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Amina fece due passi verso di me. Sembrava felice, rilassata, inconsapevole del panico del paese, di tutta la polizia sulle sue tracce e della follia che aveva cambiato il mio amico. Indossava solo una maglietta bianca, lunga appena abbastanza da coprirle il sedere e le parti intime. Le lunghe gambe color dell’ambra erano nude, non aveva scarpe né pantaloni. Non portava il reggiseno, i grossi capezzoli facevano capolino attraverso la stoffa leggera e anche in una situazione come quella non potei fare a meno di squadrarla da capo a piedi, chiedendomi se almeno stesse indossando le mutandine.

– Amina? Io… non capisco…
– Non c’è niente da capire. – Mi si avvicinò e mi toccò la guancia con una mano. Ero come paralizzato, talmente scioccato da non sapere come reagire, talmente stanco da non avere più la forza di correre via. Le sue dita si sporcarono del mio sangue; non mi ero neanche accorto di essermi tagliato. – Guarda in che condizioni sei… sei caduto nel bosco?
– Io… no… è stato Giacomo che… – risposi con un filo di voce.
– Lascia perdere Giacomo, pensiamo a te ora. Vieni dentro, fatti pulire queste ferite. Vuoi un bicchiere d’acqua?

Feci cenno di sì con la testa. Avevo la bocca secca, solo sentendo nominare l’acqua la sensazione della sete si era fatta dolorosa. Amina si mosse verso la porta, senza staccare lo sguardo da me. Sorrideva come per mettermi a mio agio, ma anche in quel momento di confusione mi rendevo conto che qualcosa era diverso in lei, qualcosa che non avevo mai conosciuto prima. Guardai dietro di me, temendo di vedere Giacomo arrivare di corsa alle mie spalle. Ma non c’era nessuno. Potevo fidarmi di Amina o anche lei mi avrebbe fatto del male? Era una vittima o una complice? O forse non si rendeva conto di nulla… Comunque stessero le cose, di certo dovevo bere. Forse, dopo, la mia mente sarebbe stata più lucida. Seguii la ragazza scomparsa all’interno della capanna. Dentro c’erano un modesto giaciglio formato da alcune sudicie coperte, due sedie sgangherate, alcune mensole alle pareti piene di bottiglie e vasi, troppo vecchi per capire se contenevano qualcosa solo guardandoli, e soprattutto la cosa che più attrasse la mia attenzione: un tavolo con sopra una brocca piena d’acqua e un bicchiere. Amina me lo indicò. Mi sedetti, lo riempii e subito lo svuotai nella mia bocca. Ripetei la cosa un’altra volta, e una volta ancora, mentre lei mi guardava rimanendo in piedi. Bastò questo per farmi recuperare le forze e il coraggio per parlarle.

