non solo Zombie

di Igor Zanchelli


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I giorni passavano e il caso dell’omicidio La Porta era fermo. Nessun indizio, nessuna pista, nessuna novità. Squeglia era scoraggiato; il Questore gli aveva più volte chiesto degli eventuali sviluppi, ma lui, aveva sempre risposto che ci stavano ancora lavorando, e che sarebbe stata sua premura avvisarlo immediatamente, appena avevano delle novità. Mai e poi mai, avrebbe accennato al suo superiore della assurda e stravagante strada che le indagini stavano intraprendendo. D’altronde questa era una mezza verità; i comuni, interpellati dal suo collaboratore, non avevano ancora risposto, alle richieste fatte. Già immaginava la reazione del Questore, se gli avesse anche solo accennato del lupo mannaro. Immediatamente gli avrebbe intimato di consegnare la pistola e le manette, inviandolo seduta stante al CMO, per una approfondita visita psichiatrica.

Già gli era bastata la figura dell’imbecille, fatta con il professor Korison, per farne un’altra con il suo capo.

Tuttavia nonostante i dubbi e le perplessità che aveva, aspettava la notte di due giorni dopo, quando ci sarebbe stata la luna piena. Qualcosa gli diceva che quella notte sarebbe stata la notte della svolta. Aveva quella sensazione difficilmente definibile; quella vocina appena percettibile che ti dice aspetta, vediamo che succede, non essere precipitoso. Alcuni la chiamano sesto senso, altri istinto. Lui invece la definiva l’intuizione dello sbirro; quel talento innato che ogni bravo poliziotto deve avere, per essere un investigatore. Squeglia aveva imparato con l’esperienza a dare ascolto a quella sensazione; più di una volta lo aveva aiutato a ricomporre il puzzle e risolvere casi, alcuni davvero molto difficili.

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Ingvar, dopo il colloquio con l’ispettore, aveva trovato nella biblioteca dell’ateneo, un antico codice del tardo medio evo. Scritto da un monaco, Ian Corvinus di Ferrières abate dell’Abazia di Orleans, il manoscritto descriveva gli avvistamenti e gli attacchi, del “Vanargandr” ovvero il demone del Vàn. Korison sapeva che Vanargandr, era uno dei nomi con cui la mitologia norrena, identificava il Lupo Fenrir, figlio del Dio Loki, progenitore di tutti i licantropi.

Iniziò a leggere il codice; in primo luogo per curiosità accademica, e visto che ne aveva l’occasione, per verificare se il ragionamento fatto dal poliziotto, in merito alla mancanza di testimonianze sull’esistenza dei licantropi, fosse in qualche modo plausibile.

Il manoscritto miscelava grossolanamente la mitologia vichinga e germanica, e la contrapponeva alle credenze e alla dottrina cristiana medioevale; tuttavia, la mancanza di fonti certe e la forma romanzata del codice, impedivano senza uno studio molto approfondito a Ingvar, di comprendere quale parte del libro fosse cronaca e quale, invece, fosse propaganda del credo cristiano.

L’unico elemento che il professore riteneva consolidato e certo, risultante da una prima lettura, fu che tutti gli avvistamenti e gli attacchi si verificavano quando nella notte “… luna pernox splendeo…”.

“D’accordo trattandosi del lupo Fenrir è normale; la luna piena è un elemento imprescindibile e sempre presente” si disse, “nulla di nuovo”.

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Quella sera Squeglia, decise di vedersi il film consigliato da Marchese.

Unico indizio la luna piena, era un film tratto dall’omonimo romanzo di S. King; la trama era la seguente:

In una cittadina di provincia americana inizia improvvisamente un’atroce serie di delitti, che tra gli abitanti del posto sparge una vera e propria psicosi del mostro. Le indagini della polizia non portano nulla. Si organizza anche una “battuta” in piena regola, che però si risolve tragicamente con altri quattro morti.

L’unico che, prima per immaginazione e poi con certezza, capisce che il folle deve essere un “lupo mannaro” è il piccolo Marty Coslaw, che una sera si trova faccia a faccia col mostro, riuscendo a ferirlo ad un occhio. La prima a raccogliere le confidenze di Marty, è sua sorella maggiore, Jane, la quale gli crede. Jane si mette in giro per la cittadina allo scopo di tentare di scoprire una persona con un occhio ferito (ossia un lupo mannaro in versione “normale”). E la trova nel pastore del paese; il quale, intuendo di essere stato smascherato, cerca di uccidere il piccolo Marty, senza riuscirci.

I due ragazzi, a questo punto, si confidano con lo zio, per il quale Marty stravede; ma zio Red stenta ad accettare il racconto dei due ragazzi. Solo per la loro insistenza, zio Red si convince a prendere un po’ più seriamente la cosa; e quando anche per lui tutta la storia, benché incredibile, inizia a diventare attendibile, si reca dallo sceriffo per invitarlo a “dare un’occhiata” al reverendo. Lo sceriffo scopre in effetti qualcosa, ma viene ucciso. A questo punto, scomparso lo sceriffo, i due ragazzini convincono lo zio a far preparare un proiettile d’argento (l’unico capace di uccidere un lupo mannaro), e aspettano la successiva notte di luna piena, sicuri che il lupo mannaro si faccia vivo per ucciderli.

L’ispettore trovò molte similitudini col caso scottante che aveva per le mani. Non solo per l’omicidio di La Porta, non solo per la presenza della luna piena, non solo per l’assenza di elementi investigativi, ma anche per l’identificazione di Marchese nel piccolo protagonista. Come Marthy anche Marchese non era stato creduto. Questo caso l’avrebbe fatto impazzire, ne era certo; non riusciva ad accettare una storia così assurda.

Andò a letto pieno di dubbi e con una velata sensazione di terrore, che iniziava ad insinuarsi in lui. L’indagine, il film, le fantasie del suo collaboratore, il rapporto del coroner avevano risvegliato in lui, quella atavica paura dell’uomo di essere preda e non predatore. Se per assurdo tutta questa storia fosse vera, e a piede libero c’era una bestia mitologica, l’uomo sarebbe stata una preda.

Controllò per sicurezza che la porta fosse chiusa e le finestre sbarrate. Per la prima volta nella sua vita, si mise a letto con la pistola carica posta sotto il cuscino.

 

 

Igor Zanchelli


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