scusa per mandar via il suo amico. Ma non ne ebbe il tempo.

Luca girò la maniglia ed entrò nella stanza.

<<Spero che tu non sia in compagnia di una bella signora perché…>>, Luca era entrato senza attendere risposta, avendo scorto la luce dell’abat-jour provenire dalla finestra non schermata.

E si ritrovò di fronte l’immagine del suo amico mezzo nudo e coperto di lividi e graffi sanguinanti, in compagnia di un ragazzino dall’aria efebica e un po’ smarrita.

<<Non sapevo avessi cambiato gusti, Jo>>, ironizzò incrociando le braccia al petto con un sorriso ironico sulle labbra, <<però se ti piaceva essere picchiato potevi dirmelo, l’avrei fatto volentieri io. Ma non era il caso di coinvolgere un minorenne. Potresti trovarti nei guai con la legge e tu lo sai bene…>>, lo schernì cercando di mascherare con l’ironia la sorpresa che la situazione gli aveva provocato.

Che diavolo stava combinando il suo amico? Prima spariva per delle ore e poi ricompariva senza dire nulla, pesto e sanguinante e con la compagnia di un bambino in stanza con lui? Questo sì che era strano.

<<Io non sono un ragazzino! Ho diciotto anni e sono il figlio del generale Napoleone!>>, rispose il ragazzo con fierezza prima che Jo potesse replicare.

Non si capiva esattamente chi fosse più sorpreso dei due uomini. Se Luca per essere stato informato di essere in presenza del figlio del generale Napoleone, oppure Jo, che non aveva mai avuto idea che Napoleone avesse un figlio.

<<Napoleone Bonaparte?>>, esclamò Luca, pensando di trovarsi di fronte a due autentici pazzi.
 


 
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