– Amina, io… tu… ti stanno cercando Amina, devi tornare a casa. Dobbiamo tornare.
– Non ti preoccupare Patroclo, smetteranno presto di cercarmi. Non verranno mai da questa parte.
– Ma i tuoi genitori sono preoccupati, tutto il paese si sta muovendo e…
– Patroclo non preoccuparti, davvero. Io sto bene qui. – Il suo sorriso sembrava davvero innocente, il suo sguardo sincero. – Non ho bisogno di nessuno.
– Ma loro… torna almeno a dire che stai bene!
– Non ce n’è bisogno, chi conosce davvero il paese sa che sto bene, e che sono qui con lui.
– Lui… ma chi? Giacomo?
– Giacomo? – Rise di gusto. – No, scemo, Giacomo è solo un aiuto. Qualcuno che viene ricompensato per quel poco che può fare. Giacomo può tornare a casa quando vuole, forse è già per la strada.
– Ma mi ha buttato giù, ha cercato di ammazzarmi mentre stavamo venendo a cercarti! Mi ha inseguito, anche dopo! Sta venendo qui!
– L’ha fatto perché non sa che esistono altre strade, altre vie. Eppure pensavo di averglielo fatto capire. È solo un ragazzino… proprio come te. – Mi arruffò i capelli con una mano.
– Non sono un ragazzino, io… voglio tornare a casa. Dimmi solo dov’è la strada più vicina, giuro che non dirò niente a nessuno se vuoi rimanere qui. O dirò solo ai tuoi genitori che stai bene e non devi preoccuparti, e…
– Non vuoi rimanere qui? – Mi interruppe.
– Come? No, devo… Mi staranno cercando.
– Non ti troveranno se rimarrai qui. Non vuoi sapere cosa ho fatto per convincere Giacomo? So essere molto convincente, sai. – Si abbassò e mi toccò una gamba. Mi irrigidii, arretrando con la sedia. – Cosa c’è, hai paura? Se non vuoi non ti toccherò, non preoccuparti. Anche se sarebbe sicuramente più piacevole. Ma non vuoi almeno conoscere lui?
– Lui chi? Non capisco!
– Lui. C’è davvero bisogno di dare un nome a tutto? Quando lo vedrai, quando sentirai la sua presenza, tutto ti sarà chiaro e capirai finalmente cosa davvero è importante.
– Io non voglio. Non…
– Cosa non vuoi? Non vuoi capire come funzionano la vita e la morte? Non vuoi sapere a chi appartiene tutto questo? – Mi si avvicinò puntando il dito verso di me. – Non vuoi sapere come è crescere, come è avere dei desideri, delle passioni, non vuoi conoscere il piacere, le tentazioni, il confine tra lecito e proibito? Non vuoi infilare il tuo piccolo cazzetto tra le mie labbra come hai fatto il tuo amico? O forse preferiresti prendere il suo cazzo tra le tue labbra, eh? – Amina sudava, i suoi occhi erano rossi e spalancati, come irritati da un lungo pianto. Con una mano stringeva l’orlo della maglia come per trattenersi dal prendermi a pugni, con l’altra puntava il dito verso di me, fino a toccarmi il viso, il petto, i pantaloni deformati da una involontaria ed improvvisa erezione…
– BASTA! – Urlai, alzandomi di scatto.
– Cosa c’è? Hai paura ora? Ti fa paura il piacere? Preferiresti il dolore? – Corse verso un angolo della stanza, afferrò uno dei vasetti e lo lanciò verso di me. Mi coprii il viso con il braccio buono; mi colpì, ma senza farmi male. Il vaso rotolò a terra, lei ne prese e ne lanciò un altro e questa volta mi mancò. Sentii il rumore dei vetri infranti dietro di me e una puzza infernale invase le mie narici.
– Basta! Ti prego!
– Non è me che devi pregare, stupido, non sono certo il tuo dio. Non sono certo Dio!

Prese un altro vasetto, aggiustò la mira e lanciò con tutta la sua forza. Questa volta mi colpì sul braccio malandato, e il dolore mi fece piegare su me stesso ed urlare. Riuscì anche a scuotermi. Alzai lo sguardo e vidi che cercava di prendere qualcos’altro, e il mio unico pensiero fu di cominciare a correre. Corsi fuori dalla porta e un altro vasetto volò sopra la mia testa, andando ad infrangersi su un sasso sporgente. Qualcosa di molle, informe e maleodorante ne uscì, riversandosi a terra. Corsi avanti seguito dalle maledizioni di Amina, che sbraitava come una strega. Imboccai il sentiero e proseguii, spinto dall’adrenalina. Mi muovevo senza pensare, mulinando le gambe doloranti, con il cervello che mi ordinava soltanto di muovermi più veloce e continuare a respirare. Corri. Respira. Corri! Respira! Girai la testa. Amina mi inseguiva. Era veloce, guadagnava terreno. Era più grande di me, più alta, più riposata. Mi avrebbe raggiunto di sicuro. Cosa mi avrebbe fatto? No, non potevo arrendermi, dovevo correre, correre, correre…

Guardai avanti. Amina non era la sola a volermi prendere. C’era anche Giacomo. Mi aspettava proprio nel punto dove avevo trovato il sentiero, con il suo bastone in mano. Mi guardava e mi sembrò di vederlo sorridere, come se stesse già pregustando il momento in cui il legno avrebbe impattato la mia testa, frantumandomi le ossa del cranio. Amina sarebbe giunta di corsa e avrebbe raccolto il mio cervello che colava dentro uno di quei vasetti, tenuti da parte sugli scaffali in attesa dell’arrivo di chissà chi…

– Fermati Patroclo, non costringermi a farti del male! – Mi intimò quello che consideravo il mio migliore amico.
– Fermalo! Colpiscilo! Uccidilo! – Urlò Amina dietro di me.

Mi mancarono le forze e caddi in ginocchio. Reggendomi su un braccio solo cominciai a piangere disperatamente.

– Non uccidetemi… non fatemi del male… non voglio morire… non voglio… – Le lacrime scendevano copiose a bagnare il terreno. Avevo perso le speranze, ero rassegnato alla fine.
– Hai fatto la scelta giusta. – Giacomo mi raggiunse e mi appoggiò la mano sulla spalla. – Forse non succederà niente. Forse lui ti accoglierà. Devi sforzarti di aprire la tua mente e capire.

Parlava con voce calma e rilassata, persino con dolcezza. Ma nonostante questo non riuscivo a fermare le lacrime…

 

CONTINUA…

 

Michele Borgogni


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